Come fotografare in modo spettacolare i colori delle stelle

Fare foto al telescopio, inseguendo nebulose, galassie e ammassi stellari è il sogno proibito di molti appassionati di astronomia, che spesso si infrange di fronte alle difficoltà tecniche, strumentali ed economiche richieste. Non si deve avere fretta, è un percorso che va fatto con pazienza e determinazione: questo è quanto viene detto sempre. Sì, d’accordo, ma da qualche parte dovremo pur cominciare, no? Magari abbiamo a disposizione una reflex digitale e un piccolo telescopio e ci piacerebbe iniziare a fare qualche semplice scatto, giusto per provare.

Di solito si comincia a fare foto alla Luna, poi a qualche pianeta brillante. Per andare oltre e fare le lunghe esposizioni richieste per immortalare gli oggetti del cielo profondo serve un salto di qualità non indifferente: una montatura equatoriale molto robusta, uno strumento buono dal punto di vista ottico e meccanico, un sistema di controllo dell’inseguimento, detto autoguida. Il fiume da guadare è piuttosto largo e profondo, soprattutto se non disponiamo di una montatura equatoriale all’altezza.

Prima di decidere se accontentarsi di quello che si ha, o svuotare il portafogli e ipotecare il futuro con il proprio partner, che potrebbe non apprezzare la vostra decisione, possiamo dedicarci a un tipo di fotografia astronomica attraverso il telescopio che non richiede costosi strumenti, né complesse montature. Anzi, a dire la verità non richiede neanche di inseguire le stelle!

La tecnica che sto per descrivere è stata portata alla ribalta negli anni ’80 e ’90 da un astronomo dell’Anglo Australian Observatory, che i più esperti forse già avranno sentito nominare: David Malin. Munito di una semplice attrezzatura e un po’ di inventiva si era chiesto, grazie al suo background scientifico: è possibile riprendere il colore delle stelle in modo più efficace rispetto a quanto accade in una normale fotografia? Non è infatti difficile notare come molte delle foto del profondo cielo mostrino stelle tendenzialmente bianche. Solo con una grossa dose di manipolazione software i più bravi astrofotografi riescono a tirare fuori qualche tonalità, ma non è una strada molto agevole, né spettacolare.

Partiamo allora dal principio alla base di questa nostra nuova esperienza di fotografia astronomica: le stelle si mostrano di diversi colori. A parte gli astri di classe A, come Vega, che appaiono completamente bianchi, tutti gli altri puntini sono colorati, anche se i nostri occhi faticano a notare la tonalità a causa della scarsa saturazione e della minore efficienza del nostro sistema visivo in condizioni di bassa illuminazione. Le fotocamere, però, non hanno questi problemi e per di più potremo aumentare la saturazione quanto vogliamo in fase di elaborazione per esasperare le differenze di colore delle stelle. Non si tratta di un mero esercizio di astrofotografia e di elaborazione: i colori delle stelle, reali, dipendono dalla loro temperatura superficiale. Possiamo quindi fare anche della scienza dall’esperienza che stiamo per fare, cosa che non guasta mai.

Quando fotografiamo una stella ben messa a fuoco dal telescopio la sua luce si concentra in pochissimi pixel che spesso diventano rapidamente saturi, se non in fase di acquisizione quando andiamo a regolare curve e livelli con qualche software. Da questa considerazione è nata l’idea geniale di Malin: per mostrare il colore delle stelle dobbiamo far espandere la loro luce su un’area maggiore, in modo che non si rischi di saturare i pixel. Il metodo migliore per fare questo prevede di sfocare leggermente l’immagine: semplice quanto efficace. Per dare un tocco estetico alla nostra futura foto, la tecnica di Malin considera un dettaglio geniale: la sfocatura progressiva, senza il moto di inseguimento delle stelle.

Ecco quindi quello che dobbiamo fare:

  • Colleghiamo la nostra reflex al telescopio. Se non sappiamo come fare, siamo nel posto migliore: contattate i tecnici di Teleskop Service Italia che vi consiglieranno gli accessori necessari (sono tutti economici). Il telescopio più adatto, al contrario di quelli usati per fare ottime foto al cielo, è un rifrattore, anche di piccolo diametro e non necessariamente apocromatico. In linea di principio, comunque, tutti gli strumenti vanno bene, compresi obiettivi e teleobiettivi fotografici;
  • Scegliamo un campo ricco di stelle brillanti. In queste serate autunnali le Pleiadi o il doppio ammasso del Perseo sono perfetti, se lavoriamo almeno a 400 mm di focale. Se abbiamo un campo molto largo perché usiamo un teleobiettivo, meglio andare verso la cintura di Orione;
  • Mettiamo a fuoco come se dovessimo scattare una perfetta foto astronomica, aiutandoci con la modalità live view;
  • Impostiamo sensibilità almeno a 400 ISO, modalità di scatto in formato RAW e posa Bulb. Meglio avere un telecomando per controllare l’esposizione della reflex senza doverla toccare. In mancanza di telecomando ci dobbiamo accontentare della posa massima consentita: 30 secondi, e dell’autoscatto;
  • Appena iniziamo lo scatto disattiviamo il moto di inseguimento siderale. Possiamo in ogni caso selezionare la modalità autoscatto, anche con il telecomando della reflex, e avere qualche secondo di tempo per disattivare il moto orario prima che inizi lo scatto. Si può anche provare a fare una variante interessante: 10 secondi di foto con messa a fuoco perfetta e moto orario acceso e poi il resto (sempre in uno scatto singolo) senza inseguimento e con la sfocatura progressiva che stiamo per vedere;
  • Toccando molto leggermente il focheggiatore, mentre la posa va avanti e le stelle si sposteranno, variamo in modo continuo e molto delicato la messa a fuoco, fino al termine dello scatto, compreso tra i 60 e i 120 secondi. Il fuoco non dovrebbe variare moltissimo, ma di quanto ruotare la manopola del focheggiatore lo capiremo dopo il primo tentativo. Ora osserviamo il risultato ed emozioniamoci, perché abbiamo fatto una foto sia artistica che scientifica, molto più didattica di tanti scatti fatti da astrofotografi esperti e purtroppo così pieni di elaborazione da aver perso quasi del tutto il contatto con la realtà.
Gli spettacolari colori delle Pleiadi, catturati con la tecnica descritta nel post attraverso un rifrattore da 106 mm e Canon 450D. Posa singola di circa 90 secondi.

Gli spettacolari colori delle Pleiadi, catturati con la tecnica descritta nel post attraverso un rifrattore da 106 mm e Canon 450D. Posa singola di circa 90 secondi.

 

Cosa accade in pratica quando applichiamo questa tecnica? La non compensazione del moto terrestre produce sul sensore le classiche tracce stellari. La sfocatura progressiva durante l’esposizione trasforma le tracce in tanti piccoli coni, la cui larghezza e lunghezza dipendono dal tempo di esposizione e dall’intensità della sfocatura. In questo modo la nostra immagine contiene molta più dinamica rispetto a una classica posa: le stelle più brillanti mostreranno il colore nella parte terminale del cono, quando la loro luce si sarà distribuita su un numero sufficientemente grande di pixel per evitare la saturazione. Le stelle più deboli avranno coni più brevi ma sempre colorati, soprattutto nella parte iniziale vicina al punto di fuoco.

La fase di elaborazione, spesso temuta e odiata, è semplicissima, anche se abbastanza importante. La saturazione dei colori delle stelle è per natura piuttosto contenuta. A questo però è facile porre rimedio con qualsiasi programma di elaborazione delle immagini. E’ infatti sufficiente aumentare la saturazione del colore di almeno il 50% per far emergere finalmente un campo pieno di evidenti sfumature e affascinanti contrasti. Non è necessario fare altro.

I colori delle stelle e l’estetica dell’immagine risultante dipendono dalla lunghezza e dalla larghezza dei coni stellari, quindi dalla focale di ripresa, dal tempo di esposizione, dall’intensità della sfocatura. Le variabili in gioco sembrano complicare la nostra ripresa, ma questa è una delle rare e piacevoli situazioni nelle quali la pratica è molto più semplice di qualsiasi spiegazione.

Qualcuno riconosce il campo inquadrato? La scala è la stessa della fotografia delle Pleiadi, solo che in questo caso ci sono molti più colori: è un vero spettacolo!

Qualcuno riconosce il campo inquadrato? La scala è la stessa della fotografia delle Pleiadi, solo che in questo caso ci sono molti più colori: è un vero spettacolo!

Il consiglio principale, quindi, è quello di fare esperienza e dare sfogo alla vostra fantasia. Sono sufficienti pochi minuti ed un paio di tentativi per trovare già il giusto compromesso che soddisfa il vostro gusto estetico. E, chissà, proprio come accade in altri ambiti della società, i nostri scatti creativi potrebbero riportare di moda questa tecnica, che molti nativi digitali, purtroppo, neanche conoscono. Eppure è utile, divertente e piuttosto artistica. A questo punto, allora, osservando i nostri capolavori un paio di domande sono obbligatorie: a quali temperature corrispondono i colori che stiamo osservando? Sono più calde le stelle rosse o blu? E di quanto? Scopriamolo da soli con enorme soddisfazione: è il bello dell’astronomia amatoriale!

Osservazioni facili ed emozionanti: stelle con pianeti

Uno degli aspetti che ho sempre trovato affascinanti dell’astronomia osservativa è che attraverso la nostra immaginazione, e la consapevolezza di ciò che stiamo osservando, possiamo trovare la più sublime bellezza anche in un’immagine che ritrae un puntino luminoso o un evanescente batuffolo lattiginoso. Non è un’esplosione di chiaroscuri e colori che impressiona in superficie la nostra retina, facendoci gridare dallo stupore per i primi 10 secondi per poi svanire una volta che l’effimero effetto si è concluso. L’astronomia visuale, al contrario, cerca la bellezza nella rappresentazione dell’oggetto che abbiamo di fronte. La sua fioca, indistinta o puntiforme luce non inonda quasi mai la nostra retina ma ha il potere di far meravigliare la nostra anima, superando con facilità le superficiali barriere della vista e utilizzando i nostri sensi come il mezzo per raggiungere una felicità e una pace interiore che raramente hanno eguali nel nostro mondo. È un’attività che nella società frenetica attuale sembra anacronistica e che non ci possiamo più permettere, tanto è diventato prezioso il nostro tempo. Eppure, è l’unico modo che abbiamo per capire qual è il nostro posto nell’Universo, la nostra importanza, quali sono i nostri limiti e le nostre potenzialità; quali sono i problemi veri e quali invece solo degli inutili capricci. E’ l’unico modo per usare al meglio delle nostre possibilità il dono più grande che abbiamo ricevuto: la consapevolezza di quello che ci circonda.

Quando nel 1995 è stato scoperto il primo pianeta extrasolare attorno a una stella simile al Sole, spesso ho passato intere serate della mia adolescenza puntando stelle a caso nel cielo e immaginando viaggi meravigliosi attorno a ipotetici sistemi planetari. Mi sforzavo con la mente di visualizzare quella luce amplificata milioni di volte e quel puntino ingrandito fino a vederne un disco grande quanto il Sole dei nostri cieli. Viaggiavo più veloce di qualsiasi astronave, persino di quella luce che nella realtà rappresenta un limite invalicabile del nostro Universo. E, arrivato fin lì, provavo a girarmi attorno per vedere se potevano esserci pianeti, magari simili alla Terra, ma diversi quel tanto che bastava per lasciare in sospeso il mio giudizio, per dare spazio a quell’alone di mistero, consapevole ma irrisolvibile, che rendeva tutto ancora più magico.
Cercavo e immaginavo… Ogni tanto, spinto da una curiosa nostalgia, volgevo lo sguardo verso quella porzione di cielo dalla quale ero venuto, cercando di capire come si vedesse il Sole e il nostro minuscolo pianeta da quel lontano angolo di Universo. Attraverso il telescopio erano solo dei puntini di luce, come se ne vedono di continuo in ognuna delle nostre stanze buie a causa di televisori, cellulari, elettrodomestici… Se avessi puntato un lontano lampione avrei visto la stessa immagine, eppure non avrei mai potuto fare quel viaggio meraviglioso nell’Universo dentro e fuori di me che solo la volta celeste può regalare.

Sono ormai migliaia i pianeti scoperti al di fuori del Sistema Solare, che quindi orbitano attorno ad altre stelle. Impossibile, persino per molti telescopi professionali, vederli direttamente. Ancora più irrealistico pensare di poterli visitare un giorno non troppo lontano. Eppure noi, cacciatori di meraviglie, di tutto questo non abbiamo bisogno perché il nostro piccolo telescopio e la nostra immaginazione possono attraversare all’instante anche gli spazi più ampi del Cosmo. Ecco allora che l’idea di poter osservare una stella nella cui immagine è racchiusa anche la debolissima e indistinta luce di qualche pianeta, pur non potendolo vedere direttamente, fa venire i brividi.

Il primo pianeta extrasolare scoperto è stato 51Pegasi b, un gigante gassoso che orbita attorno alla stella 51 della costellazione del Pegaso. Questo astro ha una magnitudine di 5,49 ed è persino visibile a occhio nudo se abbiamo una buona vista e un cielo scuro. Qualsiasi binocolo e ogni telescopio ci mostreranno questa stellina sempre più luminosa, di colore leggermente giallo, simile alle altre del cielo ma tanto importante per noi. Da lì è iniziato tutto; da questa stella è partita la grande rivoluzione dell’astronomia e del nostro pensiero, che ci ha visto scoprire in venti anni migliaia di altri mondi, alcuni potenzialmente molto simili al nostro. Non è una semplice stella per noi: è un monumento a un popolo che tra mille contraddizioni e ingiustizie ha continuato a trovare tempo e voglia per guardare l’Universo, con la speranza di conoscerlo sempre meglio e la consapevolezza che in questo lungo percorso diventerà una specie migliore.

51 Pegasi b è un gigante gassoso molto caldo ed è il primo pianeta a essere stato scoperto attorno a una stella simile al Sole. Da lì è iniziato tutto: il nostro tour delle stelle con pianeti non può che iniziare da qui.

51 Pegasi b è un gigante gassoso molto caldo ed è il primo pianeta a essere stato scoperto attorno a una stella simile al Sole. Da lì è iniziato tutto: il nostro tour osservativo delle stelle con pianeti non può che iniziare da qui.

Se vogliamo aumentare la portata emotiva, possiamo scegliere un’altra stella attorno alla quale gli astronomi professionisti hanno scoperto un pianeta simile alla Terra, probabilmente ricco di acqua e, perché no, anche di forme di vita. Il sistema Gliese 667 è composto da tre stelle strettamente avvolte, indistinguibili al telescopio. Attorno a uno di questi astri gli astronomi hanno scoperto ben 6 pianeti (forse 7), uno dei quali sorprendentemente simile alla Terra. Il sistema si trova nella costellazione dello Scorpione e ha una magnitudine pari a 5,89, al limite della visione a occhio nudo, ma qualsiasi strumento, anche il cercatore del telescopio, ce lo mostrerà evidente. Sotto la calda luce di quel puntino rossiccio, chi lo sa, altre forme di vita stanno prosperando e stanno osservando nello stesso nostro istante quel cielo così diverso, in cui una stellina gialla molto debole nasconde la straordinaria storia di questo pianeta e dei suoi abitanti, pienamente consapevoli delle meraviglie dell’Universo.

Gliese 667 è una stella che fa parte di un sistema triplo e ospita uno dei pianeti più simili alla Terra che conosciamo.

Gliese 667 è una stella che fa parte di un sistema triplo e ospita uno dei pianeti più simili alla Terra che conosciamo.

A soli 14 anni luce di distanza, nella costellazione di Ofiuco, si trova una debole stellina molto rossa, denominata Wolf 1061. Brilla di magnitudine 10 ed è visibile solo con binocoli da almeno 50 mm o con ogni piccolo telescopio, non molto distante (in apparenza) dall’ammasso globulare M107. Attorno a questo astro, sovrastato dalla luce di migliaia di stelle ben più brillanti, orbita un pianeta probabilmente roccioso, Wolf 1061 C, alla giusta distanza dalla propria stella, tale da consentire, in teoria, l’esistenza di acqua liquida. La luce rossa della stella trasforma il paesaggio che potremo ammirare dalla sua superficie in una scena per noi quasi apocalittica: tutto il cielo sarà rossastro e tutti gli oggetti avranno tonalità tendenti al rosso, privi dell’azzurro che invece qui sulla Terra è ben evidente. Stare sulla sua superficie potrebbe essere simile a quelle giornate nuvolose in cui c’è in sospensione una grande quantità di polvere proveniente dal deserto del Sahara, che rende tutto uniformemente arancio e rosso.
Non dobbiamo però soffermarci solo su Wolf 1061 C, perché questa stella ospita almeno altri due pianeti rocciosi: uno più lontano e uno più vicino dal corpo celeste sul quale abbiamo deciso di fermarci per un attimo ad ammirare il cielo. Ci sarà qualcuno da quelle parti? E come è possibile che nella luce debole e puntiforme di una stella appena visibile con i nostri strumenti si nascondano almeno tre pianeti grandi come la Terra, che hanno il potenziale di ospitare tutta la complessità biologica che si trova su questa piccola biglia blu scaldata dal calore nucleare di una stella chiamata Sole? È questa una delle grandi sfide dell’astronomia (amatoriale): comprendere ciò che la mente fatica a concepire e che fa parte di una realtà ben più ampia di quella nella quale ci siamo evoluti, fino ad ora.

Wolf 1061: una stellina rossa di magnitudine 10 vicino all'ammasso globulare M107 che merita una visita per scoprire, e immaginare, un sistema planetario formato da tre pianeti, di cui uno potrebbe essere abitabile.

Wolf 1061: una stellina rossa di magnitudine 10 vicino all’ammasso globulare M107 che merita una visita per scoprire, e immaginare, un sistema planetario formato da tre pianeti, di cui uno potrebbe essere abitabile.

Questi sono solo tre esempi di stelle facili da osservare che nascondono pianeti, ma in realtà di osservazioni di questo tipo ne possiamo fare centinaia, se non migliaia, perché la grande maggioranza dei pianeti è stata scoperta attorno a stelle più brillanti della magnitudine 12, quindi accessibili a strumenti anche da 8-10 cm di diametro. Sta a voi fare qualche ricerca su Google e organizzare il miglior tour possibile tra stelle e pianeti. E ricordate sempre una cosa: non si vedono ma ci sono. E a noi, romantici esploratori celesti, tutto questo basta e avanza.

Come osservare e fotografare pianeti e stelle di giorno

L’astronomia amatoriale è una disciplina affascinante, che ci permette di organizzare viaggi indimenticabili pur rimanendo ben saldi a terra. Possiamo scegliere di scorrazzare tra i pianeti, disegnare i crateri della Luna, oppure possiamo cercare di fare foto o addirittura attività di ricerca che di solito conducono gli astronomi professionisti. Insomma, tra tutte le scienze, e probabilmente tra molte altre attività che potremo mai fare, l’astronomia rappresenta l’emblema della libertà più assoluta, anche perché abbiamo a disposizione miliardi di anni luce di Universo da percorrere a una velocità ben superiore a quella della luce, muovendo semplicemente il nostro telescopio.

L’astronomia pratica, tuttavia, ha un grosso problema, banale quanto fastidioso, soprattutto nelle fredde serate invernali: può essere fatta solo di notte. Di giorno, con l’ingombrante presenza del Sole, possiamo sperare di osservare e fotografare solo lui, il nostro enorme faro cosmico, con strumenti e accorgimenti particolari: un po’ poco, soprattutto conoscendo la bellezza e la vastità che presenti oltre la sua accecante luce. La domanda, allora, può venir spontanea, sebbene in apparenza ingenua: possiamo fare osservazioni e fotografie anche di giorno? Certo: possiamo osservare con un radiotelescopio potente, che non teme neanche le nuvole, oppure inviare nello spazio il nostro setup a far concorrenza al telescopio spaziale Hubble e il problema sarebbe risolto. Facile, no?

In realtà, senza scomodare accorgimenti che oggi suonano come pura fantascienza, si può fare un po’ di astronomia anche di giorno, al di là del Sole. Se la nostra passione sono i pianeti, le foto in alta risoluzione o semplicemente avere nuove sfide da vincere, l’astronomia di giorno diventa un’importante risorsa che potrà farci divertire e ottenere ottimi risultati.

Per convincervi che la mia precedente frase non è il classico delirio che si presenta prima o poi a ogni astrofilo che deve sopportare un interminabile periodo di meteo indecente, cominciamo a chiederci: cos’è che impedisce di vedere le stelle di giorno?La risposta è istintiva: il Sole! Ma siamo sicuri? Perché tutti i telescopi spaziali possono osservare il cielo anche con il Sole sopra l’orizzonte? La luce solare è una condizione necessaria ma non sufficiente a nascondere le stelle di giorno, tanto che nello spazio il cielo appare nero come la pece e si possono vedere le stelle anche con il Sole. La responsabile ultima è la nostra atmosfera: l’aria che respiriamo non è perfettamente trasparente ma intercetta una piccola parte della luce solare e la riflette poi in ogni direzione. Questo fenomeno, conosciuto come diffusione, è il responsabile del nostro cielo chiaro di giorno: le stelle non si vedono a causa dell’enorme inquinamento luminoso prodotto dal Sole, che viene diffuso dalla nostra atmosfera e rende il cielo molto brillante.

Ora possiamo fare un altro passo allora, chiedendoci: c’è modo, restando qui sulla Terra, e senza usare un radiotelescopio, di osservare il cielo di giorno? La risposta è sì, ma in realtà la domanda non è ancora necessaria, perché ci sono già alcuni corpi celesti che possiamo osservare di giorno, anche se a occhio nudo crediamo di non vederli. Prima però, proprio come in un film, mi piace creare un po’ di suspance andando a indagare meglio le ragioni per cui dovremo tirare fuori il telescopio anche di giorno (per la felicità di mogli, compagne, figli e datori di lavoro).

 

Perché fare foto di giorno

In realtà fare osservazioni di giorno, al di là del Sole, ha molti risvolti interessanti, che voglio riassumere in pochi e sintetici punti, per andare poi al nocciolo della questione:

  • Per sfida personale;
  • Per il gusto di trovare oggetti che erroneamente reputavamo invisibili con la luce del giorno;
  • Perché non abbiamo tempo di notte, o fuori fa freddo quando non c’è il Sole;
  • Perché alcuni soggetti danno il meglio di sé, sia in fotografia che in osservazione, di giorno. Mercurio e Venere si osservano e fotografano molto meglio quando sono alti sull’orizzonte rispetto al crepuscolo. La Luna in fase ridotta, che mostra regioni spettacolari come il Mare Crisium, si può osservare e fotografare con soddisfazione solo quando è a poche decine di gradi dal Sole, quindi di giorno, se non vogliamo essere distrutti dalla turbolenza atmosferica alle basse altezze sull’orizzonte, come accade anche per Mercurio e Venere;
  • Alcuni fenomeni, come occultazioni, congiunzioni, eclissi dei satelliti di Giove, non sempre capitano di notte: vogliamo farci fermare allora da un po’ di luce solare?
  • Chi monitora i pianeti ha necessità di riprenderli e/o osservarli per più tempo possibile, quindi anche di giorno, soprattutto quando la loro separazione è inferiore ai 40° dalla nostra Stella. In queste condizioni, inoltre, i professionisti non possono osservare e molti amatori si dirigono verso altri soggetti. E’ proprio qui che la probabilità di scoprire qualche fenomeno particolare aumenta di molto: una nuova tempesta di sabbia su Marte, una mega tempesta su Saturno, una gigantesca nube di ammoniaca che fa sparire un’intera banda equatoriale di Giove… Sappiamo infatti che la legge di Murphy è impietosa: se qualcosa di spettacolare deve succedere nel cielo, lo farà di certo di giorno. E noi, allora, la aggiriamo osservando anche quando nessuno pensa che si possa fare!
  • Sempre per la legge di Murphy, se una grande cometa, con una magnitudine di -7. si rendesse visibile a 15-20 gradi dall’orizzonte e in una posizione dell’eclittica che rendesse impossibile osservarla dal nostro emisfero (in pratica tutte le grandi comete degli ultimi 19 anni!) l’alternativa sarebbe volare in Australia o fare fotografie di giorno. E noi le faremo (anche se un viaggio in Australia è senza dubbio più interessante)!

Insomma, oltre al lato ludico/personale c’è un’oggettiva prospettiva scientifica, che interessa di sicuro gli osservatori e gli astroimager più esperti: osservare di giorno, visto che la nostra tecnologia lo consente, è di certo qualcosa da provare prima o poi, anche se con le dovute precauzioni.

Perché osservare e fotografare di giorno? Ecco un motivo: occultazione Luna-Venere del 16 giugno 2007 alle ore 15 locali. Se avessimo aspettato il calar del Sole ce la saremmo persa!

Perché osservare e fotografare di giorno? Ecco un motivo: occultazione Luna-Venere del 16 giugno 2007 alle ore 15 locali. Se avessimo aspettato il calar del Sole ce la saremmo persa!

 

Luna e Venere, sempre presenti a occhio nudo

A molti sarà di sicuro già capitato di osservare la Luna a occhio nudo, anche di giorno, senza particolari difficoltà. In effetti il nostro satellite si può vedere fino a poche decine di gradi di distanza dal Sole. Osservato al telescopio, soprattutto nelle giornate molto limpide, si mostra già interessante e ricco di particolari.

C’è però un altro corpo celeste che è visibile senza ausilio ottico, in pieno giorno: Venere. Il fatto che non l’abbiamo mai visto non è un indicatore affidabile sulla sua reale osservabilità. Con una magnitudine media di circa -4.5, in effetti, Venere è l’unico oggetto di apparenza stellare che può essere visto a occhio nudo di giorno, a patto che sia ad almeno 20° di distanza dal Sole. Un cielo limpido, che si mostra con una marcata tonalità azzurra, aiuta molto nell’impresa di scovare il pianeta a occhio nudo, ma in realtà la parte più difficile dell’impresa coinvolge il nostro sistema di interpretazione delle immagini, ovvero il cervello. Trovare un punto luminoso su uno sfondo brillante e circa uniforme è un’operazione che il nostro occhio, a livello ottico, è perfettamente in grado di fare, ma il nostro computer biologico fatica a elaborare nella maniera corretta i dati. Il risultato è spesso sorprendente: se non sappiamo bene dove guardare potremmo cercare il pianeta di giorno per ore senza vederlo. Se invece sappiamo dove dirigere il nostro sguardo, con un errore di circa 1-2° al massimo, allora il pianeta diventa evidente perché è sempre piuttosto contrastato rispetto al fondo cielo. All’improvviso, dopo tanto cercare, ci apparirà in quella spessa coperta azzurra un piccolo buco da cui filtra la luce puntiforme del pianeta a noi più vicino:“Come ho fatto a non vederlo prima?” E’ sempre questa la domanda che ci si pone con estrema sorpresa e molta soddisfazione per aver visto una “stella” nel cielo illuminato dal Sole. Per identificarlo con meno difficoltà è sempre opportuno nascondere il Sole dietro un ostacolo naturale o artificiale (una collina, degli alberi, una casa…) e scandagliare bene la zona di cielo in cui dovrebbe trovarsi (aiutiamoci con un software planetario).

Venere di giorno si può rintracciare con facilità anche a occhio nudo, se sappiamo bene dove guardare. Riuscite a trovarlo in questa foto scattata con un cellulare?

Venere di giorno si può rintracciare con facilità anche a occhio nudo, se sappiamo bene dove guardare. Riuscite a trovarlo in questa foto scattata con un cellulare?

Al telescopio, Venere, osservato di giorno, dà il meglio di sé, per due motivi:

  • Possiamo ammirarlo quando è molto alto sull’orizzonte, senza aspettare il tramonto o l’alba, quindi, se abbiamo l’accortezza di nascondere il Sole dietro un ostacolo naturale ed evitare che scaldi il tubo ottico, la turbolenza sarà sempre minore e la visione più dettagliata;
  • Il pianeta è molto luminoso. Se lo puntiamo con il cielo già scuro del crepuscolo, la sua luminosità inganna l’esposimetro del nostro sistema visivo, che ce lo mostrerà sempre troppo brillante, come se fosse una fotografia “bruciata”. Il risultato? Perdita di ogni tipo di dettaglio e un certo fastidio nella visione. Di giorno, invece, grazie al contrasto molto più basso tra il fondo cielo e Venere, il cervello applica la giusta esposizione e il pianeta non è mai sovraesposto. L’osservazione è molto più rilassante e spettacolare, perché potremo scorgere con relativa facilità alcune sfumature nella spessa atmosfera venusiana, anche senza l’uso di filtri colorati o grossi strumenti. Personalmente tutte le migliori osservazioni e fotografie di Venere le ho fatte di giorno, tra le 12 e le 16 locali.
Venere mostra molti dettagli, sia in visuale che, soprattutto, in fotografia. Il segreto? Osservare di giorno, quando il pianeta è alto nel cielo.

Venere mostra molti dettagli, sia in visuale che, soprattutto, in fotografia. Il segreto? Osservare di giorno, quando il pianeta è alto nel cielo.

 

Mercurio e oltre: a volte meglio di giorno, ma solo per i più esperti

Quanto scriverò da questo punto in poi prevede delle operazioni delicate, soprattutto per il puntamento, che devono essere fatte solo da persone ormai esperte di osservazioni e fotografia. La tecnica, infatti, spesso implica di fare un salto prima sul Sole, con tutti i rischi che ne conseguono se non si usa un filtro solare e molta attenzione. Leggere quindi bene quanto segue, se vogliamo proseguire con il nostro tour del cielo diurno.

 

Purtroppo a occhio nudo il gioco è già finito: il giro turistico del Cosmo termina con l’emozione e la sfida di trovare Venere, ma con un telescopio possiamo esplorare l’invisibile e fare altre spettacolari osservazioni.

Le particolari condizioni in cui si presenta Venere, ovvero un pianeta che non si allontana mai dal Sole per più di poche decine di gradi, sono ancora più esasperate per Mercurio. Per il più piccolo pianeta del Sistema Solare non abbiamo molta scelta: le osservazioni di giorno sono le UNICHE che danno qualche soddisfazione. E’ inutile cercare di fare i testardi e aspettare anni per trovare un buon seeing e trasparenza all’alba o al tramonto, con il Sole sotto l’orizzonte e il pianeta ben visibile a occhio nudo: non avremo mai una visione nitida come di giorno. Questo vale ancora di più se l’obiettivo è fare foto.

Mercurio di giorno mostra tenui chiaroscuri che non vedremo mai al crepuscolo

Mercurio di giorno mostra tenui chiaroscuri che non vedremo mai al crepuscolo

Più facile e spettacolare di Mercurio, Marte è un altro soggetto ghiotto per fare osservazioni. Quando la sua separazione è maggiore di 60° dal Sole, il pianeta rosso ha ancora una discreta luminosità e diametro angolare per mostrare dettagli. Grazie alla sua colorazione rossastra, che contrasta in modo netto con l’azzurro del cielo, marte_giornol’osservazione di Marte di giorno può essere spettacolare, soprattutto quando il Sole si sta avviando verso il tramonto (o poco dopo l’alba). In un certo senso, per chi non è abituato a osservare i pianeti, l’esperienza diurna migliora la visione perché diminuisce i contrasti e impedisce, proprio come accade per Venere, di avere un’immagine troppo luminosa, quindi sovraesposta e povera di particolari. Il rapido tempo di esposizione del nostro occhio, inoltre, ha anche il potere di congelare il seeing molto meglio rispetto a quanto accade di notte, con la visione notturna e un tempo di esposizione che viene incrementato automaticamente dal nostro cervello. In un certo senso ed entro determinati limiti, di giorno la visione migliora anche a seguito di questo fenomeno, lo stesso per cui gli astroimager planetari tendono a fare esposizioni più brevi possibili per congelare il seeing.

Con Giove iniziamo invece ad avere qualche difficoltà. Visibile solo oltre i 45° di elongazione, si presenta spesso come un disco quasi trasparente, ma ricco comunque di contrasti, anche se non riusciremo a vedere i più minuti dettagli della sua atmosfera. Meglio non esagerare con gli ingrandimenti, almeno all’inizio, per non perderlo tra la luce del cielo.

Per Saturno, invece, le cose cambiano e trovarlo rappresenta quasi una sfida, che è facile da vincere con il pianeta oltre i 60° di separazione dal Sole, un cielo molto trasparente e la nostra stella prossima all’orizzonte. Anche in questo caso meglio iniziare con ingrandimenti modesti per trovarlo: circa 50-100X al massimo e poi, se serve, aumentarli (di poco).

Urano e, ancora peggio, Nettuno, dovrebbero essere off limits, ma non si sa mai: con un cielo limpido di montagna, una separazione di almeno 90°, un filtro polarizzatore e un buon occhio, potremo riuscire a scorgere Urano: nessuna speranza, invece, per Nettuno.

Se vogliamo andare oltre i pianeti, possiamo fare un bel tour delle stelle brillanti: snobbate di notte perché poco interessanti (a ragione), di giorno diventano delle gemme da scovare in un mare d’azzurro, come un prezioso tesoro. Ecco allora che non avremo alcun problema nel puntare Sirio, Capella, Altair, Deneb, Vega, Betelgeuse, Antares e Aldebaran. Unica richiesta: cielo terso e almeno 45° di separazione dal Sole!

Le stelle si possono vedere anche di giorno! Ma è in fotografia che le cose migliorano e anche di molto

Le stelle si possono vedere anche di giorno! Ma è in fotografia che le cose migliorano e anche di molto

 

Come puntare di giorno

Prima di uscire con il Sole alto e cominciare a osservare stelle e pianeti, è meglio dare qualche consiglio utile per fare una cosa che di notte è semplice, ma di giorno un po’ meno: a parte la Luna e Venere, nessun altro oggetto si vede a occhio nudo, spesso nemmeno con un piccolo cercatore, quindi: come facciamo a puntare qualcosa che non possiamo vedere finché non è nel campo dell’oculare? Si potrebbe dire: con il puntamento automatico! La risposta è sì, ma con qualche differenza rispetto alla notte. Di giorno, infatti, non possiamo fare l’allineamento della montatura, perché le stelle non si vedono: come fare?

Semplice: dobbiamo connettere la nostra montatura al computer, bypassando la pulsantiera e interfacciandola con un software planetario, come Cartes du ciel. Grazie ai driver Ascom, questa soluzione è abbastanza semplice e molti fotografi già la usano per curare le sessioni di ripresa notturna. Controllando la montatura con il planetario possiamo fare una cosa che molte pulsantiere non permettono: puntare un oggetto celeste ben visibile, sincronizzarla sulle sue coordinate e poi spostarci nella direzione in cui vogliamo osservare l’invisibile.

L’unico oggetto celeste sempre presente, a parte qualche volta la Luna, è il Sole ma è anche il più pericoloso. Per puntare tutti gli altri corpi celesti di giorno occorre quindi quasi sempre sincronizzare la nostra montatura sul Sole, puntandolo a mano. Come ben sappiamo, è assolutamente fondamentale evitare che la luce del Sole entri senza essere filtrata nel telescopio e nel cercatore. Quindi, il primo passo da fare è preparare il setup come se dovessimo osservare il Sole: coprire il cercatore e inserire di fronte l’obiettivo del telescopio un filtro solare sicuro, come l’Astrosolar. Puntiamo la nostra stella con il metodo dell’ombra, poi centriamola osservando dall’oculare (con il telescopio che ha il filtro solare ben saldo e sicuro!). Sincronizziamo la montatura e poi diciamo al planetario (o alla pulsantiera, se lo permette) di andare dove vogliamo: Mercurio, Venere, Marte, qualche stella… È importante scegliere soggetti distanti almeno 15 gradi dal chiarore solare per evitare che parte della sua luce entri nello strumento (e per vedere qualcosa!). Una volta che il telescopio si è spostato verso la destinazione, possiamo togliere il filtro solare e scoprire il cercatore. Con una buona vista e un cercatore da almeno 50 mm di diametro, quasi tutti i soggetti (tranne Saturno) dovrebbero essere visibili attraverso le sue lenti, una cosa molto comoda per poter effettuare un preciso centraggio.

Il successo del puntamento dipende in modo critico dal perfetto stazionamento della montatura equatoriale (non confondete lo stazionamento con l’allineamento del GOTO!), che può essere fatto solo di notte. Ecco quindi che sarebbe meglio lasciare il telescopio montato dalla sera prima e pronto anche al nostro tour diurno.

Se vogliamo spostarci verso oggetti molto distanti è meglio andare per piccoli passi: puntiamo prima un corpo celeste luminoso, come Venere, per sincronizzare di nuovo la montatura e poi spostiamoci verso la destinazione: meglio non fare spostamenti superiori a 40 gradi perché il puntamento non sarà mai precisissimo.

Una cosa fondamentale riguarda poi la messa a fuoco: di giorno, anche per oggetti luminosi come Venere, se il telescopio non è già vicino al punto di fuoco potremo non vedere la sagoma sfocata del pianeta, anche se questo è al centro del campo: assicuriamoci quindi di aver fatto una buona messa a fuoco prima sul Sole e di non cambiare oculare, altrimenti dovremo armarci di pazienza e muovere il fuoco fino a trovare l’oggetto, che sarà visibile solo quando saremo quasi al punto di fuoco. Una cosa simile si deve fare se vogliamo fare foto: facciamo il fuoco prima sul Sole e a una focale non troppo elevata (meglio al fuoco diretto), così saremo sicuri che se il corpo celeste verrà puntato lo vedremo.

 

Qualche consiglio per le riprese fotografiche

Se vogliamo usare il nostro occhio per osservare, dobbiamo accontentarci di scegliere solo le giornate con il cielo più terso, in modo che i contrasti aumentino al punto da garantire osservazioni molto piacevoli, se non migliori rispetto alla notte. Se invece siamo interessati a fare riprese in alta risoluzione, e in generale a capire quanto in profondità si può vedere anche con il Sole sopra l’orizzonte, allora le cose cambiano molto e potremo restare sorpresi di quanto sia possibile fare. Per capire il trucco che c’è alla base di proficue riprese (non più osservazioni ma fotografie!) diurne, dobbiamo riproporre una domanda alla quale non ho ancora dato risposta: c’è modo, restando qui sulla Terra, e senza usare un radiotelescopio, di osservare il cielo di giorno? Fino a questo momento abbiamo visto che non serve nulla per osservare i principali pianeti, né le stelle, perché anche se non li vediamo in modo spettacolare come di notte, questi in realtà ci sono e si possono osservare al telescopio, se non addirittura a occhio nudo. Tuttavia, grazie alla grande sensibilità dei sensori digitali, possiamo davvero fare qualcosa per migliorare di molto la situazione in fotografia.

La risposta alla domanda ne prevede allora un’altra: di che colore è il cielo di giorno? Se non abitiamo in pianura Padana, la risposta non ammette eccezioni: azzurro! Cosa vuol dire, a livello più fisico, questo? Che l’aria che respiriamo preferisce diffondere in ogni direzione più la luce azzurra rispetto a quella rossa, visto che quella solare è in realtà bianca e così sarebbe dovuto apparire il cielo se tutti i colori fossero stati diffusi allo stesso modo.

Senza entrare in profonde spiegazioni fisiche, il principio alla base della diffusione della luce da parte di molecole di gas è descritto da un processo chiamato diffusione di Rayleigh. Per i nostri scopi ci basta solo un dato, che è la conferma quantitativa della nostra semplice osservazione sul colore del cielo: la percentuale di luce diffusa è inversamente proporzionale alla quarta potenza della lunghezza d’onda. In parole semplici, all’aumentare della lunghezza d’onda della luce diminuisce drasticamente la percentuale che viene diffusa dall’aria. Ecco quindi che la luce blu viene diffusa circa 16 volte più di quella del vicino infrarosso, che ha una lunghezza d’onda circa doppia e perché per le onde radio giorno o notte non fa alcuna differenza.

La diffusione di Rayleigh in funzione della lunghezza d'onda spiega perché il cielo è azzurro e rappresenta un'interessante scappatoia per fare ottime fotografie diurne.

La diffusione di Rayleigh in funzione della lunghezza d’onda spiega perché il cielo è azzurro e rappresenta un’interessante scappatoia per fare ottime fotografie diurne.

Eureka! Abbiamo trovato il modo per fare fotografie di giorno di soggetti brillanti, come se il Sole quasi non ci fosse: basta usare un filtro passa infrarosso. Più grande è la lunghezza d’onda utilizzata, maggiore sarà il contrasto tra il fondo cielo e il corpo celeste. Volete una prova? Guardate la seguente immagine che ritrae Giove ripreso allo stesso orario con diversi filtri:

All'aumentare della lunghezza d'onda diminuisce la luminosità del fondo cielo e i corpi celesti, come in questo caso Giove, emergono in modo sempre più netto.

All’aumentare della lunghezza d’onda diminuisce la luminosità del fondo cielo e i corpi celesti, come in questo caso Giove, emergono in modo sempre più netto.

Per poter sfruttare questo trucco ci serve un sensore monocromatico, o al limite una reflex full spectrum, ovvero modificata per renderla sensibile anche all’infrarosso. Questi dispositivi sono sensibili, sia pur in forma ridotta, fino a circa 1100 nm, una regione molto interessante per i nostri scopi. Ottime sono le camere planetarie monocromatiche, spesso usate anche per l’autoguida, come la sempre verde ASI 120MM. Con questi sensori possiamo usare filtri passa infrarosso da 800 e persino 1000 nm (1 micron). In questa zona poco esplorata del vicino infrarosso, il cielo diventa talmente scuro che non solo possiamo fare fotografie alla Luna, Venere, Mercurio, Marte, Giove e Saturno come se fosse notte, ma è addirittura possibile riprendere corpi celesti che nessuno si sarebbe aspettato: i quattro principali satelliti di Giove, ad esempio, tutte le stelle brillanti fino a magnitudine 5-6 e persino oggetti spettacolari come brillanti comete.

Ecco allora che in questo modo, anche con strumenti modesti, a partire da 8-10 centimetri, il cielo diurno mostra tutto ciò che ai nostri occhi apparirebbe ben visibile di notte: fantastico, vero?

satelliti_giove_giorno

In conclusione di un post piuttosto lungo, non mi resta che lanciare un paio di sfide: qual è il corpo celeste più debole che è possibile osservare o fotografare con il Sole sopra l’orizzonte? È possibile ottenere un’immagine di un soggetto deep sky brillante, ad esempio le Pleiadi, o la nebulosa di Orione, di giorno? Per queste imprese i miei consigli sono semplici: 1) Cielo terso come mai si vede dalla pianura; 2) oggetto alto sull’orizzonte almeno 30° e più lontano possibile dal Sole, 3) Sole in prossimità del tramonto o dell’alba.

Riprese diurne estreme: la cometa McNaught del gennaio 2007 a 15 ° dal Sole e con una magnitudine di circa -7, ripresa con un telescopio da 25 cm diaframmato a 3 cm e filtro IR da 1000 nm. D'ora in poi non ci perderemo più un raro evento astronomico solo perché si verifica di giorno, alla faccia della legge di Murphy!

Riprese diurne estreme: la cometa McNaught del gennaio 2007 a 15 ° dal Sole e con una magnitudine di circa -7, ripresa con un telescopio da 25 cm diaframmato a 5 cm e filtro IR da 1000 nm. D’ora in poi non ci perderemo più un raro evento astronomico solo perché si verifica di giorno, alla faccia della legge di Murphy!

 

Per il momento i corpi celesti più deboli che ho ripreso sono i satelliti di Giove, che hanno luminosità inferiori a quella delle stelle principali delle Pleiadi o del cuore della nebulosa di Orione: questi due, quindi, sono soggetti ben alla portata della nostra voglia di astronomia anche di giorno. La caccia è aperta!

 

P.S. Non vale scattare foto deep sky durante un’eclisse totale di Sole!

Come fare ottime fotografie del Sole in H-alpha con una camera a colori

Fotografare il Sole attraverso un telescopio solare in H-alpha è una delle attività più belle e rilassanti dell’astronomia amatoriale, sia per la spettacolarità dei dettagli visibili, sia perché si può fare a qualsiasi ora del giorno (NON della nottee!) in pochi minuti.

Se però tutto fosse davvero facile e immediato, questo mio post si concluderebbe ora e non avrebbe neanche avuto senso scriverlo. Purtroppo, quindi, le cose sono leggermente diverse.

Un telescopio solare in H-alpha (o in altre lunghezze d’onda, come il calcio) mostra solo una piccolissima finestra di luce, che di fatto è monocromatica. Questo lo possiamo notare quando facciamo osservazioni: in H-alpha il Sole si presenta monocolore, di un rosso intenso privo di sfumature di tonalità. Non potrebbe essere altrimenti poiché non passa nessun’altra lunghezza d’onda se non quella dell’idrogeno Alpha a 656,3 nm. Per questo motivo, se vogliamo ottenere fotografie di ottima risoluzione ed estetica, è fortemente consigliato utilizzare una camera monocromatica e colorare poi la nostra foto in fase di elaborazione, se vogliamo dargli una parvenza di colori (sebbene non corretti perché stiamo lavorando su una sola lunghezza d’onda).

Le camere monocromatiche però non sono tanto diffuse come quelle a colori, soprattutto perché in questa categoria rientrano anche le reflex (molto meglio se modificate!). Cosa accade allora se proviamo a fare una foto (o un filmato) con una camera a colori attraverso un telescopio solare? Che se non stiamo attenti lo scatto sarà da buttare.

Le camere a colori, infatti, hanno dei filtri rossi, verdi e blu direttamente sui pixel del sensore e in questo modo riescono a catturare un’immagine a colori in un unico scatto. Quando lavoriamo però nella regione H-alpha, quindi nel rosso profondo, solo i pixel rossi, che sono solo ¼ del totale, riceveranno una grande quantità di luce: questo porta subito una cospicua perdita di risoluzione. Come se non bastasse, poi, la sorgente monocromatica inganna il software di controllo della fotocamera (e i nostri occhi che guardano lo schermo) restituendoci nella maggioranza dei casi un Sole uniformemente rosso e privo di tutti quei dettagli che risultavano evidenti all’oculare. Questo succede perché se cerchiamo di regolare la giusta luminosità complessiva, andremo per forza di cose a saturare l’immagine nel canale rosso, nonostante a monitor il disco solare ci sembri ancora piuttosto scuro e l’istogramma totale sembrerebbe confermare la nostra sensazione (sbagliando).

Tipica fotografia solare scattata con una camera a colori (scatto singolo di un video). Dove sono finiti i dettagli del disco? E le protuberanze perché sono così deboli? E’ tutta una questione di corretta esposizione…

Tipica fotografia solare scattata con una camera a colori (scatto singolo di un video). Dove sono finiti i dettagli del disco? E le protuberanze perché sono così deboli? E’ tutta una questione di corretta esposizione…

Come possiamo ottenere buone immagini del Sole in H-alpha anche con camere a colori? È possibile?

Certo che è possibile, basta solo applicare la giusta tecnica, che in qualche modo prevede di ingannare il sensore e il software di controllo della camera a colori.

La notizia migliore arriva dalla scarsa qualità della griglia di filtri colorati posta di fronte a ogni sensore a colori: i filtri blu e soprattutto verdi, infatti, sono parzialmente trasparenti alla lunghezza d’onda H-alpha, come si vede nell’immagine precedente, nella quale, a rigore di logica, solo il canale rosso avrebbe dovuto contenere informazione.  Possiamo allora sfruttare a nostro vantaggio questo “difetto”: l’obiettivo è infatti quello di concentrarci sul canale verde, che possiede la migliore risoluzione di tutti (perché i filtri verdi coprono metà del sensore). In fase di elaborazione, poi, estrarremo solo questo come se fosse un’immagine monocromatica da elaborare, dimenticando (quasi) il rosso (saturato) e il blu (troppo debole e con poca risoluzione).

Il punto fondamentale, quindi, è trovare in fase di ripresa la giusta combinazione tra esposizione e guadagno, tale per cui si abbia la corretta luminosità per il canale verde, trascurando quello che succede nel rosso, che sarà sempre saturo. La cosa interessante è che quando raggiungeremo la luminosità corretta per il canale verde l’immagine del Sole ci apparirà, all’improvviso, ricca di colori tendenti al magenta e pullulerà di tutti quei dettagli che prima, curando solo la luminosità del canale rosso, non riuscivamo a scorgere. A questo punto facciamo filmati (se abbiamo camere planetarie) o effettuiamo almeno una trentina di scatti (se abbiamo una reflex) e prepariamoci alla fase di elaborazione.

Eccoli i dettagli che vedevamo anche all’oculare! Con le camere a colori bisogna concentrarci nell’ottenere la giusta luminosità per il canale verde, saturando il rosso. In questo modo vedremo apparire i dettagli sulla nostra immagine e in fase di elaborazione useremo solo il canale verde per estrapolare tutti i dettagli.

Eccoli i dettagli che vedevamo anche all’oculare! Con le camere a colori bisogna concentrarci nell’ottenere la giusta luminosità per il canale verde, saturando il rosso. In questo modo vedremo apparire i dettagli sulla nostra immagine e in fase di elaborazione useremo solo il canale verde per estrapolare tutti i dettagli.

L’allineamento e lo stacking si fanno normalmente come se fosse una comune immagine. Quando avremo l’immagine raw dovremo, prima di fare qualsiasi altra cosa, estrarre il canale verde. L’estrazione del canale verde si può fare con ogni software a partire dall’immagine a colori. Con Photoshop, ad esempio, possiamo aprire l’immagine, posizionarci sul canale verde e fare copia e incolla in una nuova immagine. Con MaxIm DL basta dare il comando “Color –> Split tricolor”. In alternativa, se abbiamo usato Registax per fare la somma dei nostri scatti (con Autostakkert questo “trucco” non funziona), possiamo salvare l’immagine in formato fit e provvederà lui, in automatico, a separare i canali in altrettanti file.

Ora dobbiamo elaborare leggermente la nostra immagine estratta dal canale verde con i soliti filtri di contrasto. Tutti i programmi vanno bene ma presto vi accorgerete che farà la sua comparsa una strana e fastidiosa griglia: si tratta della traccia lasciata dalla matrice di filtri colorati della camera di ripresa. Possiamo eliminare questo difetto all’istante: basta applicare, prima di qualsiasi altra elaborazione, un filtro gaussiano di raggio (circa) 1 pixel. In Photoshop il filtro si trova in “Filtro –> Sfocatura –> Controllo sfocatura” ma consiglio di applicarlo con software dedicati come MaxIm DL, Registax o IRIS; quest’ultimo è il migliore. Con questa operazione preliminare saremo in grado di applicare filtri di constrasto (maschere sfocate o wavelet) in modo molto più efficace.

Effetto di un filtro gaussiano su un'immagine solare ottenuta con una camera a colori ed estratta dal canale verde. In questo modo si ridimensiona moltissimo l'effetto della griglia di filtri posta sopra il sensore.

Effetto di un filtro gaussiano su un’immagine solare ottenuta con una camera a colori ed estratta dal canale verde. In questo modo si ridimensiona moltissimo l’effetto della griglia di filtri posta sopra il sensore.

 

Con l’immagine del canale verde elaborata ci accorgeremo presto che le protuberanze sembreranno spente e deboli. In questo caso ci viene in aiuto il vantaggio di aver fatto foto con una camera a colori, perché non dovremo fare una nuova ripresa sovraesposta per il disco per estrapolare il segnale delle protuberanze, ma basterà recuperare il canale rosso della nostra immagine di partenza a colori. Se il disco è saturo, le protuberanze si dovrebbero vedere molto bene e a questo punto potremmo trasferire questa informazione sulla nostra immagine estrapolata dal canale verde (e già elaborata) per ottenere una fotografia solare completa, con dettagli della cromosfera e delle protuberanze.

Vediamo il tutto con un esempio pratico. A questo link potete scaricare i due canali, rosso e verde, estratti da un’immagine a colori ed entrambi elaborati con pochi filtri di contrasto (dopo il solito gaussiano, o filtro sfocatura, di raggio 1 pixel per togliere la griglia di filtri).

Apriamo le immagini in Photoshop e copiamo l’immagine estratta da quello che era il canale rosso sull’immagine che proveniva dal canale verde.

Il canale verde conteneva dettagli del disco, quello rosso le protuberanze. Possiamo prendere il meglio da entrambe le immagini senza sacrificare nulla. Copiamo l’immagine che era stata estratta dal canale rosso sopra quella che era stata estratta dal canale verde.

Il canale verde conteneva dettagli del disco, quello rosso le protuberanze. Possiamo prendere il meglio da entrambe le immagini senza sacrificare nulla. Copiamo l’immagine che era stata estratta dal canale rosso sopra quella che era stata estratta dal canale verde.

Poniamo l’opacità di questo nuovo livello a zero e spostiamoci sul livello di sfondo rappresentato dal fu canale verde. Con lo strumento bacchetta magica e tolleranza alta, tipicamente tra 50 e 100 (in questo caso ho usato 80) clicchiamo in un punto qualsiasi del fondo cielo. Magicamente si formerà una selezione attorno al disco solare che non includerà le protuberanze.

Dobbiamo selezionare tutto tranne il disco, comprendendo nella selezione anche le eventuali deboli protuberanze del nostro originario canale verde.

Dobbiamo selezionare tutto tranne il disco, comprendendo nella selezione anche le eventuali deboli protuberanze del nostro originario canale verde.

A questo punto il gioco è semplice: sfumiamo la selezione di un pixel. Ora spostiamoci sul livello contenente l’immagine proveniente dal canale rosso (senza aumentarne l’opacità), facciamo copia (ctrl+c) e incolla (ctrl+v) e la “magia” è completa: comparirà un nuovo livello contenente solo la parte esterna della cromosfera, con le protuberanze ben visibili!

Un anello di fuoco attorno al Sole: sono comparse le protuberanze che erano tanto evidenti in quello che era il canale rosso della nostra foto.

Un anello di fuoco attorno al Sole: sono comparse le protuberanze che erano tanto evidenti in quello che era il canale rosso della nostra foto.

Giochiamo un po’ con l’opacità per regolare la luminosità di questo anello attorno al nostro Sole e poi uniamo i livelli. La nostra immagine è completa. Potremo volerla colorare, ma su questo argomento tornerò con un post adatto, così anche chi utilizza camere monocromatiche potrà trovare ottimi spunti per rendere ancora più bella ogni immagine solare. Nel frattempo, avete idee/suggerimenti su come come dare il colore alla nostra immagine solare in H-alpha, prima che vi sveli la mia ricetta preferita?

In questo caso ho impostato l’opacità del livello con le protuberanze al 53% e regolato le curve per far vedere bene le protuberanze più deboli ma senza creare un vistoso e brutto effetto di anello di fuoco attorno al Sole.

In questo caso ho impostato l’opacità del livello con le protuberanze al 53% e regolato le curve per far vedere bene le protuberanze più deboli ma senza creare un vistoso e brutto effetto di anello di fuoco attorno al Sole.

L’inizio di una nuova avventura!

Quando Riccardo Cappellaro, di Teleskop Service Italia, mi invitò a usare questo spazio per dare consigli sull’osservazione e la fotografia del cielo, non me lo feci ripetere due volte perché l’idea era potente, utile e anche innovativa. Con l’avvento dei social network la frammentazione dell’informazione ha raggiunto punte mai conosciute fino a questo momento. Il risultato? Ci sono migliaia di posti in cui trovare informazioni, ma sono paradossalmente troppi e non necessariamente accurati, anzi, a volte ci si imbatte in contraddizioni che non fanno altro che rendere ancora più confuso il nostro cammino.

Nel mio blog personale mi occupo di divulgazione astronomica ma non affronto quasi mai il mondo dell’astronomia pratica, che invece offre un’opportunità più unica che rara in un ambito scientifico: trasformarsi da spettatori passivi a esploratori attivi, fare scienza, meravigliarsi dell’Universo studiandolo in prima persona, non necessariamente con l’approccio freddo e distaccato che invece compete ai professionisti. L’astronomia offre una meravigliosa opportunità di trasformarci in esploratori dell’Universo, con i nostri tempi, i nostri desideri, la nostra innata curiosità e voglia di stupirci, magari allontanandoci con un pizzico di soddisfazione dalla vita frenetica e avara di gioie di tutti i giorni. L’astronomia è conoscenza, consapevolezza, terreno fertile per tutti i nostri sogni. E’ un divertimento profondo e puro che spesso ci regala importanti lezioni di vita e di certo ci garantisce un approccio migliore ai problemi e alle situazioni di tutti i giorni.

Iniziare un cammino attraverso l’astronomia amatoriale, o proseguire inseguendo la costante voglia di migliorare, di confrontarsi, di esplorare sempre più nel profondo, non è mai facile, eppure la strada che abbiamo scelto, o che magari vorremmo solo provare a seguire, è ricchissima di soddisfazioni, di gioie, di momenti indescrivibili che solo l’Universo può regalare. Per ora, magari, è avvolta nella nebbia già alla prima curva o, per chi è un po’ più esperto, dopo un breve rettilineo che ci ha già fatto assaporare le sue meraviglie. Esperti o meno, fotografi o visualisti, alla ricerca del primo telescopio o di accessori che possano permettere di diradare la nebbia di fronte a noi, all’inseguimento di un consiglio, di uno strumento, di un luogo in cui le informazioni non siano frammentate e confuse, o solo per assaporare la passione che traspare e trasparirà dalla mia passione innata per l’osservazione del cielo, nonché la professionalità e disponibilità di tutto lo staff di Teleskop Service Italia, vi do il benvenuto in questo spazio, in questa nuova avventura che affronteremo passo passo insieme, condividendo pareri, idee, suggerimenti e consigli, proprio come si fa nella scienza vera. Perché fare astronomia amatoriale vuol dire anche e soprattutto condividere, al di là di tutte le questioni che di giorno ci dividono, il luogo più meraviglioso, sorprendente e spettacolare che potremo mai sperimentare: l’Universo intero.

Alla fine di tutta questa presentazione, forse avrete ancora una domanda: cosa troverò in pratica in questo spazio? Semplice: tutto ciò che riguarda il mondo dell’astronomia amatoriale. Ci saranno consigli sia per i neofiti che per i più esperti; ci saranno test strumentali, tecniche di osservazione, di fotografia astronomica e tutti gli eventi più importanti che avremo di fronte a noi nei mesi a venire.

 

Daniele Gasparri