Astronomy in Movie: il primo astrocontest di TS Italia/Tecnosky

Che ne direste di vedere un vostro lavoro di astroimaging all’interno di un film? E di ricevere anche un premio, per questo???

A me parrebbe una gran figata…….

Ebbene, se davvero lo volete, può essere realtà!!! A breve partirà la prima edizione dell’astrocontest di TS Italia/Tecnosky “Astronomy in Movie”: in palio per i migliori scatti eseguiti negli ultimi 365 giorni, premi in strumentazione e l’inserimento del lavoro vincitore all’interno di una pellicola cinematografica.

Il tema di quest’anno sarà: “banda stretta VS banda larga”. Mano ai filtri!!!

Il concorso inizia il giorno 11 maggio.

Qui sotto, il regolamento completo!

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA


 

REGOLAMENTO CONCORSO FOTOGRAFICO
Astronomy in Movie

 

IL CONCORSO

Il concorso fotografico “Astronomy in Movie”, alla sua prima edizione, è promosso da TS Italia/Tecnosky, in collaborazione con il Progetto “L’Impero Sotterraneo”.

TEMA

Il tema del concorso di quest’anno è “Fotografia astronomica deep-sky tra banda larga e banda stretta”. Il tema è orientato alle riprese del profondo cielo e prenderà in considerazione qualsiasi lavoro attinente allo stesso, con preferenza per le riprese realizzate con strumentazione astronomica dedicata.

MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE

La partecipazione al concorso è gratuita e aperta a tutti gli astroimager, senza limiti d’età. Ogni partecipante potrà fornire un numero illimitato di fotografie, da pubblicare sull’apposito album Facebook creato da TS Italia sulla propria pagina e disponibile ai seguenti link:

https://www.facebook.com/media/set/?set=oa.110735199802075

L’accesso all’album in modalità scrittura (per caricamento delle foto) è condizionato alla previa iscrizione al gruppo Facebook relativo al concorso:

https://www.facebook.com/groups/110733033135625

e successiva accettazione dell’iscrizione da parte degli amministratori. L’accettazione dell’iscrizione avviene di regola entro 48 ore dalla richiesta.

La descrizione tecnica della singola foto dovrà obbligatoriamente apparire entro il campo di descrizione della singola foto.

Sono esclusi dalla gara i membri della commissione giudicatrice e i rispettivi familiari, nonché tutti i soggetti che a vario titolo collaborano all’organizzazione del concorso.

CARATTERISTICHE TECNICHE IMMAGINE

Sono ammesse fotografie monocromatiche e a colori con inquadrature sia verticali sia orizzontali. La risoluzione di ciascuna foto deve essere di almeno 2 Megapixel. Non sono ammesse opere interamente realizzate al computer. Le riprese devono essere state realizzate nel corso degli anni solari 2017 e 2018. Requisiti preferenziali del concorso sono il carattere di innovatività delle riprese e il loro essere inedite. Ogni immagine deve essere corredata di descrizione tecnica completa, indicando tassativamente soggetto ripreso, strumentazione adottata, tecnica di ripresa e di elaborazione, nonché data e luogo in cui sono avvenute le riprese. Le immagini non conformi alle specifiche non verranno prese in considerazione ai fini della premiazione finale.

MODALITA’ E TERMINI DI CONSEGNA DEL MATERIALE

La consegna delle opere potrà avvenire entro la data limite del 31/08/2018.

PREMI E GIURIA

I premi assegnati saranno afferenti a tre diverse categorie e selezionati secondo tre diverse modalità:

Categoria A) premio artistico: il premio consisterà nell’apparizione dei lavori selezionati, fino ad un massimo di tre per singolo autore, all’interno del film “L’impero sotterraneo”. La scelta del premio è interamente rimessa alla giuria artistica.

Categoria B) premio tecnico: il premio consisterà in un buono per l’acquisto di materiale astronomico presso TS Italia del valore di €250

Categoria C) premio della community: il premio consisterà in un buono per l’acquisto di materiale astronomico presso TS Italia del valore di €150

La giuria artistica e la giuria tecnica, composte entrambe da professionisti del settore, esprimeranno un giudizio insindacabile, decretando i rispettivi vincitori.

Per la categoria C, risulterà vincitrice l’opera che avrà ottenuto il maggior numero di like entro la data limite del 30/09/2018.

Non si danno casi di pari-merito nella categoria A.
In caso di pari-merito nella categoria C, i premi verranno suddivisi tra i vincitori.

Saranno assegnati dei premi speciali per i primi 5 classificati non vincitori di alcun premio di categoria, consistenti in una copia dello splendido libro di astrofotografia digitale ad alta definizione “Gateway to the sky – Vol. 2”.

I premi verranno assegnati tramite proclamazione sulla pagina Facebook ufficiale di TS Italia entro il giorno 15/10/2018.

PRIVACY, RESPONSABILITÀ DELL’AUTORE E FACOLTÀ DI ESCLUSIONE

Ogni partecipante è responsabile del materiale da lui presentato al concorso. Pertanto si impegna ad escludere ogni responsabilità degli organizzatori del suddetto nei confronti di terzi, anche nei confronti di eventuali soggetti che dispongano di parziale titolarità delle opere inviate. Ogni partecipante dichiara inoltre di essere autore o co-autore delle immagini inviate e che esse sono originali, inedite e non in corso di pubblicazione, che non ledono diritti di terzi e che qualora si tratti di opere realizzate in collaborazione con enti o soggetti terzi, si dispone del necessario consenso o dell’autorizzazione alla partecipazione in proprio nome al concorso.

Gli organizzatori si riservano di escludere dal concorso e di rimuovere dall’album condiviso le foto non conformi a quanto indicato nel presente regolamento oppure alle regole comunemente riconosciute in materia di pubblica moralità, etica e decenza, a tutela dei partecipanti e dei visitatori. Non saranno perciò ammesse le immagini ritenute offensive, improprie o lesive dei diritti di alcuno. La rimozione potrà avvenire senza previa comunicazione e in maniera definitiva.

DIRITTI D’AUTORE E UTILIZZO DEL MATERIALE IN CONCORSO

I diritti sulle fotografie rimangono di proprietà esclusiva dell’autore che le ha prodotte, il quale ne autorizza l’utilizzo all’interno del film “L’impero sotterraneo” (categoria A) e per eventi o pubblicazioni connesse al concorso stesso, nonché per attività relative alle finalità istituzionali o promozionali connesse al presente concorso. Ad ogni loro utilizzo le foto saranno accompagnate dal nome dell’autore, in sovra-impressione o con citazione contestuale entro lo stesso mezzo (ad esempio nei titoli di coda del film o in calce al sito) e, ove possibile, da eventuali note esplicative. Si informa che i dati personali forniti dai concorrenti saranno utilizzati per le attività relative alle finalità istituzionali o promozionali di cui al presente regolamento, secondo quanto previsto dal D.Lg. 30 giugno 2003 n. 196.

Deep sky di qualità da cieli fortemente inquinati

Ciao a tutti, ragazzi!

È da un po’ che mi riprometto di sottoporvi qualcosa di valore sul deepsky, ma in effetti, coi tempi (e gli inquinamenti) che corrono, questo tipo di ripresa diventa sempre più difficile da realizzare… Come tutti sappiamo bene, estremo rifugio dell’astrofotografo (e dell’astrofilo in generale) sono le vette delle nostre amate montagne, Alpi e Appennini, così come i più bui entroterra delle isole maggiori e più in generale tutte le zone a bassa antropizzazione. Tuttavia, operare da questi contesti è sempre più impegnativo: quand’anche volessimo escludere la complessità organizzativa che impone una sessione di ripresa in queste zone, tra i mille impegni lavorativi e familiari che tutti abbiamo, rimane pur sempre da constatare che anche questi luoghi sempre più sono intaccati dalla piaga dal dilagante spreco energetico legato alla illuminazione notturna, pubblica e privata…

Ebbene, proprio per questo non è di luoghi di frontiera per la civiltà, che oggi voglio parlare, ma più spiccatamente di comode e vicine città. Città certo nottetempo inquinate, e pesantemente anche, da luci di tutti i tipi. Insomma, degli ultimi luoghi in cui ci si aspetterebbe di trovare un astrofilo felice, men che meno un astroimager che si occupi di deepsky… E invece no. Perché, come ebbe a dire qualcuno, “la vita trova sempre un modo”, e noi astrofili, in questo senso, siamo dei veri eroi: un modo lo troviamo. Sempre! D’altro canto che sarà mai, per coloro i quali hanno fatto dell’osservazione di minuscoli, tenui e lontanissimi bagliori nel buio la loro grande passione, affrontare il “modesto” problema dell’avere qualche centinaio di lux al suolo in piena notte? Eccheccazzo!!!

Sarcasmo a parte, i più esperti certo lo sanno bene, per riprendere gli oggetti deepsky con risultati grandemente qualitativi esistono da diversi anni in commercio dei filtri, i filtri narrow band (a banda stretta), che permettono di realizzare ottime riprese anche dai medi cieli urbani. Il principio è molto semplice: sapendo che le sorgenti astronomiche emettono, un po’ come dei radiofari, soprattutto in alcune precise bande dello spettro elettromagnetico, è sufficiente “sintonizzarsi”, grazie a questi filtri, su quelle specifiche frequenze (idrogeno ionizzato, ossigeno ionizzato, zolfo ionizzato, ecc..), ancora abbastanza poco intaccate dall’IL, per ottenere una luce meno spuria, quasi inviolata. Una luce in presa diretta dallo spazio profondo.

Più in dettaglio, però, oggi andiamo a parlare di chi suole fare delle riprese narrow band un vero “sport estremo”, andando direttamente al cuore della questione: andiamo a parlare, cioè, di come sia possibile effettuare riprese deepsky di alta qualità persino dai pressi della più inquinata città della Pianura Padana, nonché, probabilmente, di tutta Italia: Milano! La splendida città meneghina, ricca di storia e bellezze è infatti, purtroppo, anche la patria nazionale dell’inquinamento luminoso, con una brillantezza media annua del cielo notturno che non teme il confronto con nessuna tra le maggiori megalopoli europee e mondiali. Per intenderci, Londra, Parigi e Berlino sono sovrastate da mostro luminoso che irradia il cielo notturno in maniera non dissimile da quanto avviene nella città della Borsa.

Come accennato, fare riprese in questi contesti può risultare un po’ uno “sport estremo”, ma non per questo risulta essere qualcosa di impossibile. Basta avere i giusti strumenti e la giusta passione.
Di questo stesso mio avviso, evidentemente, è anche l’amico e ottimo (astro)fotografo, Marco Formenton, che da lì opera: proprio dai pressi di Milano!

Le immagini che realizza testimoniano una passione evidente, ma quel che risulta molto meno evidente sono le lunghissime ore di lavoro necessarie per effettuare l’elaborazione e, ancor di più, le riprese stesse. Eh, sì, perché, per chi non lo sapesse, i filtri narrow band di qualità sono davvero stretti, e lasciano passare solo una minima quantità di luce (circa il 2% delle frequenze). Questo comporta ovviamente un aggravio notevolissimo delle difficoltà tecniche.

Certo, le riprese sono state realizzate con un setup di alta qualità, studiato da noi appositamente assieme a Marco; ma si tratta di un setup assolutamente tutt’altro che fantascientifico, di fatto alla portata di tutti!
Si tratta di un tripletto FPL53 TS TLAPO804 e di un tripletto FPL51 Tecnosky 115/800 V2, ridotti e/o spianati ed equipaggiato di una camera CMOS ASI1600MMC, dal costo davvero accessibile; il tutto, su una sempreverde montatura Skywatcher EQ6 moddata Astronomy Expert. Ah, sì, naturalmente anche dei filtri di buona qualità, sono un po’ indispensabili: perché qui i filtri fanno la differenza, letteralmente, tra la notte (o qualcosa che ci somiglia) e il giorno (o qualcosa che ci somiglia)… 🙂

Con ciò detto, non mi resta che passare la parola all’autore delle splendide foto che avrete certo già iniziato ad apprezzare con un veloce scroll di pagina. Altrimenti non credo vi sareste sorbiti questo mio polpettone introduttivo… :DDD

In nostri ringraziamenti vanno a Marco per il contributo e lo splendido lavoro svolto, che (ancora una volta in questa sede lo voglio ribadire) ci mostra come conti infinitamente di più una grande passione di tutto il resto. È questa passione, incontenibile, che dovrebbe guidare la vita di tutti noi: anche se ci porta al sacrificio di un meritato sonno in favore di lunghe ore di impegno e concentrazione; anche se ci costringe a stare al freddo vero, magari dietro a una guida che fa i capricci; anche se ci porta a passare il weekend a mordersi le unghie mille volte dietro a un monitor, alla ricerca della una elaborazione perfetta, che non viene mai…

Senza impegno, senza dedizione, senza sacrificio, non si va da nessuna parte, ragazzi! E anche allora, non è mai detto, fino alla fine, fino a risultato incassato, fino a quando ciò che cerchi non compare davanti ai tuoi occhi, e lascia stupito pure te…

Come sempre, l’astronomia è vera, grande maestra di vita!!!

Non solo quando siamo al telescopio.

Buona lettura a tutti.

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA


Ho alzato per la primissima volta il naso all’insù nel settembre 2016 quando insieme all’amico Fabrizio Vicini ho scoperto lo spettacolo della Via Lattea alta nel cielo. Fabrizio, che già era appassionato di astronomia cominciò a farmi notare le costellazioni che ruotano lungo la polare, l’Orsa Maggiore e Cassiopea, poi fece uno scatto, per me a quell’epoca era uno scatto a casaccio nel cielo, poi mi fece vedere lo schermo della reflex, fece uno zoom e mi disse: “vedi quel batuffolo di cotone? Ecco quella è la galassia di Andromeda!”.

Rimasi sbalordito!

Da lì la voglia di scoprire cosa si celasse in ogni angolo del cielo si è insinuata nella mia mente, ho iniziato a documentarmi, a scoprire un mondo per me totalmente nuovo fino a quando, nel febbraio 2017 acquistai il mio primo Skywatcher Star Adventurer a cui affiancai la mia reflex Nikon D750.

Da questo momento cominciai a sperimentare.

Il primo scoglio fu metter in polare la strumentazione che per uno come me che mai si era dedicato all’osservazione astronomica era già un bel traguardo.

Poi i primi scatti alla Grande Nebulosa di Orione, M42, la più semplice, non fotograficamente, ma da centrare, perché non riconoscendo ancora le costellazioni non è per nulla semplice inquadrare soggetti invisibili al nostro occhio.

Cominciai a vedere i primi risultati verso marzo, passando ore ed ore in mezzo alle campagne del Pavese a provare e riprovare.

Lo Star Adventurer e la Nikon D750 cominciarono presto a starmi stretti.

Mi rivolsi allora ai ragazzi di Teleskop Service Italia dove acquistai la mia prima montatura equatoriale Skywatcher NEQ6 Pro con modifica Rowan cui affiancai lo splendido Skywatcher 200 f4.

Presto mi ritrovai in un ambiente nuovo, ma in cui ero a mio agio, dove ho conosciuto tante persone nuove ma soprattutto buoni amici, in particolar modo il fantastico team Eye In The Sky Astronomy di Caldonazzo che ammiro e stimo moltissimo!

A Luglio 2017 partecipai al mio primissimo star party organizzato proprio dai ragazzi dell’EITSA sul monte Panarotta e lì scoprii davvero la differenza di un buon cielo rispetto a dove riprendo abitualmente.

La passione si è sempre fatta più forte in me e decisi di fare il grande salto verso sensori più performanti, ma in un momento di trasizione forte come questo è stato arduo scegliere tra sensore CCD oppure CMOS.

Ad oggi, a distanza di un anno, parecchie ore di sonno in meno e tanti sacrifici ecco il mio setup (spero) definitivo:

Montatura: Skywatcher AZEQ6 GT
Camera: Zwo ASI1600MM-C
Filtri: ZWO LRGB – HAlfa 7nm – SII 7nm – OIII 7nm
Guida: QHY5-LII su OAG TS-Optics Off-Axis Guider TSOAG9
Telescopio: TS Photoline Triplet FPL-53 Super Apo – 80mm aperture / 480mm focal length (f/6)
Tecnosky Rifrattore ApoTripletto 115/800 V2
Riduttore/Spianatore: TS-Optics PHOTOLINE 2″ 0,79x Reducer 4-element for Astrophotography
Spianatore: TS-Optics PHOTOLINE 2″ 1.0x Flattener for Refractors and Apos

Il luogo delle mie riprese è per il 99% il terrazzo di casa mia, in provincia di Pavia, ad una trentina di minuti a sud di Milano, da qui il mio uso smodato dei filtri narrowband che permettono la ripresa di soggetti deboli con buoni risultati.

In alternativa, lavoro e famiglia permettendo mi sposto sulle colline dell’oltrepò, a meno di un’ora da casa dove il cielo raggiunge un SQM di 21.

Ma le serate più belle restano quelle trascorse in Trentino, in compagnia di Andrea, Silvano, Roberto, Simone e tutto il fantastico gruppo EITSA a cui sono molto affezionato!

Una esperienza con il nostro APO 115/800 FPL51

Ormai lo sanno tutti: nel mood di questo blog, è stato già detto in tutte le salse, non c’è l’idea che la divulgazione dell’astronomia debba essere uno spazio elitario, che rende ogni spazio una sorta di cassa di risonanza autoreferenziale dei soli grandi nomi, da tributare a chi ha grandi competenze, strumenti blasonati e costosi e una esperienza strutturata di fascia altissima!

Per noi di TS Italia, gli spazi per la divulgazione astronomica devono intendersi come punti di incontro per gli astrofili, devono sempre più diventare spazi e momenti dedicati a far valere l’esperienza sul campo, la propria esperienza sul campo; quella personale, quella vera, quella genuina, qualsiasi essa sia, cercando sempre di essere costruttivi e di dare un proprio contributo. Certo una goccia nel mare. Ma una goccia che possa contare. E in fondo non è proprio questo il modo di operare di chi contribuisce alla crescita del sapere? Piccoli passi, silenti, senza troppo clamore… Amatoriali o professionali che siano!

In questo blog, insomma, vogliamo che a contare sia anche il contributo di astrofili comuni, astrofili come noi!

Oggi, quindi, vi introduco un nostro carissimo e giovane amico astrofilo, Nicola Russo, il quale, complice la giovane età – e non, come si sente dire troppo spesso, “a dispetto della giovane età” – ha dimostrato di disporre di una grandissima passione e di una genuina voglia di sperimentare e mettersi in gioco.

Per noi ha realizzato una semplice ma molto interessante prova del suo rifrattore TS APO 115/800 FPL51, effettuando anche un confronto con il suo storico TS APO 80/480 FPL53.

I contribuiti fotografici sono tutti suoi, e sono sicuramente di valore. Sono visibili cliccando sul titolo di questo post per aprirlo in dettaglio.

Grazie Nicola!

Buona lettura a tutti.

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA


 

Carissimi amici astrofili vorrei scrivere due righe per una breve recensione sul rifrattore TS 115/800.

Essendo già possessore di un TS 80/480 flp53 per riprese a largo campo , mi sono più volte posto il problema di quale telescopio acquistare per riprese di galassie e planetarie.

All’inizio ero intenzionato a prendere un RC 8 o un APO 130 mm TS, ma leggendo in rete ho notato che sulla mia montatura CGEM entrambi erano abbastanza ostici da bilanciare, con il rischio di non poter fare lunghe esposizioni.

Alla fine mi sono soffermato su questo rifrattore 115/800, che mi intrigava molto; leggendo tra i vari forum e avendo trovato online alcune recensioni, ho notato che in molti erano dubbiosi, in particolare, per il fatto che il telescopio monta dei vetri FPL51. Volendolo comunque acquistarlo, ho cercato su Astrobin alcune foto realizzate con questo telescopio e ne sono rimasto molto colpito.

Oggi posso dire che mai scelta è stata più felice: rapporto qualità/prezzo davvero buono, robustezza e praticità unica e ottimo focheggiatore, molto robusto: l’ho utilizzato sia con la reflex 40D sia con la camera CCD QHY10, non notando alcuna problematicità, con entrambi i setup. Sono riuscito a realizzare guide di oltre 500 secondi, con ottimi risultati.

Grazie allo spianatore/riduttore TSRED 0.79x, sono riuscito a sfruttare eccellentemente i generosi sensori della reflex e del CCD.

Il tubo dispone anche di un paraluce estraibile, davvero fluido e utilissimo.

Infine, parliamo un po’ di questi famosi vetri FPL51: sarà forse perché non mi considero ancora un astrofilo di grande esperienza, oppure sarà legato al fatto che effettuo le mie riprese prevalentemente sotto un cielo cittadino, con inquinamento luminoso notevole, ma nella mia modesta esperienza trovo che la differenza rispetto ai più blasonati e costosi vetri FPL53, come quelli presenti nel mio TS 80/480, sia davvero estremamente contenuta.

Le stelle con questo telescopio risultano perfettamente puntiformi e prive di aberrazioni cromatiche su tutto il campo!
Posso dire con certezza che, per chi oggi è intenzionato ad acquistare un rifrattore di qualità con apertura superiore ai 100mm, avendo anche un occhio di riguardo al budget, il TS 115/800 è forse la scelta migliore!

Nicola Russo

Albino Carbognani: piccoli punti di luce che si muovono in cielo

Quando si parla di nomi come questo, ogni presentazione risulta superflua; tuttavia non posso fare a meno di spendere alcune brevi parole su Albino Carbognani, che oltre ad essere uno dei grandi nomi dell’astronomia nel nostro paese, e un amico di vecchia data, si rivela essere persona sempre capace di sorprendere. Uno di quelli che riesce a mostrarti, a farti capire davvero, che chi nasce astrofilo, astrofilo rimane. Per tutta la vita! Al di là dei successi conseguiti nel mondo scientifico; al di là della ricerca professionale; al di là persino degli strumenti pazzeschi coi quali puoi operare ogni santo giorno, fino a renderli routine.

L’astrofilia, ci insegna Albino, è qualcosa in più, qualcosa che va oltre la semplice osservazione amatoriale del cielo.

L’astrofilia è contemplazione, l’astrofilia è stupore, l’astrofilia è passione; grande, che non si spegne mai. È quella strana forma di sana follia che ti fa svegliare nel cuore della notte, anche se qualcuno all’altro capo del letto ti invita a restare; anche se fuori c’è un mondo assonnato, avvolto dal gelo. Ti fa alzare, preparare, impegnare e faticare per ore, se serve, al solo scopo di poter osservare ancora una volta quel piccolo puntino luminoso lassù… È quell’istinto che ti spinge a fare e impegnarti ancora, con il cuore, con l’anima, con il poco tempo libero che hai, con i conti che non tornano mai, anche quando già in tanti, prima di te, si sono cimentati con quel CCD su quella galassia.

È un desiderio, una fame, che non passa mai; neanche quando sai, come il nostro Albino, che lo strumento che stai per usare, il TUO telescopio, l’estrinsecazione materiale di ciò che fa di te un astrofilo, all’osservatorio non farebbe nemmeno la funzione di guida.

Ecco, questo è il modo in cui voglio introdurre oggi lo splendido articolo di Albino, che pubblico qui sotto: un grande lavoro, di un grande amico, ma soprattutto di un grande astrofilo!

 

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA

 

 


 

Piccoli punti di luce che si muovono in cielo

Come e perché fare la fotometria degli asteroidi

 

Albino Carbognani, Ph.D.

Spesso e volentieri gli astrofili che usano telescopio, montatura computerizzata e camera CCD hanno come obiettivo principale l’astrofotografia di oggetti deep-sky, cioè la ripresa di nebulose, ammassi stellari e galassie, principalmente per fini estetici con la rincorsa al dettaglio più tenue. Si tratta di una attività che può dare molte soddisfazioni, i sottili disegni delle nebulose e le delicate trame delle galassie hanno il loro indubbio fascino. Peraltro l’astrofotografa richiede un notevole investimento in attrezzatura piuttosto sofisticata, senza contare il tempo che richiede per ottenere buoni risultati.

Considerato l’investimento sulla strumentazione può essere interessante chiedersi come si possa svolgere anche una attività interessante dal punto di vista scientifico: l’imaging deep-sky non esaurisce sicuramente tutte le possibilità di utilizzo. Certo, quando si fa scienza si devono compiere delle misure e questo può complicare la strada da percorrere per ottenere dei risultati, ma la soddisfazione alla fine sarà veramente notevole. Sotto questo punto di vista gli asteroidi offrono diverse possibilità entusiasmanti!

 

L’astrometria dei NEA

La prima attività scientifica cui si può pensare quando si tratta di corpi minori è la caratterizzazione orbitale degli asteroidi near-Earth (NEA). Si tratta degli asteroidi che con la loro orbita possono passare a meno di 0,3 UA dalla Terra. Sulla scala dei milioni di anni le orbite dei NEA sono talmente instabili (cioè caotiche) che rappresentano un potenziale rischio impatto per il nostro pianeta. Complessivamente ne sono noti più di 15.600 e negli ultimi anni la media delle nuove scoperte è di circa 1000 ogni anno. Grosso modo è noto il 95% dei NEA con diametro pari o superiore al km, poco meno di 1000 oggetti. L’obiettivo ora è la scoperta e caratterizzazione della maggior parte degli oggetti con diametro superiore ai 140 m, attività che richiederà ancora parecchi anni per essere portata a termine perché più si scende con il diametro e maggiore è il numero degli oggetti. Il valore minimo di 140 m per il diametro può sembrare piccolo, in realtà non lo è affatto se si considera che la celebre Catastrofe di Tunguska del 30 giugno 1908 è stata provocata dalla caduta di un piccolo asteroide di soli 50 metri di diametro! In effetti il danno che un asteroide è in grado di provocare è sì proporzionale alla massa ma anche al quadrato della velocità di caduta. Essendo quest’ultima dell’ordine di svariate decine di km/s ecco che anche un piccolo oggetto può causare un danno rilevante.

Un tipico NEA è quindi un oggetto “piccolo” e anche molto scuro perché la superficie assorbe gran parte della luce solare. Per questo motivo un NEA può essere scoperto solo quando è già in prossimità della Terra e approssimativamente nella direzione opposta al Sole. A questo scopo è necessario impiegare grandi telescopi con ampi campi di vista, in grado di scansionare l’intera sfera celeste nel più breve tempo possibile e ripetere il processo in continuazione. Chiaramente attrezzature di questo tipo sono oltre le possibilità di un astrofilo. In effetti le survey che si occupano della scoperta dei NEA sono tutte statunitensi, fra quelle di maggior successo ci sono la Catalina Sky-Survey in Arizona, che utilizza due telescopi da 68 e 150cm di apertura, e Pan-STARSS nelle Hawaii con due telescopi da 180 cm di diametro.

Il contributo degli astrofili diventa importante nella fase successiva alla discovery, quando gli oggetti appena scoperti vengono inseriti nella NEO Confirmation Page (NEOCP) del Minor Planet Center per la conferma e la determinazione preliminare dell’orbita. Peraltro contribuire alla caratterizzazione astrometrica di un NEA, oltre al valore scientifico del lavoro, ha il suo indubbio fascino!

Purtroppo però, negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento della magnitudine dei NEA da confermare, come è logico aspettarsi visto che tutti gli asteroidi “grossi” oramai sono noti. Di conseguenza, mentre nel 2005 anche con un piccolo telescopio da 25-30 cm di diametro c’era solo l’imbarazzo della scelta perché gli oggetti avevano una magnitudine apparente attorno alla +18, ora si veleggia attorno alla +20 con tendenza a salire. Chiaramente se il diametro del telescopio è troppo piccolo, diventa difficile ottenere delle immagini misurabili per dare il proprio contributo.

Tuttavia la determinazione dell’orbita non esaurisce tutto quello che si può fare su un NEA o, meglio, su un asteroide di Fascia Principale (MBA). Infatti, una volta nota l’orbita, dell’asteroide in sé non conosciamo ancora niente. Per questo il passo successivo all’astrometria è la fotometria, che permette di studiare fisicamente l’asteroide: in primo luogo di determinare il periodo di rotazione. La buona notizia è che si tratta di un campo di ricerca dove anche con un piccolo telescopio si può dare il proprio contributo e che si possono fare delle scoperte del tutto inattese!

Attualmente, nel database del Minor Planet Center ci sono circa 474.000 asteroidi numerati, di cui appena 20.200 (circa il 4,3 %), hanno un nome. Dai dati presenti nell’Asteroid Lightcurve Database, uno dei punti di riferimento per chi si occupa di fotometria degli asteroidi, gli oggetti numerati di cui è noto il periodo di rotazione sono circa 16.000, pochissimi rispetto al totale dei numerati: solo il 3,4%. Considerate le magnitudini in ballo per un tipico MBA (da +14 alla +16), si tratta di un settore dove si può dare il proprio contributo originale anche con telescopi di piccolo diametro (20-30 cm). La caratterizzazione fisica degli asteroidi è un campo di ricerca con ampie possibilità di sviluppo, anche per i prossimi anni, e poi fare la fotometria degli asteroidi permette di caratterizzare fisicamente questi antichi testimoni dell’evoluzione del Sistema Solare.

 

La strumentazione per la fotometria

Vediamo qualche indicazione strumentale sul “setup ideale” da utilizzare per la fotometria degli asteroidi. Prima di tutto il telescopio deve avere almeno 20 cm di diametro e deve essere accessoriato con una buona camera CCD a 16 bit, cioè con circa 216 = 65.536 livelli di intensità possibili. La camera deve essere almeno raffreddata con una cella Peltier avente un delta T di 30-40 °C rispetto alla temperatura ambiente e deve essere del tipo non-ABG, cioè senza antiblooming. L’antiblooming, utile per l’estetica delle foto deep-sky, non deve essere presente perché con quest’ultimo si perde in sensibilità, risoluzione e risposta lineare tutte caratteristiche importanti quando si fa ricerca scientifica. Il sensore deve essere del tipo in bianco/nero per massimizzare l’efficienza quantica e la camera può essere dotata di una ruota portafiltri con filtri standard B, V, R e I di Johnson-Cousins. La scala dell’immagine CCD può oscillare da 1 a 2 secondi d’arco per pixel, dipende dalle condizioni di seeing locali, in modo tale che il diametro stellare sia descritto da almeno 2-3 pixel. In ogni caso, per questo tipo di lavoro non sono necessarie le lunghe focali tipiche delle riprese planetarie in alta risoluzione, o i lunghissimi tempi di posa caratteristici della fotografia deep-sky.

Per avere misure fotometriche attendibili è necessario che l’immagine dell’asteroide non sia in saturazione ed è obbligatorio fare i file di calibrazione standard da applicare alle immagini, riprese ovviamente nel formato FITS (Flexible Image Transport System) standard. Da evitare nel modo più assoluto formati compressi come il jpg perché si perde l’informazione fotometrica. I file di calibrazione necessari sono il master dark, ottenuto dalla mediana di alcune decine di dark frame presi alla stessa temperatura e identico tempo di esposizione delle immagini e il master flat, ottenuto dalla media di almeno alcune decine di flat frame singoli, ovviamente ciascuno corretto con il proprio master dark.

La presenza di un telescopio di guida e di una camera di autoguida con porta ST4 da collegare alla montatura può non essere necessaria se la montatura equatoriale è sufficientemente stabile e robusta, visto che i tempi di posa tipici sono al più di alcuni minuti. La montatura equatoriale deve essere preferibilmente del tipo a forcella per evitare i problemi fotometrici che può dare il meridian flip, l’inversione degli assi che avviene attorno al passaggio in meridiano e che, di solito, affligge le equatoriali alla tedesca. Per compensare il meridian flip si può ritardare il più a lungo possibile l’inversione della montatura in questo modo si possono ottenere curve di luce più continue, cioè senza “gradini”. Caldamente consigliata infine la presenza del computer per il puntamento automatico, per non perdere tempo prezioso nella fase di ricerca degli asteroidi in cielo.

Per quanto riguarda la scelta dei target interessanti, NEA o MBA, si possono consultare le ultime pagine del Minor Planet Bulletin (vedi http://www.minorplanet.info/mpbdownloads.html), la rivista scientifica internazionale liberamente disponibile in pdf e punto di riferimento per professionisti e non per quanto riguarda la fotometria degli asteroidi.

 

La fotometria d’apertura

In astrofisica con il generico termine fotometria si indica lo studio della radiazione ottica emessa da un corpo celeste, avente una lunghezza d’onda fra 400 e 700 nm (1 nm = 10-9 m). Si parla invece di radiometria quando si considera anche la radiazione emessa al di fuori dell’intervallo del visibile.

In una tipica immagine con una posa superiore alla decina di secondi, le sorgenti puntiformi (stelle, asteroidi ecc.), vengono convolute dagli effetti della turbolenza atmosferica, dall’ottica del telescopio, dalle vibrazioni del tubo ottico e così via. Il risultato è che la distribuzione della luce sul sensore può essere descritta da una superficie gaussiana. Di solito la fotometria che viene fatta sulle immagini CCD, dopo la correzione per master dark e master flat, è la fotometria d’apertura. Con questa tecnica si sovrappone al target un anulus di misura con un diametro pari a 3 volte la full width at half maximum (FWHM), cioè la larghezza a mezza altezza del tipico profilo gaussiano che ha la sorgente puntiforme. Prendere 3 volte la FWHM di una sorgente puntiforme equivale a prendere un anello con un diametro pari a circa 7,1 volte il valore di sigma della gaussiana (vale la relazione 1 FWHM 2,355), quindi con 3 FWHM si è sicuri di includere praticamente tutto il segnale proveniente dalla sorgente puntiforme e raccolto dai pixel del CCD.

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Figura 1. Gli anulus di misura di una sessione di fotometria d’apertura riguardante l’asteroide near-Earth 2002 WP. I cerchi gialli sono per il target, il verde è per la prima stella di confronto, i cerchi rossi sono per le altre quattro stelle di confronto.

Il CCD è un dispositivo a risposta lineare quindi l’intensità I di una stella (in unità arbitrarie), ottenuta sommando l’intensità di tutti i pixel che compongono l’immagine della stella (o dell’asteroide), all’interno dell’anello di misura sarà direttamente proporzionale al flusso luminoso ricevuto. All’intensità I del target va però tolto il valore del segnale proveniente dal fondo cielo e non dalla sorgente che ci interessa. Il valore della intensità del fondo cielo si ottiene leggendo il valore di intensità dei pixel posti in un anello più esterno ma concentrico a quello di misura della sorgente, possibilmente senza stelle di fondo (vedi Fig. 1). Se indichiamo con B il valore del fondo cielo (che si ottiene dal valore medio del pixel del fondo moltiplicato per il numero di pixel misurati del target), il segnale del solo target sarà dato da:

1  (1)

Noto il segnale S della sorgente, si può calcolare quella che è nota come magnitudine strumentale:

2  (2)

Qui t è il tempo di posa dell’immagine e S/t è una quantità proporzionale al flusso della sorgente. In questo modo si possono confrontare le magnitudini strumentali dello stesso target ma riprese con tempi di posa diversi.

Una volta misurata la magnitudine strumentale del target e delle stelle di confronto si può ottenere la variazione di magnitudine del target in funzione del tempo usando la tecnica della fotometria differenziale. La fotometria differenziale consiste essenzialmente nel misurare la differenza di magnitudine strumentale fra il target e la media delle magnitudini strumentali di due o più stelle di confronto scelte nello stesso campo di vista. Rispetto alla fotometria calibrata quella differenziale non richiede particolari condizioni di trasparenza costante del cielo e fornisce una buona accuratezza quando si tratta di misurare piccole variazioni di luminosità (inferiori al decimo di magnitudine), perché sia la luce del target sia delle stelle di confronto attraversano la stessa air-mass e, se hanno colore simile, subiscono anche gli stessi effetti di estinzione atmosferica.

In effetti, volendo essere pignoli, la differenza delle magnitudini strumentali differisce di una quantità proporzionale alla differenza degli indici di colore CI dalla differenza delle magnitudini apparenti vere secondo l’equazione:

3  (3)

Tuttavia, nel caso degli asteroidi che riflettono la luce del Sole gli indici di colore sono grossomodo simili a quelli della nostra stella (B-V = 0,66 e V-R = 0,53), e se anche si osserva senza filtri ma si usano come stelle di confronto quelle di tipo solare, allora le differenze delle magnitudini strumentali saranno praticamente uguali alle differenze delle magnitudini apparenti perché il secondo termine della Eq. (3) si annulla o è molto piccolo.

Ovviamente, visto che gli asteroidi si spostano in cielo sia per effetto del moto orbitale attorno al Sole sia per effetto del moto eliocentrico della Terra, il set di stelle di confronto utilizzabile per la fotometria differenziale cambia da una sera all’altra (o da un’ora all’altra nel caso di NEA veloci), e una delle prime difficoltà da superare sarà il “raccordo” fra le curve di luce appartenenti a sessioni diverse, specialmente se il periodo di rotazione è molto lungo. Il problema del raccordo delle sessioni è evidente nel caso della semplice fotometria differenziale, mentre si riduce notevolmente con la fotometria assoluta, calibrata usando come riferimento fotometrico le stelle di confronto del campo di vista. Non entreremo nel dettaglio della fotometria calibrata, ma i cataloghi stellari utilizzabili, entro alcuni centesimi di magnitudine e per target fino alla mag +15, come riferimento per le magnitudini sono l’UCAC4 (USNO CCD Astrograph Catalog), il CMC15 (Carlsberg Meridian Catalogue) e l’ultima release dell’APASS (AAVSO Photometric All-Sky Survey).

La selezione dell’asteroide da osservare avviene in base agli obiettivi che ci si propone di raggiungere, alla magnitudine apparente, alla velocità angolare, al range di air-mass e al numero di ore che un asteroide può essere osservato (in generale più sono e meglio è). Anche in condizioni di bassa turbolenza atmosferica, il target deve essere ad almeno 25° di altezza sull’orizzonte (air-mass = 2,4), in modo da minimizzare gli effetti deleteri del cattivo seeing e dell’assorbimento atmosferico che abbassano il rapporto segnale/rumore.

Gli asteroidi si spostano sulla sfera celeste, non sono target statici specialmente i near-Earth, di conseguenza il tempo di esposizione è determinato in base alla necessità di avere una immagine del target relativamente puntiforme sull’immagine, anche se in campo fotometrico una certa elongazione è ben tollerata dai software di misura. Un tempo di esposizione ragionevole (in minuti) sarà dato dalla FWHM (in secondi d’arco) diviso per la velocità angolare del target (secondi d’arco/minuto). In questo modo si raddoppiano le dimensioni della FWHM nella direzione del moto dell’asteroide, una elongazione ancora facilmente misurabile. Le esposizioni tipiche sono di 30-240 s per i MBA, la cui velocità angolare tipica è di 0,5 arcsec/minuto, e di 5-120 s per i NEA con velocità tipiche di 5-10 arcsec/minuto.

Fissato il tempo di esposizione bisogna verificare su immagini di prova che il valore del rapporto segnale/rumore (o SNR, Signal to Noise Ratio), sia adeguato alla incertezza fotometrica che si vuole raggiungere. Questo è un punto importante, spesso sottovalutato: non basta che l’asteroide sia genericamente visibile sull’immagine per avere automaticamente una buona fotometria. Facendo qualche stima si trova che per avere una precisione fotometrica con una incertezza di 0,02 mag è necessario avere SNR 50. Un valore eccellente è SNR 100, perché l’incertezza scende a 0,01 mag mentre un valore ancora accettabile, specialmente per asteroidi con una discreta ampiezza della curva di luce, è SNR 25 a cui corrisponde una incertezza di circa 0,04 mag. Di solito il SNR viene stimato direttamente dal software fotometrico quindi non è necessario avventurarsi in calcoli complessi.

Uno dei software di riferimento per la fotometria degli asteroidi, sia differenziale sia calibrata, è MPO Canopus (http://www.minorplanetobserver.com/MPOSoftware/MPOCanopus.htm) di Brian Warner. Per la verità con Canopus è possibile anche la fotometria delle stelle variabili anche se non è il suo utilizzo principale. Questo programma richiede un certo periodo per l’apprendimento del corretto utilizzo, fase che non va saltata pena il rischio di ottenere risultati fotometrici errati o poco attendibili. Caldamente consigliata anche la lettura del libro “A Practical Guide to Lightcurve Photometry and Analysis”, scritto dallo stesso Warner ed edito dalla Springer, in cui vengono illustrati in dettaglio i principi della fotometria asteroidale. Sono diversi i settori dove la fotometria degli asteroidi può dare un contributo, fra questi vedremo in dettaglio:

  1. La determinazione del periodo di rotazione

  2. La spin-barrier e la “caccia” ai large super-fast rotator

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Figura 2. Una tipica sessione di MPO Canopus dopo l’analisi di Fourier, con la curva di luce dell’asteroide in fase e il corrispondente spettro dei periodi.

 

Determinazione del periodo di rotazione di un asteroide

Una tipica sessione di fotometria differenziale per la determinazione del periodo di rotazione di un asteroide vede la ripresa di immagini in modalità “fitta”, cioè una dietro l’altra, per una durata di diverse ore. Nel caso di asteroidi con periodo di rotazione completamente sconosciuto l’osservazione fotometrica deve essere fatta su almeno 2-3 notti consecutive prima di sperare di avere una buona misura (a meno che l’asteroide non sia un rotatore lento!). Generalmente, i periodi sono di 6-8 ore quindi almeno due-tre sessioni lunghe sono il minimo per avere una buona probabilità di successo. A questa segue la fase di riduzione dei dati: scelta delle stelle di confronto nel campo di vista, misura della magnitudine strumentale del target e delle confronto, calcolo della media delle magnitudini strumentali delle stelle di confronto da sottrarre al target e, infine, plot della magnitudine differenziale in funzione del tempo. Può capitare che una delle stelle scelta per il confronto non sia costante, in questo caso ci potrebbe scappare anche la scoperta di una nuova stella variabile. Per togliersi il dubbio è bene consultare il catalogo VSX, il Variable Star indeX, dell’AAVSO.

Da una o più sessioni della durata di alcune ore si otterrà la tipica curva di luce in fase di forma genericamente bimodale, cioè con due massimi e due minimi, come ci si aspetta da un generico corpo irregolare di forma allungata in rotazione attorno al proprio asse (Fig. 3). Ovviamente non sempre è così, ci possono essere curve trimodali o più complesse. In generale, vale la regola statistica che maggiore è l’ampiezza della curva di luce e più è probabile che la curva sia bimodale.

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Figura 3. La curva di luce di un asteroide in rotazione attorno al proprio asse è una funzione periodica di periodo P e la forma più probabile è quella bimodale, cioè con due massimi e due minimi a seconda della superficie, più o meno estesa, illuminata dal Sole e rivolta verso la Terra. L’ampiezza della curva di luce si misura dal massimo al minimo assoluto.

Per la determinazione del periodo di rotazione degli asteroidi si usa l’analisi di Fourier. In MPO Canopus i dati fotometrici con le magnitudini ridotte di ogni sessione vengono fittate con una serie di Fourier di grado m finito a scelta. La stima del miglior periodo P che fitta tutti i dati è quello che fornisce il minore scarto fra la curva di Fourier teorica e i valori osservati della magnitudine (spettro dei periodi). Attenzione però: minimizzare lo scarto non garantisce l’unicità della soluzione per il periodo P, specie se la curva di luce è simmetrica, cioè massimi e minimi sono uguali fra loro o i dati non coprono una intera rotazione dell’asteroide! E ora vediamo perché può essere interessante determinare il periodo di rotazione di un asteroide.

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Figura 4. La curva di luce in fase, il fit di Fourier al 4° ordine e lo spettro dei periodi per l’asteroide di fascia principale 3433 Fehrenbach. L’ampiezza del curva di luce è abbastanza elevata e l’incertezza sui singoli punti è di circa 0,02 magnitudini. Lo spettro dei periodi mostra un minimo principale attorno alle 4 ore (soluzione bimodale) ed un minimo secondario attorno alle 2 ore (soluzione monomodale).

 

La cohesionless spin-barrier e gli asteroidi Large Super-Fast Rotator

Gli asteroidi sono corpi celesti soggetti ad interazione collisionale e la popolazione che vediamo oggi nella Fascia Principale (o main-belt), la zona di spazio compresa fra le orbite di Marte e Giove, è il risultato di miliardi di anni di evoluzione con gli asteroidi che si sono ripetutamente scontrati fra di loro. Questo ha portato alla distruzione parziale dei corpi maggiori, che sono in grado di resistere meglio alle collisioni, e alla distruzione parziale o totale dei corpi più piccoli. La scoperta delle famiglie di asteroidi fatta dall’astronomo giapponese Hirayama nel 1918 supporta questo quadro evolutivo.

L’analisi dei periodi di rotazione dei MBA e dei NEA che da essa derivano, mostra un comportamento che, a prima vista, non ci si aspetterebbe. Se si riporta su un grafico il periodo di rotazione di ciascun asteroide in funzione del diametro si scopre un comportamento affascinante: al di sopra di circa 150-200 metri di diametro i periodi di rotazione sono pari o superiori a circa 2,2 ore, mentre per i corpi più piccoli si possono avere valori anche di molto inferiori (Fig. 6).

Il valore limite di circa 2,2 ore è noto come “cohesionless spin-barrier”, cioè barriera rotazionale senza coesione. Per spiegare la presenza di questa “soglia di sbarramento” si ipotizza che gli asteroidi più piccoli di circa 150-200 m di diametro siano blocchi monolitici, le “schegge” createsi nella collisione di asteroidi con diametro maggiore, mentre i corpi più grandi sarebbero oggetti fratturati dalle collisioni e composti di blocchi più piccoli, non coesi fra di loro, ma tenuti semplicemente insieme dalla reciproca forza di gravità (struttura a “rubble-pile” senza coesione). Un notevole esempio di asteroide rubble-pile è il NEA (25143) Itokawa, esplorato nel 2005 dalla sonda giapponese Hayabusa (Fig. 5).

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Figura 5. L’asteroide (25143) Itokawa ripreso dalla sonda giapponese Haybusa nel 2005. Itokawa è lungo circa 500 m e non presenta crateri da impatto sulla superficie, segno che si tratta di un aggregato di rocce e polveri risultato di una collisione catastrofica che ha smembrato l’asteroide progenitore (ISAS, JAXA).

Che le cose stiano così è dimostrato dal fatto che, se si calcola teoricamente il periodo limite di un asteroide sferico con una struttura a rubble-pile e una densità media di 2,2 g/cm3, si trova proprio un periodo limite di circa 2,2 ore. Per ottenere la formula che ci serve basta osservare che il periodo limite teorico per un asteroide rubble pile senza coesione (che chiameremo Plim), si trova imponendo che l’accelerazione superficiale dovuta alla rotazione dell’asteroide di raggio R e massa totale M sia pari a quella di gravità dell’asteroide stesso (condizione di moto circolare). In questo modo si impone la condizione che i blocchi superficiali di cui è fatto l’asteroide rubble-pile seguano un’orbita circolare con raggio pari a quello del corpo stesso. Per il periodo limite si trova:

4  (4)

Nella Eq. (4) G è la costante di gravitazione universale e vale G = 6,674x10-11 m3 kg-1 s-2, mentre ρ è la densità media dell’asteroide. Si può verificare che per ρ = 2200 kg/m3 (equivalenti a 2,2 g/cm3), si ottiene un periodo limite di circa 2,2 ore. Se il periodo di rotazione diminuisce al di sotto di Plim, l’equilibrio si rompe e l’asteroide si separa nei blocchi distinti di cui è composto. Notare come questo risultato sia indipendente dal diametro stesso dell’asteroide: che sia grande o piccolo un asteroide rubble-pile che ruota troppo veloce si sfascia comunque! Secondo questo modello un asteroide rubble-pile che si trova con un periodo di rotazione al di sotto di quello della spin-barrier si frammenterà dando vita, ad esempio, ad un sistema binario. In effetti uno dei meccanismi più noti per la formazione degli asteroidi binari vede la fissione rotazionale di asteroidi rubble-pile che, a causa dell’effetto YORP, sono scesi con il periodo di rotazione al di sotto del valore della spin-barrier. Questo meccanismo spiega abbastanza bene le caratteristiche rotazionali dei primari fra le coppie di asteroidi, oggetti che hanno orbita eliocentrica simile ma che non sono legati gravitazionalmente.

Abbiamo detto che gli asteroidi con diametri più piccoli di 150-200 metri sono invece considerati veri e propri blocchi monolitici, cioè frammenti collisionali, in grado di ruotare più velocemente del valore limite dato dalla spin-barrier a causa delle intense forze di coesione interne che tengono unito il corpo. Tuttavia ci sono delle eccezioni a questa “regola”, cioè esistono alcuni asteroidi con un diametro superiore ai 200 m (quindi rubble-pile secondo il modello precedente), che però hanno un periodo di rotazione al di sotto della spin-barrier.

Il primo oggetto scoperto a violare palesemente la cohesionless spin-barrier è stato l’asteroide 2001 OE84 nel 2002. Si tratta di un asteroide near-Earth che ruota in 0,4865 ore con un diametro di circa 700 metri. Altro notevole oggetto è l’asteroide main-belt (335433) 2005 UW163 che ha un periodo di rotazione di 1,290 ore e una dimensione di 600 metri, scoperto nel 2014. Uno degli ultimi asteroidi scoperti di questo tipo è il near-Earth 2011 UW158, che ha un periodo di rotazione di 0,6107 ore e una dimensione di 300×600 metri determinata tramite osservazioni radar. Ad ora però nessun asteroide con un diametro maggiore di 1 km ruota più rapidamente di 2,2 ore.

Gli asteroidi che violano la spin-barrier sono chiamati Large Super-Fast Rotator (LSFR). La loro esistenza è stata teorizzata per la prima volta da Holsapple nel 2007 e la teoria è stata successivamente arricchita e perfezionata da Sánchez e Scheeres nel 2014. Questi ultimi autori hanno esplorato la possibilità che, grazie alle forze di van der Waals che si esercitano fra i grani di regolite interstiziali, un asteroide con una struttura a rubble-pile possa avere una forza coesiva diversa da zero. In questo teoria i grani di regolite agirebbero come una specie di “colla” in grado di tenere coesi i blocchi di maggiori dimensioni.

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Figura 6. La frequenza di rotazione degli asteroidi (espressa in rotazioni al giorno), in funzione del diametro in km. La linea tratteggiata orizzontale è la spin-barrier, che equivale a circa 10 rotazioni/giorno. I triangoli rossi sono i sistemi binari, mentre quello verdi sono gli asteroidi con precessione dello spin (tumbler). Per spiegare l’andamento del periodo vs. diametro per gli asteroidi si ipotizza che gli oggetti più piccoli di circa 150-200 m di diametro siano blocchi monolitici, mentre i corpi più grandi sarebbero oggetti fratturati dalle collisioni composti di blocchi più piccoli, non coesi fra di loro, tenuti insieme dalla reciproca forza di gravità (struttura a “rubble-pile” senza coesione). Immagine tratta dall’Asteroid Lightcurve Photometry Database (http://alcdef.org/).

 

La “caccia” agli asteroidi LSFR

La forza di coesione della regolite inizia a diventare importante solo per corpi inferiori ai 10 km di diametro, quindi la ricerca di LSFR va fatta su asteroidi relativamente piccoli. Risulta chiaro che la fotometria degli asteroidi è una tecnica essenziale per andare a caccia degli asteroidi LSFR. Tuttavia l’osservazione dei piccoli MBA può essere difficoltosa. Ad esempio, se consideriamo un tipico asteroide di tipo S con 1 km di diametro posto a 2,5 UA dal Sole, all’opposizione avrà una magnitudine apparente di +20,3. Questo valore è piuttosto alto e fare la fotometria con piccoli strumenti diventa difficile. Per questo motivo è molto più facile andare alla ricerca di LSFR nella popolazione degli asteroidi near-Earth quando fanno il loro flyby con la Terra. I NEA hanno dimensioni che rientrano in quelle tipiche in cui si possono trovare i LSFR e possono diventare sufficientemente luminosi da essere osservati agevolmente anche in piccoli strumenti. L’unica “pecca” di questa strategia osservativa è che il moto proprio di un NEA può essere elevato e una sessione con le stesse stelle di confronto può diventare davvero breve se il campo di vista non è sufficientemente ampio. Per non avere troppi problemi con la durata della sessione ci si può limitare a considerare oggetti con un moto proprio non superiore ai 10 arcsec/minuto. Si tratta di osservazioni non facili ma che possono dare informazioni preziose sulla costituzione fisica dei piccoli asteroidi. Vale la pena andare a caccia di LSFR!

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Figura 6. L’asteroide 2014 VQ è un NEA candidato ad essere un LSFR scoperto nel novembre 2014. Ha un periodo di rotazione di soli 7minuti e una dimensione che può andare da 165 metri (se di tipo V) a 267 metri (se di tipo S).

 

Conclusioni

Come abbiamo visto in questo breve articolo la fotometria degli asteroidi può portare a dei risultati davvero molto interessanti, sia per quanto riguarda lo studio dei singoli oggetti sia per quanto riguarda lo studio di intere popolazioni. Non abbiamo esplorato tutte le possibilità di studio ma quanto detto dovrebbe dare un’idea di quello che si può ottenere. Gli asteroidi meritano di essere studiati, come amo ripetere la migliore motivazione per fare la fotometria di un asteroide è che “non si può mai sapere quello che si troverà osservando quei piccoli punti di luce che si muovono in cielo!”.

Tutorial Heq5 Kit Cinghie Rowan

Abbiamo il piacere di presentarvi qui di seguito uno splendido articolo, scritto dal nostro amico Lorenzo Sestini, Presidente del Nuovo Gruppo Astrofili Arezzo, che gentilmente ci ho fornito il permesso di ripostare il suo articolo, apparso in originale sul blog dell’Osservatorio Astronomico di Arezzo, dal titolo “Tutorial Heq5 Kit Cinghie Rowan”.

Buona lettura!

 


 

Questo che vi propongo è una specie di istruzione di montaggio per il kit modifica cinghie Heq5 Pro Rowan Engineering Ltd acquistato da Telescope Service Italia.

Kit modifica cinghie Heq5 Pro Rowan Engineering Ltd

Non vi dirò se la montatura migliora o no, non ho ancora avuto modo di testare la suddetta modifica. Posso solo aiutarvi passo passo nel montaggio semplice. Chi ha dimestichezza non avrà nessun problema chi invece è poco “adatto” non deve avere timore. Se si segue questo tutorial passo passo non avrete problemi. Meglio comunque farlo fare ad un amico “smanettone”. Insomma se siete tipi da ufficio e calza maglia lasciate fare per non fare danni.

Vi dico subito che il kit è ben fatto, Tutto imbustato perfettamente con la divisione degli ingranaggi per Ar e Dec. State attenti a non invertire i pezzi che se a prima vista sembrano uguali in realtà non lo sono.

Ecco il kit Rowan a Cinghie.

Il kit in questione è stato montato da me con l’aiuto di Luca Vincenti.

Bene, nel frattempo aprite la vostra confezione e lasciate tutto da una parte.

Cominciamo a preparare la nostra bella Heq5 Pro.

Poniamo sopra un tavolo con la parte dei motori rivolta verso l’alto. Si può fare il tutto anche con la testa nel cavalletto ma fidatevi, fate in questo modo. Rischiate di perdere qualche vite. In questo modo vi rimane tutto nel tavolo.

Smontate le 6 viti del coperchio copri motore. Queste poi riponetele in una bustina. Non vi serviranno più.

Una volta aperta noterete subito il grasso sporco, o pulito, a seconda di quanto nuova è la vostra montatura, che dovrete eliminare. Vale la pena avere le cinghi solo per non stare tutte le volte a ingrassare la montatura in questa parte di meccanica. Non scordatevi comunque che la vite senza fine ha bisogno di grasso.

Date una pulita con un panno.

Cominciamo a svitare. Quanto mi piace smontare, fin da piccolo smontavo tutto. Iniziamo dall’ingranaggio fissato nel perno della vite senza fine. Insomma l’ingranaggio più grande.

Prendete la chiave a brugola che viene data in dotazione con il kit e svitate.

Attenzione che ci sono due viti di fissaggio in questo ingranaggio. Svitate prima la vite che va nella parte piana dell’albero della vite senza fine. Poi l’altra. Niente di fondamentale importanza ma ricordo che il tutorial è per quelli da “ufficio”.

Una volta sfilato l’ingranaggio “viene via senza sforzo” pulitelo e scriveteci con un pennarello da dove lo avete cavato. Se qualche cosa andasse storto avrete sempre il vecchio kit pronto per il rimontaggio.

Procedete anche per l’altro ingranaggio.

Bene, ecco qua tutta la sporcizia sotto gli ingranaggi. Pulite! Svitate le due viti che vedete in foto della scocca anteriore della montatura. Poi girate la montatura e svitate le altre tre viti.

Le viti non sono uguali. Tre piu lunghe e 2 corte. Non mischiate. Una volta aperto il carter anteriore avrete modo di vedere il cuore della montatura. La scheda principale. Bene quelli che vedete sono tutti i collegamenti elettronici. I spinotti piu a destra e piu a sinistra sono rispettivamente Ar e Dec. Con l’aiuto di un cacciavite piccolo staccateli. Non tirateli dai fili!!! Ormai che ci siamo se volete illuminare il vostro canocchiale polare esiste il mini kit da attaccare nello spinotto con filo nero e rosso per attaccarcelo. Questo spinotto porta corrente al led dell’illuminatore polare.

Cominciamo a smontare un motore! Non abbiate paura. Non si rompe niente. Prima di smontarlo fate un pallino con un pennarello nero su dove stava alloggiato. Può servire anche se poi il montaggio è obbligato. “ufficio, ricordate”.

Svitate solo le tre viti che attaccano nel telaio della montatura. Sono tre! Non 4 come si potrebbe pensare con l’immagine sotto. Un foro è li per bellezza nel telaio.

Una volta preso in mano il motore puliamo, e svitiamo i due grani presenti laterali al motore sempre con la brugola in dotazione.

Una volta svitato i grani “senza cavarli dalla sede, puliamo tutta la sporcizia anche qui. Per grassi più ostinati utilizzare un pennellino con un pò di benzina.

Ecco pulito il tutto.

Avrete anche a parte un estrattore. Si può farne a meno ma per il costo che ha vi conviene comprarlo. Nella foto sotto ho provato il pezzo ma ancora aspettate ad utilizzarlo. Prima dobbiamo fare un altra operazione.

Dobbiamo smontare il carterino di alluminio del motore. Segnate in tutti e tre gli angoli con un pennarello. Fate dopo ricombaciare i segni per rimontarlo. Non occorre super precisione.

Svitate le viti a brugola e sfilate il carter di alluminio. Avrete cosi in mano il motorino passo passo nudo e crudo.

Inserite l’estrattore e con l’aiuto di un pappagallo tenete forte il pezzo. Avvitate con forza la vite e vedrete che il piccolo ingranaggio del motore si sfilerà piano piano.

Ecco qua!

Riponete tutti gli ingranaggi per bene in una bustina. Non mischiate con l’altro motore! Tre ingranaggi per movimento. Ar e Dec.

Inserite il primo ingranaggio del kit Rowan, e misurate con un calibro 5,5 mm dal motore. Miraccomando fate questa operazione con cura.

Stringete i grani del pezzetto e fate attenzione. Non strigete a morte perche sono piccoli e si rischia spanature. Due grani. Fate un pò alla volta, prima con uno e poi con un altro fino al completo serraggio.

Rimontate il carterino facendo attenzione ai segni del pennarello.

Inserite il pezzo di teflon. Attenzione qui perche ho trovato difficoltà all’inserimento. Il foro del carter e precisissimo. Si deve premere fortemente per infilare.

Fate un pò alla volta con l’aiuto di un martellino in gomma. Se andate troppo “giù” non si torna in “sù”. E’ talmente duro che con cavolo che riuscirte a sfilarlo di nuovo senza piegare niente. Fate piano piano e a occhio controllate che sia in linea con l’altro pezzo che avete montato prima.

Il rondellone o guida di teflon ha una contro battuta sotto. Fate in modo che non sia accostatissimo. Va allentato e fatto calare. Mi sono arrivati questi pezzo troppo serrati. Fate in modo che il rondellone di teflon ruoti bene, anche con un pò di gioco. E’ solo una sede! Non serve precisione al millimetro.

Non ci resta di rimontare il motore con le sue tre viti. Ricordate il pallino di riferimento. Attenzione ai cavi del motorino passo passo. Nel frattempo infilateli dentro per bene senza farli infrenare. Dopo li riprenderete dal d’avanti dellamontatura per riattacarli alle loro sedi. Inseriamo l’ulitmo ingranaggio nella vite senza fine.

In questo caso è solo infilato. Dovrete regolare l’altezza con i due grani di sotto. A occhio alzate e mettete in linea il tutto. Stringete prima il grano dove nell’albero è piana la sede. Poi serrate l’altro di controspinta.

Inserite la cinghia come in figura.

Figo no?

Ripetete il tutto con l’altro motore! Non cambia niente. solo che per la declinazione avremo il pezzo di teflon più piccolo.

Inserite lo spessore dato in dotazione e rimettete il coperchio con le viti in kit più lunghe e il gioco è fatto.

Ecco qua la nostra bella montatura modificata.

Abbiamo acceso subito la montatura e devo dire che vale la pena solo per non sentire più il rumore metallico degli ingranaggi. Ora è silenziosissima. Si sente solo i motorini passo passo già silenziosi di suo. Ora non resta che provare sul campo quanto possa migliorare per l’autoguida. Ai prossimi aggiornamenti.

Lorenzo Sestini.

 


Credit: http://www.lorenzosestini.it/tutorial-heq5-kit-cinghie-rowan.html

Collimazione facile e precisa di un Newton

Collimazione facile e precisa di un Newton

Nella grande panoramica dei telescopi, il Newton è da sempre considerato uno schema ottico che offre una buona apertura in rapporto al costo, grazie alla facilità nella costruzione, rispetto ad altri schemi (rifrattori, SC, etc).
Però la bestia nera della maggior parte degli astrofili è sempre lei: la collimazione.

“Il Newton è bello, tanta apertura, veloce anche in foto, universale, si, ma….”

Ma.
Ma collimiamolo facilmente! Da anni si legge su internet della collimazione dei newtoniani usando la barlow abbinata al collimatore laser. Personalmente ho sperimentato a fondo una combinazione delle 2 cose che vorrei proporvi, senza imbarcarsi in costosi collimatori dalle mille funzionalità, perché a volte si può avere molto con poco!

Setup usato:
Collimatore laser TSLA: http://www.teleskop-express.it/collimazione/226-tsla-ts-optics.html
Lente di barlow…qualsiasi! Io ne ho usata una molto economica: http://www.teleskop-express.it/barlow-e-riduttori/170-tsb21-ts-optics.html

Se poi proprio vogliamo giocarcela ancora meglio, sarebbe fantastico modificare il Newton con uno dei kit di collimazione Astronomy Expert ora disponibili per i GSO (in arrivo anche quelli Skywatcher a fine ottobre!)
http://www.teleskop-express.it/collimazione/2560-ae-collimation-tool-per-newton-gso-passo-metrico-astronomy-expert.html

collimatore per newton e barlow per collimazione telescopio newton

 

Step 1: collimazione del secondario

Iniziamo a collimare il secondario come sempre: inseriamo solo il laser nel focheggiatore e muoviamo le 3 vitine di regolazione del secondario, in modo portare il puntino rosso del laser al centro del bollino bianco incollato sul primario

collimazione_secondario_newton

Bene, ora siamo pronti per la collimazione del primario:

 

Step 2: collimazione del primario

Non tocchiamo il laser (assicuriamoci di averlo montato con la finestrella che guardi dalla nostra parte, mentre siamo posizionati sulla cella del primario) e dobbiamo operare come segue:

Sbloccare le viti di blocco del vostro newton, cella del primario (fare riferimento al manuale di istruzioni..o a noi!)
Portare il raggio laser verso il foro centrale di ritorno, come da immagini, usando le viti di collimazione della cella del primario (come prima, fare riferimento alle istruzioni o a noi per un aiuto)

collimazione_primario_1_newton

collimazione_primario_2_newton

A questo punto siete abbastanza collimati, ma non perfettamente, perché il laser ed i vari riduttori da 2” a 31,8mm hanno delle tolleranze meccaniche tra di loro che rendono la collimazione con il laser, sul primario, buona, ma non perfetta.

Raggiungiamo la perfezione!

 

Step 3: la collimazione fine del primario

Adesso rimuoviamo il laser e montiamo la nostra barlow sul telescopio, inserendo poi nuovamente il laser come se fosse un oculare. Accendiamo il laser e dovremmo vedere qualcosa di molto interessante.
La barlow ha l’effetto di “spalmare” il fascio del laser, che andando a proiettarsi sull’anellino bianco che va ad indicare il centro del primario, produce un’ombra. Essendo circolare il nostro bollino adesivo sul primario, il cerchio avrà anche un suo centro..ovviamente!
Guardate la figura: si vede la macchia del laser, con l’ombra del bollino del primario. Notate anche che al centro dell’ombra ci sono 3 cerchietti concentrici di diffrazione che vanno ad indicare il centro della nostra riflessione (se il bollino è posizionato bene è anche il centro del primario).

Dobbiamo portare questi cerchietti nel centro del foro di ritorno, usando le viti di collimazione del primario, in modo da avere una collimazione a prova di star test!

collimazione_primario_3_newton

notate come non è detto che l’ombra sia concentrica al foro, dalle mie esperienze ho potuto notare come è sempre meglio fare riferimento ai cerchietti centrali di diffrazione per ottenere un’ottima collimazione.

collimazione_primario_4_newton

Adesso facciamo la prova del nove, nel nostro caso posizionando il newton sul nostro banco ottico e..vediamo come va!

Come potete vedere dall’immagine, il telescopio è veramente molto ben collimato, semplicemente guardando il laser e le ombre di ritorno, senza andare ad impazzire con altri sistemi più o meno difficili o costosi.

collimazione_newton_star_test

ATTENZIONE: i giochi meccanici nella chiusura dei raccordi e del laser possono determinare un disassamento dello stesso con l’asse ottico del telescopio. Come potete vedere dalle immagini, nel newton di prova c’è un portaoculari classico con 2 viti di blocco. Con alcuni accorgimenti possiamo ottenere buoni risultati, senza dover andare ad adoperare dei sistemi di chiusura autocentranti (che avrebbero anche cattive ripercussioni sul backfocus disponibile).

Il riduttore da 2” a 31,8mm posizionatelo in modo che la vite vada tra le 2 del portaoculari da 2” del focheggiatore
Prima di serrare il riduttore da 31,8mm, con la mano, tenetelo per premuto sul portaoculari da 2” del focheggiatore, in modo da garantire la massima planarità
Quando inserire il laser e la barlow, il discorso è lo stesso: premeteli sempre nel portaoculari

Cosa succede se collimo bene, ma poi vedo che le figure di intra ed extra sono diverse? Avete il focheggiatore che non è montato in modo parallelo all’asse ottico!
Si può rimediare? Certamente, però è una bella rottura…soluzione? Semplice: se fate foto collimate con il focheggiatore in posizione di messa a fuoco, se fate visuale fatelo con il focheggiatore estratto nel punto di fuoco dato dall’oculare più potente che avete. In questo modo andate ad ottimizzare la collimazione nella posizione di fuoco durante l’utilizzo, avendo così la miglior resa possibile.

Se avete qualche domanda, dubbio, non esitate a scrivermi: rc@teleskop-express.it

I Newton odierni sono strumenti ottimi, che costano poco e possono dare tanto, usiamoli nel modo giusto!