Utilizzo di una fotocamera reflex non modificata nella fotografia astronomica di base

Cari amici astrofili, come sapete bene mi piace cercare sempre di proporre qualcosa di un po’ particolare, in questo blog. E nella nostra, grande, passione non mancano certo gli spazi per ogni tipo di tecnica e di modalità di ripresa! Ma poi ci sono alcune tecniche di ripresa che mostrano la loro particolarità proprio fondandosi sulla semplicità della strumentazione coinvolta.

Siamo nell’era delle CMOS raffreddate, in cui sensori di grandi prestazioni, capaci di digitalizzazione on-chip del segnale e dotati di risoluzioni pazzesche sono davvero alla portata di tutti. Eppure, una delle tecniche di ripresa astronomica più diffuse, nonostante tutto, coinvolge l’uso delle tradizionali DSLR; spesso non di fascia top, prese magari usate, con 100000 scatti all’attivo, magari anche un po’ maltrattate, ma perfette per poter essere portate fuori a freddo e umidità notturne o moddate senza rimpianti.

Ebbene, in questo caso andiamo ancora di più alla radice della fotografia digitale, e puntiamo su un sensore assolutamente diffuso (anche io ho avuto una camera come questa) come quello della Nikon D5100, un APS-C dotato di una ragionevole (anche se non straordinaria) sensibilità alle basse luci; per di più rigorosamente appartenente ad una DSLR NON modificata e anche senza l’uso di alcun tipo di filtro!!!

Il nostro amico Luca Ghiglino fa un uso davvero intensivo, di questa camera, in combinato con un OTA Newton 200/800 Skywatcher, con il quale ha ottenuto risultati davvero notevoli.

Qui sotto il racconto che ha gentilmente voluto farci della sua esperienza.

Dando un segnale per tutti: avere strumentazioni incredibilmente avanzate non è il solo modo per ottenere eccellenti risultati.

Buona lettura a tutti.

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA


 

 

Utilizzo di una fotocamera reflex non modificata nella fotografia astronomica di base
di Luca Ghiglino

Luca di TS Italia mi ha chiesto di scrivere un articolo sull’utilizzo di una semplice reflex non modificata (una Nikon D5100 che uso da anni nella fotografia tradizionale) applicato alla fotografia astronomica, senza l’uso di nessun tipo di filtro.

Il mio setup è composto da un Newton F4 (Skywatcher Widephoto 200/800) su montatura NEQ6 con (o senza) telescopio di guida. Il tutto è connesso al portatile, con il programma Sky Chart per muovermi e imparare a conoscere il cielo e PHD Guiding nel caso in cui sia necessaria l’autoguida (software entrambe scaricabili gratuitamente dai rispettivi siti).

Il corpo macchina della Nikon viene raccordato al focheggiatore con un semplice anello T2 e un correttore di coma Baader che riduce l’allungamento delle stelle ai bordi del campo inquadrato (se l’oggetto è contenuto nella parte centrale del campo, quest’ultimo può essere un accessorio non indispensabile). Ovviamente il risultato finale è sempre rapportato alle condizioni del cielo, al corretto allineamento/collimazione del telescopio e al tempo che si è disposti a passare su un determinato oggetto.

 

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Fig 1
Il setup utilizzato

 

La modalità di scatto della Nikon è manuale, le ISO sono solitamente impostate a 800, il bilanciamento del bianco è impostato su luce solare e gli scatti sono in RAW, formato che torna utile nella successiva elaborazione.

Una volta in posizione, con l’inseguimento attivo, scatto alcune foto di prova centrando l’oggetto e ruotando la macchina sul suo asse per riprenderlo il più possibile nella sua interezza. Gli scatti di prova sono utili anche per capire se stiamo saturando troppo l’immagine in relazione al tempo di posa impostato. Per oggetti luminosi come stelle e ammassi di solito bastano 30” di esposizione per ogni scatto (in questo caso l’autoguida non è necessaria) e per oggetti flebili come galassie e nebulose, considerando che non uso nessun tipo di filtro, non supero i 180” di esposizione, con autoguida.

Ricordiamoci che foto troppo saturate, con fondo cielo troppo luminoso, sono da scartare perché non riescono a contrastare l’oggetto, mentre quelle poco saturate raccolgono poco segnale e quindi meno dettagli: la visualizzazione sullo schermo LCD dell’istogramma della foto appena scattata, aiuta a mantenersi con la parte iniziale dello stesso poco più in basso del bordo a sinistra del grafico, trovando così il tempo di esposizione ottimale, che ogni sera non è mai uguale e varia in base al seeing e alla location, quest’ultima correlata naturalmente anche all’inquinamento luminoso.

Un altro aspetto fondamentale è la messa a fuoco: adotto la modalità “live-view” in modo da vedere le stelle direttamente sullo schermo LCD. Come riferimento ne prendo una medio/piccola, vado a ingrandirla con lo zoom digitale e mi regolo cercando il punto intermedio tra l’effetto “cerchio” e l’effetto “pallina”: questa per me è la posizione ideale di fuoco, quando la stella diventa puntiforme. Meglio stringere bene le viti di fermo del focheggiatore e quelle di fissaggio, perchè la reflex non è propriamente leggera e la posizione di fuoco potrebbe spostarsi con il movimento graduale del telescopio.

 

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Fig. 2
Uno scatto di prova su lcd della Nikon

Con un semplice telecomando a filo per la programmazione degli scatti multipli, disponibile per Canon/Nikon ad un costo contenuto, imposto il numero di scatti, il tempo di esposizione stabilito con le foto di prova e, cosa molto importante, i secondi di pausa tra uno scatto e l’altro: le reflex, non essendo raffreddate, tendono a scaldare il sensore (con conseguente rumore di fondo in eccesso) quindi per esposizioni più o meno lunghe lascio sempre 40”/60” di pausa tra una foto e l’altra per il raffreddamento.

Alla fine della sessione eseguo sempre gli scatti correttivi, flat e dark, perché, soprattutto i primi, sono fondamentali ai fini della buona qualità del risultato. Le foto vengono poi sovrapposte con il software gratuito Deep Sky Stacker e l’immagine finale elaborata in Photoshop.

Anche se mi considero ancora all’inizio, sono trascorsi ormai due anni a fotografare il cielo con questa camera, e posso dire che, come in ogni campo, nella fotografia astronomica è molto utile iniziare dalle basi. Con una semplice reflex si possono comprendere i principali aspetti e fare pratica con risultati soddisfacenti, in modo da acquisire quella sensibilità ed esperienza che successivamente potremo applicare nell’uso di componenti quali filtri e camere astronomiche più specifiche e performanti, che solo con una consolidata esperienza saremo davvero pronti per poterli gestire.

Seguono alcune foto con i dettagli di scatto.
Un saluto e cieli sereni a tutti.

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M13 – Ammasso globulare di Ercole
15 scatti a iso 800 da 120″ di esposizione,
integrazione totale 30 minuti

 

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M81- M82
50 scatti a iso 800 da 180″ di esposizione,
integrazione totale 2 ore e 30 minuti

 

Immagine salvata con i settaggi applicati.

30 scatti a iso 800 da 40″ ciascuno (senza autoguida),
integrazione totale 20 minuti

Immagine salvata con i settaggi applicati.

NGC6946+NGC6939 – Galassia e ammasso aperto
27 scatti a iso 800 da 30″ di esposizione,
senza autoguida e senza scatti correttivi,
integrazione totale 13 minuti

Immagine salvata con i settaggi applicati.

IC434 in Orione – Nebulosa Testa di Cavallo e Nebulosa Fiamma
35 scatti a iso 800 da 240″ di esposizione (seeing molto buono),
integrazione totale 2 ore e 20 minuti

Immagine salvata con i settaggi applicati.

IC1805 – Nebulosa Cuore
185 scatti a iso 800 da 60″ di esposizione,
integrazione totale circa 3 ore

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M42-M43 – Grande Nebulosa di Orione
128 scatti a iso 800 di 80″ di esposizione,
integrazione totale circa 3 ore

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M31 – Galassia di Andromeda
31 scatti a iso 1250 da 30″ di esposizione,
20 scatti a iso 800 da 60″ di esposizione,
20 scatti a iso 800 da 150″ di esposizione,
11 scatti a iso 800 da 240″ di esposizione,
integrazione totale circa 2 ore

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M33 – Galassia del Triangolo
145 scatti a iso 800 da 100″ di esposizione,
integrazione totale circa 4 ore

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M45 – Ammasso delle Pleiadi
110 scatti a iso 800 da 90″ di esposizione,
integrazione totale 2 ore e 43 minuti

Immagine salvata con i settaggi applicati.

NGC6960 – Nebulosa Velo (parte Ovest)
28 scatti a iso 800 da 120″ di esposizione,
integrazione totale 56 minuti

Immagine salvata con i settaggi applicati.

NGC6992-NGC 6995 – Nebulosa Velo (parte Est)
94 scatti a iso 800 da 120″ di esposizione,
integrazione totale 3 ore e 8 minuti

Star Adventurer e autoguida: un problema ostico e alcune pratiche soluzioni

Cari amici di TS Italia, la stagione sta svoltando al freddo e, inutile negarlo, a tutti passa un pochino la voglia di trasportare strumentazione pesante fino in cima ad una montagna… Oddio, quasi a tutti, perché noi di TS Italia siamo anche grandi amanti della neve e delle alte quote…ma questa è un’altra storia, non divaghiamo…

Sicuramente, dicevamo, la brutta stagione un pochino fa venire meno la voglia di fare tanta strada per andare a osservare e riprendere al freddo, incrementando invece il desiderio di fare astronomia dal cortile di casa. Inoltre, anche quando ci si sposta, in inverno si cercano spesso soluzioni più veloci, grab&go, che permettano di avere a disposizione un setup performante ma veloce da mettere in stazionamento e che consenta un ancor più veloce rientro al calduccio, sotto le coperte, luogo nel quale, peraltro, spesso ci attende qualcuno di piuttosto contrariato per le nostre bizzarrie notturne e per le ingenti spese che da esse derivano. Ma nuovamente…. non divaghiamo…. 🙂

Forse anche in ragione di questo, ci è stato spesso chiesto negli ultimi tempi qualche buon consiglio sull’uso degli astroinseguitori, e in particolare ci è stato più volte chiesto di trovare una soluzione funzionale ed economica per poter guidare lo Star Adventurer di Skywatcher.

Apparentemente, per un astrofilo abituato a montature e ottiche convenzionali, la questione può sembrare quasi banale, ma in realtà per chi utilizza lo Star Adventurer con obiettivi per fotocamera reflex, la soluzione potrebbe non essere così ovvia…. Dove applicare e come collegare, infatti, una seconda ottica di guida? La questione per chi utilizza un OTA tradizionale non si pone neppure: disponiamo sicuramente di serie di anelli di supporto con passi M6 o da 1/4″ e molto probabilmente il nostro focheggiatore ospita almeno una basetta per cercatore con attacco Skywatcher standard al quale applicare un bel ed economico cercatore guida. Ma in assenza di questo?

Ebbene, con gli Star Adventurer, le soluzioni possibili sono, ad avviso di chi scrive, essenzialmente due:

A) adottare un supporto per flash che consenta di alloggiare comodamente un cercatore guida
B) utilizzare un adattatore che in qualche modo permetta di alloggiare una ottica di guida sul nostro Star Adventurer

Per il primo caso, consigliamo di adottare un supporto Geoptik come questo:
http://www.teleskop-express.it/cercatori/1211-adattatore-flash-reflex–geoptik.html

filtro IDAS Hutec V4

Indubbiamente si tratta di una soluzione pratica e assolutamente universale, al costo di soli 60€. Tra i vantaggi, la assoluta leggerezza e l’economicità, nonché l’elevata qualità dei materiali e la piena compatibilità con ogni tipologia e marca di fotocamera DSLR in commercio.

Per il secondo caso, la faccenda diventa più complicata, perché si tratta di capire innanzitutto come debba essere fatto questo supporto adattatore, cosa debba esattamente alloggiare e dove. Ebbene, in questo caso, consigliamo senz’altro di adottare un cercatore guida già fornito di supporto con adattatore universale per il passo da 1/4 di pollice, come questo:
http://www.teleskop-express.it/cercatori/3357-mini-50mm-guide-scope-for-astrophotography-rich-field-telescope-ts-optics.html

filtro IDAS Hutec V4

Questo cercatore guida è infatti provvisto di una speciale piastrina in alluminio anodizzato, non presente in altri cercatori, alla quale è possibile avvitare direttamente la basetta del cercatore fornita in dotazione. L’unione di piastrina e basetta, data la presenza sulla parte inferiore della piastrina stessa di un foro filettato a passo fotografico standard da 1/4″, permette una semplice installazione su qualsiasi testa a sfera dotata di slitta a sgancio rapido.

Ebbene, chiederete, ma è necessario adottare, quindi, una seconda testa a sfera? Si possono installare due teste a sfera sullo Star Adventurer??? La risposta a entrambe le domande, è semplicemente no!!! 🙂

In questo caso sarà sufficiente utilizzare la staffa ad L della Skywatcher per astroinseguitore Star Adventurer, già fornita di serie nello Star Adventurer Kit:
http://www.teleskop-express.it/astroinseguitori/2680-staffa-a-l-per-staradventurer-skywatcher.html

Staffa ad L Skywatcher per astroinseguitore Star Adventurer

Mentre la camera di ripresa andrà fissata alla parte superiore della staffa, nella posizione tipica, per ottenere un sistema di guida completo si dovrà semplicemente sfruttare il secondo perno filettato (libero), con passo fotografico grosso da 3/8″, presente sulla staffa ad L, applicandovi la testa a sfera. Alla testa a sfera, con il meccanismo già visto sopra, si aggancerà quindi il cercatore guida. Et voilà, il gioco è fatto!!!

Ecco che con meno di 100€ abbiamo ottenuto un sistema di guida completo, leggero e performante, che consente anche di migliorare il bilanciamento dell’astroinseguitore e che permette un pieno orientamento dell’ottica di guida nella direzione da noi preferita, senza vincoli di sorta.

A presto!

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA

Ancora sulla spettroscopia di base

Lo abbiamo visto insieme qualche tempo fa: la spettroscopia sta iniziando a diventare una attività molto apprezzata dagli astrofili!

Certamente questo è dovuto alla maggior disponibilità di strumenti di qualità a un prezzo abbordabile (camere CCD mono di buona fascia e filtri per spettroscopia, come gli Star Analyzer) ma anche al crescente interesse degli astrofili verso il sottile, ma netto, confine che divide ricerca scientifica (magari anche solo amatoriale) dalle osservazioni astronomiche fotovisuali tradizionali.

A mio parere questo cambiamento nasce da una sommatoria di fattori.

In parte, come appena visto, si tratta di precondizioni tecnico-strumentali, commerciali se si vuole, ma non credo che questo esaurisca il tutto….

A pesare, infatti, iniziano ad essere anche profili ulteriori, quali certamente quelli ambientali! La presenza di un IL sempre più invasivo sui cieli della nostra bella penisola, infatti, sta facendo emergere la necessità di ricercare qualcosa di più compatibile con l’astronomia dalla città, rispetto al tradizionale deepsky a colori. Un buon deepsky full-range richiede davvero cieli da paura, per essere fatto al meglio; e cieli come quelli, oramai, stanno diventando una rarità, non solo in Italia, ma un po’ in tutta Europa! Dimostrazione, in tal senso, di una ricerca da parte degli astrofili di qualcosa di differente e di più city-friendly, la si ha semplicemente guardando l’esplosione dell’imaging narrow band, avvenuta negli ultimi anni. Grazie a questa tecnica, è possibile da tempo ottenere grandi immagini anche sotto cieli pesantemente inquinati. E a costi, tutto sommato, ragionevoli…

Ma anche qui, qualcosa ancora pare sfuggire, a mio avviso. In parte, credo, a condurre verso delle scelte astronomiche un po’…border-line…è anche un fattore sociale e culturale. Mi spiego meglio: negli ultimi anni, proprio la grandissima diffusione dei CCD di qualità e dei filtri interferenziali a banda stretta ha permesso di effettuare riprese deepsky davvero pazzesche; del resto anche i software di elaborazione e acquisizione, sempre più potenti e accurati, se ben usati, permettono di ottenere con piccoli diametri immagini un tempo del tutto impensabili!!! Queste immagini, naturalmente, ottengono il giusto e meritato risalto sul web, correndo in punta di social network, e in una frazione di secondo, da un capo all’altro del mondo. Ecco, forse il nodo gordiano è proprio questo. Che è bello confrontarsi e misurarsi con gli altri, condividere e valutare i limiti delle proprie capacità, cercando di migliorarsi e di imparare sempre da chi ne sa di più; ma questo incredibile proliferare di immagini strepitose su internet, con risultati qualitativamente a volte davvero inavvicinabili per l’astrofilo comune, forse da un lato un po’ intimorisce, e fa sorgere il desiderio di praticare una astronomia un po’ più a passi lenti. Un po’ la versione astronomica dello slow-food, se vogliamo. Potremmo chiamarle osservazioni slow-sky…

Sia ben chiaro, di foto ne abbiamo fatte tantissime tutti, e siamo tutti fieri dei piccoli, medi e grandi risultati ottenuti: ma forse questi segnali di interesse verso il mondo dell’astronomia scientifica meritano di essere valorizzati più di altri. Proprio perché una foto può far moltissimo clamore, ma il picco di una riga di emissione….quello no….. E a mio personale avviso, quei pochi dati, salvati in un angolino del nostro stipatissimo hard disk, hanno un bellezza senza clamore. Ma eterna! Che perdurerà a dispetto delle innovazioni tecniche e tecnologiche che sicuramente il prossimo futuro ancora ci riserverà.

In conclusione, scrivo tutto questo per presentarvi quest’oggi un interessantissimo contributo, nel campo degli spettri, dell’amico Massimo Di Lazzaro, che ci illustra passi compiuti e i risultati ottenuti. Con la convinzione che questa sua esperienza da neofita, in crescita, della spettrofilia, unita ad altri contributi già pubblicati e ad altri ancora che verranno, possa permettere a tutti di assaggiare un pochino le sensazioni e le emozioni che questo peculiare modo di approcciarsi al cielo veicola.

E magari, chissà, faccia sorgere anche in qualcuno il desiderio di provare e di cimentarsi.

Buona lettura.

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA


Spettroscopia amatoriale….una nuova avventura

Qualche mese fa ho cominciato ad interessarmi di spettroscopia, un mondo interessante, complesso forse, ma pieno di belle sorprese! Chi si sarebbe mai aspettato che da una semplice serie di riprese avrei potuto scoprire cosa si nasconde dentro a quel raggio di luce remoto, capire come è fatta e come si comporta una stella!!!

La curiosità si è accesa osservando qualcosa di semplice, bellissimo ma quasi banale, come un arcobaleno; mi sono sorpreso ad interrogarmi in dettaglio sulla esatta modalità con la quale si formano i colori, sulla natura di ciò che vediamo realmente, sul perché!

Avevo quindi bisogno di documentarmi, leggere un po’ di testi di fisica, apprendere il più possibile: in rete ho trovato moltissime informazioni, ed ho potuto studiare un po’ di astrofisica (l’ABC intendiamoci…) e iniziare da lì a capire che tipo di strumentazione mi sarebbe servita con esattezza! Un contributo essenziale mi è stato dato proprio qui, da TS Italia: mi hanno seguito e consigliato su tutto, dal telescopio più adatto allo scopo ed alle mie esigenze (un RC8”: uno strumento eccezionale, versatile e soprattutto pressoché privo di aberrazioni), compresa montatura (Neq6 Pro), camera CCD (QHY5LIII-178 monocromatica)…

Ecco qui a dire il vero è stato il difficile. Ho avuto diverse perplessità, perché non è così semplice, a livello pratico, capire da subito e in un ambito così particolare, quale è la camera più adatta! Anche in considerazione di un budget che non poteva essere illimitato…Nella fotografia tradizionale scegliere è abbastanza più semplice devo ammettere (sempre budget permettendo); ma qui l’esigenza era di una camera con dei requisiti davvero particolari. Ebbene, nella nuova QHY li ho trovati! Non è qui il caso di stare a descriverli nel dettaglio, per quelli basta andare sul sito di TS Italia e si trovano tutti… Però anche qui della scelta finale sono soddisfatto!

Poi, la vera grande scelta: spettroscopio o Star Analyzer 100? La scelta è stata facile: SA100! Un reticolo di diffrazione semplice da usare, che si avvita direttamente sulla camera e in grado di restituire da subito lo spettro della stella che si sta riprendendo. Certo, è a bassa risoluzione, quindi alcune cose sono precluse, ma per iniziare è davvero il massimo!!! Anche perché gli oggetti da poter riprendere sono ugualmente moltissimi.

Poi il software: anche qui la scelta è stata dettata dalla facilità di utilizzo, in primis, ed ho scelto quindi R-Spec. Devo davvero spendere due parole su questo software: è molto completo e di facile utilizzo, grazie anche ai numerosi tutorial inseriti già nella barra degli strumenti; fantastico! Permette di salvare i profili all’interno del software, in apposite cartelle, così da essere sempre pronti quando si vuole ritrovarli, senza andare a spulciare manualmente nel PC. E sei hai bisogno di assistenza il progettista del software è sempre a disposizione! Ogni tanto gli scrivo, siamo rimasti in contatto, anche se ha sede in America, e sono davvero soddisfatto anche di questa scelta.

Ora non rimane che “andare a caccia di spettri” ed appena il tempo lo permette ne approfitto per recarmi al sito astronomico della mia associazione: il Gruppo Astrofili Galileo Galilei di Tarquinia per fare le prime acquisizioni spettroscopiche. Qui giunti, non resta che preparare il setup e riprendere; dopo aver ultimato la preparazione di tutto, ho cominciato con lo spettro di Sirio. L’alta risoluzione della QHY in questo mi ha aiutato tantissimo, e mi ha permesso di avere degli spettri di ottima qualità. Ho effettuato le riprese in formato video, per poi estrarre dal filmato i singoli frame più utili, e passare quindi ad analizzare ed elaborare il profilo della stella:

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Quello si va qui ad analizzare, è l’idrogeno nelle sue varie lunghezze d’onda, che è ovviamente l’elemento principale di una stella. All’inizio è stato piuttosto complicato comprendere con esattezza come elaborare lo spettro poiché i tutorial, anche se molto intuitivi, erano comunque tutti in un inglese piuttosto tecnico! Con l’aiuto di alcuni amici, però, alla fine ce l’abbiamo fatta e la soddisfazione è stata davvero tanta! Sirio è la stella scelta per la calibrazione dello spettro di Betelgeuse, una supergigante rossa, cui ho dedicato molto più tempo: nuovamente, sono stato soddisfatto dei risultati ottenuti! Nelle due immagini a seguire, vediamo lo spettro calibrato in lunghezza d’onda e poi il profilo finale.

c

d

Ho preso sempre più confidenza con il software e dopo aver passato in rassegna le due stelle più belle dell’inverno sono passato a quelle estive: cominciamo quindi con Vega, bellissima stella nella costellazione della Lira. Anche qui spettro calibrato in lunghezza d’onda e profilo finale.

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f

Tutte queste sono ovviamente stelle piuttosto facili da analizzare: Sirio e Vega sono di classe spettrale A e Betelgeuse è di classe spettrale M. Sono quindi stelle alla portata di tutti!

Non appena avrò maturato abbastanza esperienza, passerò certamente ad altri e più impegnativi obiettivi, come le stelle Wolf-Rayet e le supernove…

Per me il viaggio è appena incominciato: ho in programma numerosi spettri da riprendere ed elaborare, e spero di poterveli mostrare il prima possibile.
A presto
Massimo Di Lazzaro

 

Una esperienza con il nostro APO 115/800 FPL51

Ormai lo sanno tutti: nel mood di questo blog, è stato già detto in tutte le salse, non c’è l’idea che la divulgazione dell’astronomia debba essere uno spazio elitario, che rende ogni spazio una sorta di cassa di risonanza autoreferenziale dei soli grandi nomi, da tributare a chi ha grandi competenze, strumenti blasonati e costosi e una esperienza strutturata di fascia altissima!

Per noi di TS Italia, gli spazi per la divulgazione astronomica devono intendersi come punti di incontro per gli astrofili, devono sempre più diventare spazi e momenti dedicati a far valere l’esperienza sul campo, la propria esperienza sul campo; quella personale, quella vera, quella genuina, qualsiasi essa sia, cercando sempre di essere costruttivi e di dare un proprio contributo. Certo una goccia nel mare. Ma una goccia che possa contare. E in fondo non è proprio questo il modo di operare di chi contribuisce alla crescita del sapere? Piccoli passi, silenti, senza troppo clamore… Amatoriali o professionali che siano!

In questo blog, insomma, vogliamo che a contare sia anche il contributo di astrofili comuni, astrofili come noi!

Oggi, quindi, vi introduco un nostro carissimo e giovane amico astrofilo, Nicola Russo, il quale, complice la giovane età – e non, come si sente dire troppo spesso, “a dispetto della giovane età” – ha dimostrato di disporre di una grandissima passione e di una genuina voglia di sperimentare e mettersi in gioco.

Per noi ha realizzato una semplice ma molto interessante prova del suo rifrattore TS APO 115/800 FPL51, effettuando anche un confronto con il suo storico TS APO 80/480 FPL53.

I contribuiti fotografici sono tutti suoi, e sono sicuramente di valore. Sono visibili cliccando sul titolo di questo post per aprirlo in dettaglio.

Grazie Nicola!

Buona lettura a tutti.

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA


 

Carissimi amici astrofili vorrei scrivere due righe per una breve recensione sul rifrattore TS 115/800.

Essendo già possessore di un TS 80/480 flp53 per riprese a largo campo , mi sono più volte posto il problema di quale telescopio acquistare per riprese di galassie e planetarie.

All’inizio ero intenzionato a prendere un RC 8 o un APO 130 mm TS, ma leggendo in rete ho notato che sulla mia montatura CGEM entrambi erano abbastanza ostici da bilanciare, con il rischio di non poter fare lunghe esposizioni.

Alla fine mi sono soffermato su questo rifrattore 115/800, che mi intrigava molto; leggendo tra i vari forum e avendo trovato online alcune recensioni, ho notato che in molti erano dubbiosi, in particolare, per il fatto che il telescopio monta dei vetri FPL51. Volendolo comunque acquistarlo, ho cercato su Astrobin alcune foto realizzate con questo telescopio e ne sono rimasto molto colpito.

Oggi posso dire che mai scelta è stata più felice: rapporto qualità/prezzo davvero buono, robustezza e praticità unica e ottimo focheggiatore, molto robusto: l’ho utilizzato sia con la reflex 40D sia con la camera CCD QHY10, non notando alcuna problematicità, con entrambi i setup. Sono riuscito a realizzare guide di oltre 500 secondi, con ottimi risultati.

Grazie allo spianatore/riduttore TSRED 0.79x, sono riuscito a sfruttare eccellentemente i generosi sensori della reflex e del CCD.

Il tubo dispone anche di un paraluce estraibile, davvero fluido e utilissimo.

Infine, parliamo un po’ di questi famosi vetri FPL51: sarà forse perché non mi considero ancora un astrofilo di grande esperienza, oppure sarà legato al fatto che effettuo le mie riprese prevalentemente sotto un cielo cittadino, con inquinamento luminoso notevole, ma nella mia modesta esperienza trovo che la differenza rispetto ai più blasonati e costosi vetri FPL53, come quelli presenti nel mio TS 80/480, sia davvero estremamente contenuta.

Le stelle con questo telescopio risultano perfettamente puntiformi e prive di aberrazioni cromatiche su tutto il campo!
Posso dire con certezza che, per chi oggi è intenzionato ad acquistare un rifrattore di qualità con apertura superiore ai 100mm, avendo anche un occhio di riguardo al budget, il TS 115/800 è forse la scelta migliore!

Nicola Russo

Appunti di spettroscopia, qualche risultato

Negli ultimi tempi i contributi su questo blog sono fioccati, con risultati davvero notevoli ed articoli di assoluto rilievo! Dai contributi del nostro eccellente Daniele Gasparri a quelli di profilo scientifico di Albino Carbognani: non ci siamo davvero fatti mancare nulla. O quasi….

In effetti, ci abbiamo pensato un po’ su, ma tra la grande divulgazione tecnica e i profili scientifici più alti qualcosina, ancora, mancava… Mancava il contributo di astrofili comuni, astrofili come noi, magari molto specializzati! Contributi di profilo tecnico, con un taglio operativo, ma sempre con uno sguardo, una strizzata d’occhio, al mondo scientifico. Ad avviso di chi scrive, interventi come quello che vi sto introducendo, dovrebbero rappresentare, specie in tempi in cui è molto ampia la possibilità di accesso e di condivisione paritaria delle informazioni, un vero riferimento per tutti gli astrofili, e forse indicare quello che si potrebbe considerare come il solo, vero obiettivo tecnico finale, per una ampia parte degli astrofili amatoriali: fornire un proprio, personale, preziosissimo ed apprezzatissimo contributo alla ricerca scientifica! Naturalmente, ciò non può che riguardare soprattutto e in particolare gli astrofili con un po’ più esperienza alle spalle, ma senza escludere mai nessuno.

Certo, i contributi di profilo scientifico vengono spesso forniti in silenzio, senza clamori, senza luci della ribalta, e forse anche per ciò finiscono con l’essere interesse solo di pochi. Non fanno sgranare gli occhi ai bambini, alla vista di tutti quei colori. E non sono comprensibili direttamente ad una vasta platea di uditori generalisti. Ma sono proprio questi contributi a rendere il maggior servizio alla scienza e a far progredire DAVVERO il sapere umano!

Passo quindi a presentarvi, quest’oggi, il contributo di un grande astrofilo, oltre che di un grande amico e di un vero e proprio vulcano di idee, risorse ed ingegno: Claudio Balcon. Nel ringraziarlo personalmente, e a titolo di TS Italia tutta, per aver dedicato parte del suo, pur già ridotto, tempo libero per redigere questo articolo, mi limito a concludere rimarcando il fatto che, qui, si ha a che fare con una passione vera e profonda, di quelle che ci mostrano come la grandezza, per un astrofilo, non si misuri col portafogli, ma soprattutto con l’orologio, oltre che con la testa e con il cuore!

Grazie Claudio!

Buona lettura.

 

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA

 

 


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Innanzitutto una piccola introduzione di storia della spettroscopia. A dispetto di quanto si potrebbe pensare, la spettroscopia ha avuto inizio molto molto tempo fa, fin dai tempi di Tolomeo, o addirittura prima: nonostante l’altissimo valore del contributo dato da Tolomeo, infatti, non si può scordare che egli condusse i propri studi riprendendo il lavoro effettuato già molto prima di lui da Ipparco, il quale classificò le stelle non solo per intensità ma anche per colore, in particolare distinguendole tra bianche e rosse.

Tuttavia lo scopo di questo articolo è molto più attuale e richiede, quindi, un salto temporale in avanti di almeno un paio di millenni! Nel mondo contemporaneo non ci sono di certo difficoltà ad avere accesso ad articoli, lezioni universitarie, trattati di varia natura in tutti i campi della scienza. C’è una cosa però che in nessun caso riusciremo a trovare preconfezionata in forma digitale, ovvero l’emozione! La scarica di adrenalina pura che ti investe quando sei proprio tu, di persona, quello che ha conseguito un risultato tecnico e scientifico che fino a prima ti sembrava impossibile; e che magari è anche una prima volta, in termini di risultato, dal punto di vista scientifico.

Quando guardiamo un oggetto scarsamente luminoso, il nostro occhio non riesce a percepirne i colori, in quanto attiva dei recettori a maggior sensibilità in grado di discernere solamente vari livelli di grigio. Se osserviamo la nebulosa di Orione con un binocolo o un piccolo telescopio, ad esempio, notiamo solamente un chiarore blu-verde, ben lontano dalle complesse dominanti cromatiche che emergono nelle immagini fotografiche più profonde che libri, riviste e internet ci offrono a pioggia; immagini che forse, in prima battuta, da neofiti, anche noi speravamo di vedere, immergendoci nel tripudio di una molteplicità di brillanti colori.

L’avvento della pellicola fotografica prima, e della camera CCD/CMOS poi, ci ha consentito, tuttavia, di arrivare laddove il nostro occhio non può assolutamente arrivare. I sensori elettronici a colori consentono di ottenere tre immagini nelle bande di colore rosso, verde e blu (RGB) che, una volta composte, riproducono la gamma cromatica tipica della nostra capacità visiva. I vantaggi di questi dispositivi sono molteplici: dalla possibilità di poter impostare tempi di esposizione enormemente superiori al tempo equivalente alla nostra capacità visiva, a quella di utilizzare una efficienza quantica fino a oltre 100 volte superiore a quella dell’occhio e persino a quella della pellicola fotografica. Fra i sensori a colori, tuttavia, non esiste di fatto uno standard rigoroso per quanto riguarda la curva di risposta delle bande RGB, ed è pertanto difficile confrontare misure fotometriche riprese con camere a colori diverse tra loro.

A differenza dei micro-filtri RGB integrati, nonché dei tradizionali kit RGB di filtri in cella ad uso ritrattistico, quelli fotometrici UBVRI sono normalizzati e consentono di ottenere misure calibrate secondo standard riconosciuti in ambito scientifico mondiale. Naturalmente la standardizzazione di questi filtri pone anche dei limiti: qualora volessimo, infatti, aumentare la risoluzione spettrale sarebbe necessario incrementare il numero di filtri con bande passanti più strette e contigue. Il vantaggio di questo sistema, anche se crea qualche lineamento di complessità in fase di ripresa, è quello di coprire tutta l’area geometrica del sensore, consentendo quindi di analizzare più soggetti contemporaneamente, ma in questo caso ciò va a scapito nuovamente della praticità operativa, in quanto diventa necessario provvedere a realizzare un numero elevato di pose per ciascun campo inquadrato.

Prendendo in considerazione, ad esempio, dei filtri dotati di una banda da 1nm, e volendo coprire tutto lo spettro del visibile, sarebbero necessari centinaia e centinaia di filtri, per ciascuno dei quali diventa indispensabile effettuare altrettante riprese. Questa strada, perciò, risulta essere una decisamente improponibile…

Per avere risoluzioni spettrali superiori a quelle ottenibili con i filtri fotometrici si utilizzano quindi gli spettroscopi. Le caratteristiche di questi strumenti, come quelle dei telescopi ai quali sono collegati, dipendono fortemente dagli obiettivi che si vogliono raggiungere, ad esempio: classificazione spettrale delle stelle, misura della velocità di rotazione delle galassie, analisi chimica delle nubi interstellari, ricerca di pianeti extrasolari o altro ancora.

Personalmente ho scelto di operare nel campo della spettroscopia a bassa risoluzione. La strumentazione che utilizzo è quindi composta da un telescopio Newton da 8” F5, da un acromatico 80/400 di guida, da uno spettroscopio, da una camera di guida CMOS e una camera di ripresa CCD di buona qualità.

Lo spettroscopio è composto da una fenditura regolabile, da un collimatore da 32mm di focale, da un reticolo di diffrazione a trasmissione da 100 righe/mm, rimovibile dal percorso ottico, e da un obbiettivo da 32mm.

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Figura 1

 

Con il reticolo rimosso, agendo sulla fenditura, si agisce selezionando l’oggetto da analizzare; per essere più precisi, più che di fenditura dovremmo parlare di una “maschera” poiché, data la corta focale del telescopio, una fenditura propriamente detta non dovrebbe essere più ampia di pochi micron: risulta quindi evidente che mantenere un soggetto, spesso dotato di una luminosità superficiale molto debole, perfettamente centrato su una fenditura propriamente detta per i lunghi tempi necessari ad effettuare una acquisizione di segnale di valore, non è cosa semplice… Pertanto, al suo posto, una più semplice “maschera” viene impiegata, al solo ed esclusivo scopo di evitare la presenza di stelle luminose e di disturbo laddove si andrà poi a disperdere lo spettro.

La figura 1, di cui sopra, è stata ripresa durante la fase di iniziale aggiustamento della posizione delle lame della fenditura, per centrare il nucleo di due galassie (NGC7319 e NGC7320) appartenenti al famoso quintetto di Stephan.

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Figura 2

 

La figura 2 è stata ottenuta con la stessa strumentazione, ma senza l’interposizione dello spettroscopio, con un tempo di integrazione di circa due ore. La larghezza della maschera, simulata con il rettangolo rosso, è di circa quindici pixel, approssimativamente cinque volte il valore del FWHM delle stelle presenti.

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Figura 3

 

La figura 3, rappresenta lo spettro ottenuto con circa novanta minuti di integrazione, chiaramente risultante dall’interposizione del reticolo di diffrazione tra OTA e camera di ripresa. Per allineare le immagini, realizzate con pose da cinque minuti, è stata utilizzata una stella presente all’interno della fenditura e visibile nell’ordine zero dello spettro. Le righe verticali sono dovute all’atmosfera terrestre, generate prevalentemente dalle lampade dell’illuminazione pubblica. Le righe orizzontali sono gli spettri degli oggetti selezionati.

In particolare, il riquadro individuato con la lettera A, evidenzia lo spettro della galassia NGC7319, mentre quello indicato con la lettera B individua quello relativo alla galassia NGC7320. Le altre righe orizzontali sono spettri di stelle appartenenti alla nostra galassia. La galassia NCG7319 presenta delle intense righe di emissione, evidenziate nella foto con le frecce, caratteristica che contraddistingue la presenza di un nucleo attivo: si tratta quindi di una galassia di tipo Seyfert.

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Figura 4

 

Il grafico della figura 4 è stato ottenuto elaborando la figura 3, togliendo il contributo del cielo e, successivamente, tarando la sola dispersione. Per effettuare la taratura è stata presa come riferimento una stella di classe A, nel caso specifico Vega, che è caratterizzata da righe di assorbimento dell’idrogeno ben evidenti. In verde sono riportate le righe di emissione di alcuni elementi in quiete e le barrette orizzontali evidenziano lo spostamento verso il rosso della NGC7319. La velocità di allontanamento indicativamente risulta essere di 6700km/s. Il segnale disperso dello spettro della galassia NGC7320 è basso e rumoroso e non presenta righe che emergono dal continuo.

La spettroscopia a bassa risoluzione di oggetti deboli, effettuata con piccoli telescopi, può fornire informazioni scientificamente di grande interesse, qualora la dispersione del poco segnale raccolto sia in buona parte concentrata in poche righe di emissione.

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Figura 5

 

La figura 5 è stata ottenuta con una integrazione di dieci minuti ed è relativa al quasar 3C273. Rispetto alla figura 3, la mascheratura qui utilizzata è stata più larga e, come conseguenza, la risoluzione spettrale del fondo cielo è risultata un po’ meno definita. La risoluzione limitata dalla maschera di soggetti estesi è indipendente dal seeing, mentre quella relativa a soggetti puntiformi è direttamente condizionata dal seeing e dagli errori di inseguimento.

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Figura 6

 

La figura 6 è stata ottenuta eliminando dalla figura 5 il fondo cielo e tarando lo spettro sia in dispersione che in ampiezza. Per eseguire le tarature è stata utilizzata la stella Denebola. Le prime tre righe della serie di Balmer dell’idrogeno sono particolarmente intense rispetto alle altre e risultano spostate verso il rosso. La velocità di allontanamento è di poco inferiore al 16% della velocità della luce, che corrisponde, secondo la legge di Hubble, ad una distanza di oltre 2 miliardi di anni luce.

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Figura 7

 

La notte del 22 dicembre scorso, nella galassia CGCG58-57 è stata segnalata una probabile supernova di magnitudine 16,4 da parte del ASAS-SN, denominata AT2016izg. La sera del 23 dicembre ho deciso di verificare le modifiche che avevo apportato allo spettroscopio, puntando proprio quella probabile supernova. La figura 7 è la ripresa effettuata con circa un’ora di posa; le barrette rosse evidenziano la supernova in questione.
La sera stessa ho estratto lo spettro della SN e, dopo aver eseguito le necessarie tarature in dispersione ed ampiezza, ho osservato un profilo che avevo già visto altrove: si poteva riconoscere l’ampia e profonda banda di assorbimento del silicio. Successivamente mi sono collegato a “GELATO”, ho caricato il file dello spettro della probabile supernova e dopo pochi secondi è comparso l’esito dell’analisi: supernova Ia, al 100%.

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Figura 8

 

La figura 8 è stata scarica da “GELATO”. Qualche giorno dopo è arrivata la conferma ufficiale con ATEL 9904 da parte del Mayall/KOSMOS che si trattava proprio di una supernova tipo Ia.

Questa è solo una piccola panoramica di risultati ottenibili con strumentazione amatoriale ed uno spettroscopio fatto in casa. L’emozione provata in quell’istante, ovviamente, è il vero motore di tutto, è quell’emozione di cui accennavo all’inizio, ed è ciò che sprona uno spettrofilo a portare avanti le sue ricerche, migliorando la propria strumentazione e migliorandosi sempre!

Come fotografare una bellissima Mineral Moon

La Luna è l’oggetto celeste più fotografato e fotogenico. A piccoli o alti ingrandimenti, di notte e persino di giorno, in fase sottile o quando è quasi piena, è un obiettivo che garantisce sempre un grande spettacolo.

L’unico problema del nostro satellite sono i colori. Illuminato dalla luce del Sole, quel pezzo di roccia che ci orbita intorno da 4,5 miliardi di anni mostra una colorazione priva delle bellissime sfumature che invece possiamo trovare facilmente su Marte, Giove, Saturno, per non parlare degli oggetti del profondo cielo. La sua superficie scura, dalla brillanza simile a quella dell’asfalto appena steso, sembra essere priva di quei contrasti cromatici che incantano i nostri occhi e ci consegnano un Universo pieno di colori.

La Luna ha dei colori? Ha tonalità reali? E nel caso, come possiamo superare le limitazioni dei nostri occhi e osservare queste sfumature?
La risposta è affermativa e prevede di applicare una semplice tecnica chiamata Mineral Moon. Prima, però, dobbiamo capire quali sono i veri colori della Luna, se ne ha.

La superficie selenica è composta da rocce simili a quelle terrestri e, proprio come qui sulla Terra, ci sono zone in cui la composizione chimica può cambiare, a seconda del tipo di minerali prevalenti. Ogni minerale ha una colorazione tipica, anche se questa è spesso molto più tenue di quella che può percepire l’occhio. Se varia l’abbondanza di un certo minerale, è allora scontato pensare che possa cambiare, in modo leggero, il colore. Sulla Terra possiamo capire meglio la situazione: le zone del deserto del Sahara sono rosate, mentre quelle del deserto australiano appaiono rosse. Sulla Luna accade una cosa simile, anche se le differenze cromatiche sono molto tenui e visibili solo attraverso un’opportuna tecnica fotografica.

La Mineral Moon è una tecnica molto semplice di fotografia che prevede di catturare immagini a grande campo del nostro satellite con sensori a colori e di applicare una semplice tecnica di elaborazione che ci permetterà di estrapolare la grande quantità di informazione contenuta nelle nostre fotografie.

 

La strumentazione

La strumentazione adatta è costituita da una normale reflex, anche non modificata, al fuoco diretto di un telescopio che NON sia un rifrattore acromatico, poiché questi soffrono di cromatismo. Tutti i catadiottrici e i telescopi Newton sono perfetti allo scopo (e anche i rifrattori apocromatici veri, cioè con almeno 3 lenti). Non importa il diametro perché non siamo interessati, almeno all’inizio, a una stratosferica risoluzione. Le foto più spettacolari, infatti, si ottengono includendo tutto il disco lunare nel campo inquadrato, magari in prossimità della Luna piena, così sappiamo anche cosa fare in quelle notti di solito poco prolifiche per le osservazioni astronomiche.

 

Tecnica di ripresa

L’acquisizione delle immagini non è dissimile da quella necessaria per fotografare i pianeti. Si catturano tanti frame, in formato grezzo (raw) tutti identici. È importante raccogliere tanti scatti per aumentare la dinamica dell’immagine e ottenere così un’immagine in cui i colori saranno ben visibili. Non c’è un limite ma in generale sarebbe meglio catturare almeno 100 frame, scattando a bassa sensibilità, magari 100 ISO. Non aumentare la sensibilità di scatto perché si incrementa il rumore e diminuisce la dinamica, che è l’unica cosa che davvero conta in questo caso.

I momenti migliori per fare gli scatti sono quando il nostro satellite si trova molto alto sull’orizzonte. Questa richiesta è fondamentale per evitare che la nostra atmosfera alteri in modo irreversibile i tenui colori che vogliamo estrapolare.

 

Elaborazione

Dopo aver allineato e sommato i singoli scatti con programmi come Registax o Autostakkert, cercando di scartarne il meno possibile, tanto la risoluzione effettiva non conta molto, dobbiamo lavorare sull’immagine grezza in due fasi, una dedicata esclusivamente al colore e l’altra alla risoluzione.

Creiamo due copie identiche della nostra immagine grezza. Useremo una di queste come canale di crominanza, al quale quindi cercheremo di estrarre al meglio i colori tralasciando i contrasti. L’altra versione la trasformeremo in bianco e nero e applicheremo delle maschere di contrasto, concentrandoci solo sul lato dei contrasti e della risoluzione. Questa sarà la base di “luminanza” che poi coloreremo con la versione a cui avremo estrapolato i colori. Agendo in questo modo possiamo sfruttare sia l’informazione cromatica che quella spaziale, senza sacrificare nulla del segnale che abbiamo raccolto con tanta fatica.

Sulla copia dedicata al colore non dobbiamo applicare alcuna maschera di contrasto ma agire in due modi. Prima di tutto dobbiamo eliminare la dominante giallastra tipica del nostro satellite, che rappresenta solo il contributo della luce solare. Per fare questo possiamo operare un bilanciamento del bianco, selezionando come punto campione una zona dalla colorazione neutra (di solito NON nei piatti mari, che tendono a essere azzurri). A volte anche la funzione “colore automatico” di Photoshop aiuta molto e restituisce un’immagine priva di dominante generale. L’obiettivo è avere un’immagine che sembra (ma non lo è) in bianco e nero, senza dominanti.

A questo punto possiamo passare alla fase successiva: aumentare la saturazione del colore fino a far comparire i colori ma senza creare artefatti. In generale è meglio procedere a piccoli passi, aumentando la saturazione di circa il 30% ogni volta invece che farlo in un’unica soluzione. Piano piano vedremo la Luna colorarsi. Ci fermeremo solo quando cominceremo a vedere il rumore di fondo e l’immagine diventerà molto granulosa. Non bisogna applicare altri strani filtri, come quelli fotografici, che fanno più danni che altro: ricordiamo infatti che stiamo cercando di rappresentare la realtà come è e non come vorremmo che fosse!

Ecco i colori della Luna! L’immagine, però, non è proprio bella a livello estetico, ecco perché abbiamo a disposizione l’altra copia trasformata in bianco e nero e a cui abbiamo applicato qualche maschera di contrasto per renderla bella.

I colori ci sono ma l'immagine è molto granulosa. Non importa, per questo abbiamo creato una versione di luminanza che coloreremo con questa.

I colori ci sono ma l’immagine è molto granulosa. Non importa, per questo abbiamo creato una versione di luminanza che coloreremo con questa.

Prendiamo allora la nostra crominanza, un po’ brutta, e copiamola sulla versione di luminanza, trasformata in immagine a colori. Allineiamo i due livelli e impostiamo il modo di unione su “colore”. Come per magia, l’informazione del colore viene trasferita sulla versione esteticamente più gradevole e la nostra Mineral Moon è pronta!

Le due versioni a confronto. A sinistra ci siamo concentrati solo sulla luminanza e sui dettagli. A destra solo sul colore. Ora dobbiamo unire al meglio le due informazioni.

Le due versioni a confronto. A sinistra ci siamo concentrati solo sulla luminanza e sui dettagli. A destra solo sul colore. Ora dobbiamo unire al meglio le due informazioni.

 

Sovrapponendo il file di crominanza a quello di luminanza e unendo con il metodo "colore" ecco che la magia è completa: una foto che mostra i dettagli e i veri colori della Luna!

Sovrapponendo il file di crominanza a quello di luminanza e unendo con il metodo “colore” ecco che la magia è completa: una foto che mostra i dettagli e i veri colori della Luna!

La Mineral Moon

La Mineral Moon

I colori sono reali? Certo! Anche se l’occhio non li percepisce, non vuol dire che non esistono, piuttosto che il nostro apparato visivo non ha la sensibilità sufficiente a restituirceli, come d’altra parte accade a tutti gli oggetti del profondo cielo. La realtà è molto più ampia del piccolo spicchio accessibile al nostro occhio. In un certo senso, allora, è più corretto dire che è la versione monocromatica che noi possiamo vedere di solito, della Luna e delle nebulose, a non essere reale, perché la realtà, indagata con strumenti più sensibili e oggettivi, mostra un Universo pieno di colori!

Immagini di questo tipo, oltre a essere belle per la vista, contengono dati interessanti dal punto di vista geologico. Certo, la precisione nel determinare gli elementi prevalenti non è elevatissima ma possiamo dire, ad esempio, che le zone rosse sono povere di ferro e in generale più antiche, mentre quelle blu rivelano aree ricche di titanio. Chissà che un giorno anche queste nostre foto non serviranno ai primi minatori lunari come indicazione su dove trovare maggiori quantità dei preziosi minerali che cercheranno di estrarre.