Utilizzo di una fotocamera reflex non modificata nella fotografia astronomica di base

Cari amici astrofili, come sapete bene mi piace cercare sempre di proporre qualcosa di un po’ particolare, in questo blog. E nella nostra, grande, passione non mancano certo gli spazi per ogni tipo di tecnica e di modalità di ripresa! Ma poi ci sono alcune tecniche di ripresa che mostrano la loro particolarità proprio fondandosi sulla semplicità della strumentazione coinvolta.

Siamo nell’era delle CMOS raffreddate, in cui sensori di grandi prestazioni, capaci di digitalizzazione on-chip del segnale e dotati di risoluzioni pazzesche sono davvero alla portata di tutti. Eppure, una delle tecniche di ripresa astronomica più diffuse, nonostante tutto, coinvolge l’uso delle tradizionali DSLR; spesso non di fascia top, prese magari usate, con 100000 scatti all’attivo, magari anche un po’ maltrattate, ma perfette per poter essere portate fuori a freddo e umidità notturne o moddate senza rimpianti.

Ebbene, in questo caso andiamo ancora di più alla radice della fotografia digitale, e puntiamo su un sensore assolutamente diffuso (anche io ho avuto una camera come questa) come quello della Nikon D5100, un APS-C dotato di una ragionevole (anche se non straordinaria) sensibilità alle basse luci; per di più rigorosamente appartenente ad una DSLR NON modificata e anche senza l’uso di alcun tipo di filtro!!!

Il nostro amico Luca Ghiglino fa un uso davvero intensivo, di questa camera, in combinato con un OTA Newton 200/800 Skywatcher, con il quale ha ottenuto risultati davvero notevoli.

Qui sotto il racconto che ha gentilmente voluto farci della sua esperienza.

Dando un segnale per tutti: avere strumentazioni incredibilmente avanzate non è il solo modo per ottenere eccellenti risultati.

Buona lettura a tutti.

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA


 

 

Utilizzo di una fotocamera reflex non modificata nella fotografia astronomica di base
di Luca Ghiglino

Luca di TS Italia mi ha chiesto di scrivere un articolo sull’utilizzo di una semplice reflex non modificata (una Nikon D5100 che uso da anni nella fotografia tradizionale) applicato alla fotografia astronomica, senza l’uso di nessun tipo di filtro.

Il mio setup è composto da un Newton F4 (Skywatcher Widephoto 200/800) su montatura NEQ6 con (o senza) telescopio di guida. Il tutto è connesso al portatile, con il programma Sky Chart per muovermi e imparare a conoscere il cielo e PHD Guiding nel caso in cui sia necessaria l’autoguida (software entrambe scaricabili gratuitamente dai rispettivi siti).

Il corpo macchina della Nikon viene raccordato al focheggiatore con un semplice anello T2 e un correttore di coma Baader che riduce l’allungamento delle stelle ai bordi del campo inquadrato (se l’oggetto è contenuto nella parte centrale del campo, quest’ultimo può essere un accessorio non indispensabile). Ovviamente il risultato finale è sempre rapportato alle condizioni del cielo, al corretto allineamento/collimazione del telescopio e al tempo che si è disposti a passare su un determinato oggetto.

 

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Fig 1
Il setup utilizzato

 

La modalità di scatto della Nikon è manuale, le ISO sono solitamente impostate a 800, il bilanciamento del bianco è impostato su luce solare e gli scatti sono in RAW, formato che torna utile nella successiva elaborazione.

Una volta in posizione, con l’inseguimento attivo, scatto alcune foto di prova centrando l’oggetto e ruotando la macchina sul suo asse per riprenderlo il più possibile nella sua interezza. Gli scatti di prova sono utili anche per capire se stiamo saturando troppo l’immagine in relazione al tempo di posa impostato. Per oggetti luminosi come stelle e ammassi di solito bastano 30” di esposizione per ogni scatto (in questo caso l’autoguida non è necessaria) e per oggetti flebili come galassie e nebulose, considerando che non uso nessun tipo di filtro, non supero i 180” di esposizione, con autoguida.

Ricordiamoci che foto troppo saturate, con fondo cielo troppo luminoso, sono da scartare perché non riescono a contrastare l’oggetto, mentre quelle poco saturate raccolgono poco segnale e quindi meno dettagli: la visualizzazione sullo schermo LCD dell’istogramma della foto appena scattata, aiuta a mantenersi con la parte iniziale dello stesso poco più in basso del bordo a sinistra del grafico, trovando così il tempo di esposizione ottimale, che ogni sera non è mai uguale e varia in base al seeing e alla location, quest’ultima correlata naturalmente anche all’inquinamento luminoso.

Un altro aspetto fondamentale è la messa a fuoco: adotto la modalità “live-view” in modo da vedere le stelle direttamente sullo schermo LCD. Come riferimento ne prendo una medio/piccola, vado a ingrandirla con lo zoom digitale e mi regolo cercando il punto intermedio tra l’effetto “cerchio” e l’effetto “pallina”: questa per me è la posizione ideale di fuoco, quando la stella diventa puntiforme. Meglio stringere bene le viti di fermo del focheggiatore e quelle di fissaggio, perchè la reflex non è propriamente leggera e la posizione di fuoco potrebbe spostarsi con il movimento graduale del telescopio.

 

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Fig. 2
Uno scatto di prova su lcd della Nikon

Con un semplice telecomando a filo per la programmazione degli scatti multipli, disponibile per Canon/Nikon ad un costo contenuto, imposto il numero di scatti, il tempo di esposizione stabilito con le foto di prova e, cosa molto importante, i secondi di pausa tra uno scatto e l’altro: le reflex, non essendo raffreddate, tendono a scaldare il sensore (con conseguente rumore di fondo in eccesso) quindi per esposizioni più o meno lunghe lascio sempre 40”/60” di pausa tra una foto e l’altra per il raffreddamento.

Alla fine della sessione eseguo sempre gli scatti correttivi, flat e dark, perché, soprattutto i primi, sono fondamentali ai fini della buona qualità del risultato. Le foto vengono poi sovrapposte con il software gratuito Deep Sky Stacker e l’immagine finale elaborata in Photoshop.

Anche se mi considero ancora all’inizio, sono trascorsi ormai due anni a fotografare il cielo con questa camera, e posso dire che, come in ogni campo, nella fotografia astronomica è molto utile iniziare dalle basi. Con una semplice reflex si possono comprendere i principali aspetti e fare pratica con risultati soddisfacenti, in modo da acquisire quella sensibilità ed esperienza che successivamente potremo applicare nell’uso di componenti quali filtri e camere astronomiche più specifiche e performanti, che solo con una consolidata esperienza saremo davvero pronti per poterli gestire.

Seguono alcune foto con i dettagli di scatto.
Un saluto e cieli sereni a tutti.

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M13 – Ammasso globulare di Ercole
15 scatti a iso 800 da 120″ di esposizione,
integrazione totale 30 minuti

 

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M81- M82
50 scatti a iso 800 da 180″ di esposizione,
integrazione totale 2 ore e 30 minuti

 

Immagine salvata con i settaggi applicati.

30 scatti a iso 800 da 40″ ciascuno (senza autoguida),
integrazione totale 20 minuti

Immagine salvata con i settaggi applicati.

NGC6946+NGC6939 – Galassia e ammasso aperto
27 scatti a iso 800 da 30″ di esposizione,
senza autoguida e senza scatti correttivi,
integrazione totale 13 minuti

Immagine salvata con i settaggi applicati.

IC434 in Orione – Nebulosa Testa di Cavallo e Nebulosa Fiamma
35 scatti a iso 800 da 240″ di esposizione (seeing molto buono),
integrazione totale 2 ore e 20 minuti

Immagine salvata con i settaggi applicati.

IC1805 – Nebulosa Cuore
185 scatti a iso 800 da 60″ di esposizione,
integrazione totale circa 3 ore

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M42-M43 – Grande Nebulosa di Orione
128 scatti a iso 800 di 80″ di esposizione,
integrazione totale circa 3 ore

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M31 – Galassia di Andromeda
31 scatti a iso 1250 da 30″ di esposizione,
20 scatti a iso 800 da 60″ di esposizione,
20 scatti a iso 800 da 150″ di esposizione,
11 scatti a iso 800 da 240″ di esposizione,
integrazione totale circa 2 ore

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M33 – Galassia del Triangolo
145 scatti a iso 800 da 100″ di esposizione,
integrazione totale circa 4 ore

Immagine salvata con i settaggi applicati.

M45 – Ammasso delle Pleiadi
110 scatti a iso 800 da 90″ di esposizione,
integrazione totale 2 ore e 43 minuti

Immagine salvata con i settaggi applicati.

NGC6960 – Nebulosa Velo (parte Ovest)
28 scatti a iso 800 da 120″ di esposizione,
integrazione totale 56 minuti

Immagine salvata con i settaggi applicati.

NGC6992-NGC 6995 – Nebulosa Velo (parte Est)
94 scatti a iso 800 da 120″ di esposizione,
integrazione totale 3 ore e 8 minuti

Star Adventurer e autoguida: un problema ostico e alcune pratiche soluzioni

Cari amici di TS Italia, la stagione sta svoltando al freddo e, inutile negarlo, a tutti passa un pochino la voglia di trasportare strumentazione pesante fino in cima ad una montagna… Oddio, quasi a tutti, perché noi di TS Italia siamo anche grandi amanti della neve e delle alte quote…ma questa è un’altra storia, non divaghiamo…

Sicuramente, dicevamo, la brutta stagione un pochino fa venire meno la voglia di fare tanta strada per andare a osservare e riprendere al freddo, incrementando invece il desiderio di fare astronomia dal cortile di casa. Inoltre, anche quando ci si sposta, in inverno si cercano spesso soluzioni più veloci, grab&go, che permettano di avere a disposizione un setup performante ma veloce da mettere in stazionamento e che consenta un ancor più veloce rientro al calduccio, sotto le coperte, luogo nel quale, peraltro, spesso ci attende qualcuno di piuttosto contrariato per le nostre bizzarrie notturne e per le ingenti spese che da esse derivano. Ma nuovamente…. non divaghiamo…. 🙂

Forse anche in ragione di questo, ci è stato spesso chiesto negli ultimi tempi qualche buon consiglio sull’uso degli astroinseguitori, e in particolare ci è stato più volte chiesto di trovare una soluzione funzionale ed economica per poter guidare lo Star Adventurer di Skywatcher.

Apparentemente, per un astrofilo abituato a montature e ottiche convenzionali, la questione può sembrare quasi banale, ma in realtà per chi utilizza lo Star Adventurer con obiettivi per fotocamera reflex, la soluzione potrebbe non essere così ovvia…. Dove applicare e come collegare, infatti, una seconda ottica di guida? La questione per chi utilizza un OTA tradizionale non si pone neppure: disponiamo sicuramente di serie di anelli di supporto con passi M6 o da 1/4″ e molto probabilmente il nostro focheggiatore ospita almeno una basetta per cercatore con attacco Skywatcher standard al quale applicare un bel ed economico cercatore guida. Ma in assenza di questo?

Ebbene, con gli Star Adventurer, le soluzioni possibili sono, ad avviso di chi scrive, essenzialmente due:

A) adottare un supporto per flash che consenta di alloggiare comodamente un cercatore guida
B) utilizzare un adattatore che in qualche modo permetta di alloggiare una ottica di guida sul nostro Star Adventurer

Per il primo caso, consigliamo di adottare un supporto Geoptik come questo:
http://www.teleskop-express.it/cercatori/1211-adattatore-flash-reflex–geoptik.html

filtro IDAS Hutec V4

Indubbiamente si tratta di una soluzione pratica e assolutamente universale, al costo di soli 60€. Tra i vantaggi, la assoluta leggerezza e l’economicità, nonché l’elevata qualità dei materiali e la piena compatibilità con ogni tipologia e marca di fotocamera DSLR in commercio.

Per il secondo caso, la faccenda diventa più complicata, perché si tratta di capire innanzitutto come debba essere fatto questo supporto adattatore, cosa debba esattamente alloggiare e dove. Ebbene, in questo caso, consigliamo senz’altro di adottare un cercatore guida già fornito di supporto con adattatore universale per il passo da 1/4 di pollice, come questo:
http://www.teleskop-express.it/cercatori/3357-mini-50mm-guide-scope-for-astrophotography-rich-field-telescope-ts-optics.html

filtro IDAS Hutec V4

Questo cercatore guida è infatti provvisto di una speciale piastrina in alluminio anodizzato, non presente in altri cercatori, alla quale è possibile avvitare direttamente la basetta del cercatore fornita in dotazione. L’unione di piastrina e basetta, data la presenza sulla parte inferiore della piastrina stessa di un foro filettato a passo fotografico standard da 1/4″, permette una semplice installazione su qualsiasi testa a sfera dotata di slitta a sgancio rapido.

Ebbene, chiederete, ma è necessario adottare, quindi, una seconda testa a sfera? Si possono installare due teste a sfera sullo Star Adventurer??? La risposta a entrambe le domande, è semplicemente no!!! 🙂

In questo caso sarà sufficiente utilizzare la staffa ad L della Skywatcher per astroinseguitore Star Adventurer, già fornita di serie nello Star Adventurer Kit:
http://www.teleskop-express.it/astroinseguitori/2680-staffa-a-l-per-staradventurer-skywatcher.html

Staffa ad L Skywatcher per astroinseguitore Star Adventurer

Mentre la camera di ripresa andrà fissata alla parte superiore della staffa, nella posizione tipica, per ottenere un sistema di guida completo si dovrà semplicemente sfruttare il secondo perno filettato (libero), con passo fotografico grosso da 3/8″, presente sulla staffa ad L, applicandovi la testa a sfera. Alla testa a sfera, con il meccanismo già visto sopra, si aggancerà quindi il cercatore guida. Et voilà, il gioco è fatto!!!

Ecco che con meno di 100€ abbiamo ottenuto un sistema di guida completo, leggero e performante, che consente anche di migliorare il bilanciamento dell’astroinseguitore e che permette un pieno orientamento dell’ottica di guida nella direzione da noi preferita, senza vincoli di sorta.

A presto!

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA

Saint Barthélemy ’17

Anche quest’anno Teleskop Service Italia si appresta a trasferirsi a Saint Barth!

E anche quest’anno TS Italia e TecnoSky saranno entrambi presenti, per la prima volta insieme e con un doppio stand, ricchissimo di novità; tra cui i nuovi prodotti, in anteprima assoluta per la fiera 2017, Astronomy Expert.

Alla fiera saremo presenti in esclusiva assoluta con il nuovo AE Colli-Tester R.E.E.G.O., un nuovo modo di collimare e testare la strumentazione ottica, con una soluzione unica per tutti i tipi di strumento.

Presenteremo anche gli AE Nikon Filter Holder da 31mm e 36mm, supporti per filtri non in cella perfetti per i sempre più numerosi appassionati di astronomia che apprezzano il marchio nipponico delle DSLR; in demo-fiera nella versione APS-C, ma disponibili in prevendita anche per il pieno formato.

Sul settore collimazione, avremo i nuovi AE Collimation Tool per Newton GSO da 6″, un diametro sempre più apprezzato, che però mancava ancora di un kit di collimazione dedicato; peraltro, ad un prezzo molto vantaggioso! E ancora, su tutti gli AE Collimation Tool per SC, lo sconto-fiera per chi mostrerà la landing page promozionale o la mailing-list, sarà addirittura del 50% !!!

Infine, sarà divertente giocare insieme con una AZEQ6 AE MOD, da toccare con mano, montata su supporto AE Tripod MOD Long. Potrete anche giocare a maltrattare un tubo AE Tripod MOD, per saggiarne la solidità con….un martello da 2KG! :DDD

Concedeteci anche una piccola bizzarria, ogni tanto:

Vi aspettiamo alla fiera!

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA


Landing-page promozionale con tutte le novità Astronomy Expert.




Saint Barthélemy ’17
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Speciale Astronomy Expert

 

Anche quest’anno Teleskop Service Italia si appresta a trasferirsi a Saint Barth!

E anche quest’anno TS Italia e TecnoSky saranno entrambi presenti, ma per la prima volta insieme e con un doppio stand, ricchissimo di novità; tra cui i nuovi prodotti, in anteprima assoluta per la fiera 2017, Astronomy Expert.

 

 

 

Vieni a scoprire in esclusiva assoluta il nuovo AE Colli-Tester R.E.E.G.O.
(in promo lancio mostrando questa pagina allo stand)

Verifica precisione e solidità della AZEQ6 AE MOD
(in testing presso lo stand TS Italia)

Gioca con un nostro AE Tripod MOD e sperimentane la forza!
(potrai verificarne la solidità di persona divertendoti a maltrattarlo)

Tocca con mano in anteprima gli AE Nikon Filter Holder da 31mm e 36mm
(demo fiera nella versione APS-C, disponibili in prevendita anche FF)

Scopri gli AE Collimation Tool per Newton GSO da 6″
(novità assoluta 2017, in versione Standard e Plus)

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(mostrando questa pagina allo stand, fino ad esaurimento scorte)

 

Una nuova avventura.
Un nuovo inizio.

Che dire, in questi anni, amici astrofili, ne abbiamo viste di tutti i colori, insieme: abbiamo parlato di divulgazione scientifica e di tecnica astronomica di base, di ricerca amatoriale e professionale, di astrofotografia e di oculari, di meteo e di test strumentali. Abbiamo discusso per interminabili ore al telefono, via mail, su internet, agli starparty, di soluzioni tecniche e di visioni personali, di bellezza e di inquinamento luminoso, di successi e di fallimenti.

E ci siamo anche divertiti un bel po’, direi…..

Dunque, perché cambiare?

Teleskop Service Italia si rinnova, già lo avrete saputo, ma non cambia pelle, non cambia cuore, non cambia anima. TS Italia entra a far parte di un gruppo più grande, più forte, più solido, per darvi ancora più servizi, ancora più competenza, ancora più innovazione, ma con sempre lo stesso cuore italiano!

 

Un caro abbraccio va a Giuliano Monti, persona squisita e vero deus-ex-machina di questo nuovo, grande gruppo, ai vertici del settore in Italia.

Un grazie va a tutti coloro i quali, con il loro impegno, hanno reso TS Italia la grande realtà che tutti conoscete e apprezzate, prima tra tutti la bravissima Elisa Tonella.

Un mio personale in bocca al lupo va a Riccardo Cappellaro, amico di sempre e inseparabile compagno di mille avventure.

 

Un grazie, doveroso, infine, va soprattutto a voi, che da sempre, anche in tempi turbolenti come quelli in cui viviamo, ci insegnate sempre cosa sia, davvero, UN ASTROFILO.

Saremo insieme anche nei prossimi anni, carichi di entusiasmo, di competenza e di una immensa, sconfinata passione per quel cielo che sta sulle nostre teste e che non possiamo proprio smettere di amare!

Restate con noi. Il divertimento inizia ora!

 

 

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA


 

Una stazione per il monitoraggio dei bolidi

Che dire…gli articoli di Albino sono sempre qualcosa di stupefacente, e oggi siamo orgogliosi di presentare un suo nuovo, bellissimo lavoro!

Quello che introduciamo qui, propone un approccio molto pragmatico all’osservazione di meteore e bolidi, tale da permettere a chiunque, purché dotato di un po’ di abilità auto-costruttive, tanta passione e un budget di poche centinaia di euro (o anche anche minore, considerando che parte dell’attrezzatura più costosa è già in possesso di una amplissima parte di astrofili…) di realizzare una propria, personale stazione di monitoraggio.

Ancora una volta, un sentito grazie ad Albino!

Buona lettura a tutti!!!

 

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA

 

 


Una stazione per il monitoraggio dei bolidi

Albino Carbognani, Ph.D.

albino.carbognani@libero.it

Versione del 21 marzo 2017

 

 

Uno dei più interessanti fenomeni astronomici cui è possibile assistere è senz’altro il passaggio di un bolide. A scanso di equivoci, quando si parla di “bolide” in campo astronomico si intende una meteora molto luminosa. Purtroppo, essendo eventi sporadici e imprevedibili, non è possibile sapere quando si avrà il prossimo bolide quindi è necessario un monitoraggio costante e continuo di tutto il cielo per avere la possibilità di osservarne qualcuno. Considerata l’era tecnologica in cui viviamo al posto nostro possiamo mettere un “occhio elettronico” controllato da un computer che ci mostri solo gli eventi interessanti. In questo articolo, dopo una introduzione alla fisica dei bolidi vedremo come costruire una economica stazione per la loro detection.

 

Asteroidi, comete e meteoroidi

In orbita attorno al Sole, oltre agli otto pianeti, si trovano centinaia di migliaia d’asteroidi e milioni di comete. Gli asteroidi si trovano prevalentemente fra le orbite di Marte e Giove, fra 2,1 e 3,6 UA dal Sole, in quella che è chiamata la Fascia Principale, e fra 40 e 55 UA nella Fascia di Kuiper. La maggior parte delle comete invece popola le regioni più esterne del Sistema Solare, dando origine alla nube di Oort (fra 40.000 e 100.000 UA). Gli asteroidi sono corpi per lo più a composizione rocciosa/metallica con diametri che vanno da diverse centinaia di km, fino alla decina di metri per quelli più piccoli. Le comete invece sono corpi prevalentemente ghiacciati e a bassa densità media, con dimensioni tipiche dell’ordine di 1-10 km.

 

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Fig. 1 – La collocazione della Fascia Principale (in rosa) e dei Troiani di Giove (in giallo) nel Sistema Solare.

 

Nella Fascia Principale, nell’arco di milioni o miliardi di anni, sono avvenute collisioni fra gli asteroidi che la popolano, com’è testimoniato dalla presenza di numerosi crateri da impatto sulle superficie di quei pochi corpi visitati direttamente dalle sonde spaziali. Normalmente lo scontro fra due asteroidi porta alla creazione di centinaia di frammenti con dimensioni che vanno da frazioni di millimetro ad alcune decine di metri e oltre. La fisica della fratturazione ci dice che i frammenti di dimensioni minori saranno molto più numerosi di quelli più grandi, cioè “piccolo è numeroso”.

I corpi con dimensione intermedia fra asteroidi e polvere interplanetaria, sono chiamati meteoroidi. I limiti fissati dall’IAU (International Astronomical Union) nel 1961 considerano come meteoroidi i corpi con una massa compresa fra 10-9 e 107 kg. Assumendo una densità media di 3,5 g/cm3 il raggio di un meteoroide va dai 40 µm ai 10 m. Al di sopra di circa 20 metri di diametro si parla più correttamente di asteroidi. A causa delle risonanze orbitali con Giove e Saturno e dell’effetto Yarkovsky dovuto “all’effetto razzo” provocato dall’emissione termica della superficie, i meteoroidi e gli asteroidi originatisi nella Fascia Principale possono essere immessi, su tempi scala dell’ordine della decina di milioni di anni, su orbite che intersecano quelle dei pianeti terrestri: Mercurio, Venere, Terra e Marte. Ci sono quindi centinaia di migliaia di meteoroidi e decine di migliaia di asteroidi near-Earth potenzialmente in grado di cadere sulla superficie terrestre. In parole povere, i frammenti che si generano durante le collisioni fra gli asteroidi della Fascia Principale in parte “cadono” verso il Sistema Solare interno e possono finire sul nostro pianeta.

Anche le comete sono una “sorgente” di meteoroidi, pur se di dimensioni e densità minore. Quelle comete che, dalla nube di Oort, riescono a raggiungere il Sistema Solare interno sono soggette ad un processo di sublimazione dei ghiacci superficiali che immette nello spazio interplanetario le particelle solide da cui sono, in parte, formate. Si originano così delle vere e proprie “correnti di meteoroidi” che seguono l’orbita della cometa-madre. In generale sono i meteoroidi di origine cometaria a dare origine agli sciami meteorici visibili durante l’anno, fra i più importanti e famosi dei quali troviamo le Perseidi e le Leonidi. Qui però siamo interessati ai meteoroidi di origine asteroidale, quelli più coesi e massicci in grado di originare bolidi di elevata luminosità e con una elevata probabilità avere meteoriti al suolo.

 

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Fig. 2 – Le orbite degli asteroidi near-Earth potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta. Il pallino giallo al centro Rappresenta il Sole, mentre l’orbita della Terra è il cerchio bianco. Il cerchio più esterno è l’orbita di Giove (NASA).

 

Fisica dei bolidi

Vediamo che cosa succede quando un meteoroide attraversa l’atmosfera terrestre durante la caduta verso il suolo. La velocità geocentrica di un meteoroide appartenente al Sistema Solare è compresa fra 11,2 km/s (dovuta alla sola gravità terrestre), e 72,8 km/s (42,5 km/s per la velocità di fuga al perielio terrestre più 30,3 km/s per la velocità orbitale della Terra al perielio). Quando un meteoroide penetra nell’atmosfera terrestre con velocità dell’ordine delle decine di km/s, la collisione con le molecole dell’alta atmosfera (termosfera), ne riscalda la superficie. Giunto ad una quota di 80-90 km (mesosfera), la temperatura del meteoroide raggiunge i 2500 K ed inizia la sublimazione degli atomi del corpo celeste. Questo processo di perdita di massa è noto come ablazione. A causa degli urti reciproci gli atomi del meteoroide si ionizzano, cioè perdono uno o più elettroni, e ionizzano anche le molecole atmosferiche. Durante la ricombinazione ioni-elettroni è emessa della radiazione elettromagnetica, e un osservatore al suolo vedrà una scia luminosa in cielo: la meteora. Una meteora si compone di due parti: la testa e la scia. La testa della meteora contiene il meteoroide che si sta consumando più i gas ionizzati, mentre la scia è la regione di ricombinazione dei soli gas ionizzati. Da notare che il 90% della radiazione emessa da una meteora proviene dagli atomi del meteoroide.

 

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Fig. 3 – Terminologia di base. Meteoroide è il corpo che si muove nello spazio interplanetario; la meteora è l’emissione luminosa dovuta alla vaporizzazione del meteoroide nell’alta mesosfera; meteorite è il residuo solido che giunge al suolo. Se il meteoroide è sufficientemente grande può dare origine ad un bolide che può esplodere nella stratosfera. Piccoli asteroidi possono dare luogo ad un evento di classe “Tunguska” oppure “Meteor Crater” se arriva al suolo e scava un piccolo cratere da impatto (disegno di Roberto Baldini, tratto da: Carbognani, Foschini “Meteore”, CUEN, 1999).

 

Se il meteoroide è di discrete dimensioni (> 20 cm di diametro), la testa della meteora può essere molto luminosa. Quando la magnitudine apparente zenitale è inferiore a –8 la meteora è detta bolide (un tempo il termine bolide era usato per indicare le meteore di cui era udibile il rumore). La definizione di bolide non è ancora stata fissata dall’UAI, quindi per alcuni la magnitudine limite è la –4 o la –6. Un bolide con magnitudine inferiore alla –17 è detto superbolide. Per piccoli asteroidi di decine di metri di diametro il bolide può essere più luminoso del Sole visto dalla Terra. Un esempio di evento del genere è il piccolo asteroide di circa 50 metri di diametro esploso ad 8 km di quota sopra la regione del fiume Tunguska il 30 giugno 1908. I testimoni locali parlarono di una “palla di fuoco” molto più luminosa del Sole. Altro esempio, molto più vicino a noi, è stato il bolide di Chelyabinsk del 15 febbraio 2013, causato dalla caduta di un asteroide di 20 m di diametro. La velocità media era di 19 km/s, e l’esplosione dell’asteroide si è verificata a 30 km di quota con un rilascio di energia cinetica pari a 500 kt (circa 30 volte l’energia sprigionata dalla bomba atomica di Hiroshima).

 

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Fig. 4 – Rappresentazione del rientro in atmosfera di un meteoroide. Sono indicate le principali caratteristiche fisiche del fenomeno (disegno di Roberto Baldini, tratto da: Carbognani, Foschini “Meteore”, CUEN, 1999).

 

Spesso i meteoroidi meno coesi, a causa della differenza di pressione atmosferica fra parte avanzante e recedente, si frammentano in più parti, ognuna delle quali diventa a sua volta un bolide indipendente. Un fatto del genere si è verificato per il bolide visto da Peekskill (stato di New York) la sera del 9 ottobre 1992. Il corpo principale si spezzò in 70 frammenti di cui uno solo (del peso di 12 kg) è stato poi ritrovato (colpì un’automobile parcheggiata sfondandone il cofano posteriore). Altro meccanismo per la frammentazione può essere la presenza di cavità nel corpo che, venendo alla luce, ne aumentano in modo repentino la resistenza atmosferica.

Se il meteoroide è sufficientemente grande può sopravvivere all’ablazione. Quando la velocità in atmosfera scende al di sotto dei 3 km/s la perdita di massa e l’emissione di radiazione cessa e il meteoroide entra nella fase di volo buio (o dark flight). Da questo momento inizia un processo di raffreddamento della superficie e la traiettoria del corpo si fa sempre più verticale. La velocità di impatto del meteoroide sulla superficie terrestre va da 10 a 100 m/s per corpi di massa compresa fra 10 g e 10 kg (velocità geocentrica di 15 km/s). Quando quello che resta del meteoroide giunge al suolo si parla di meteorite.

Il meteorite è ciò che rimane dopo la fase di ablazione atmosferica di un meteoroide entrato in collisione con la Terra. La maggior parte dei meteoroidi si disintegrano in aria, e l’impatto vero e proprio con la superficie terrestre è raro, però ogni anno si stima che il numero di meteoriti sulla Terra con dimensioni di una palla da baseball o più si aggiri sulle 500. Di queste ne vengono mediamente recuperate solo 5 o 6, gran parte delle rimanenti cadono negli oceani (che ricoprono circa il 70% della superficie terrestre), o comunque in zone in cui il terreno rende difficile un loro recupero se non si conosce con una certa precisione il luogo di caduta. Le meteoriti sono importanti perché forniscono informazioni sulla composizione e la storia termica degli asteroidi, e forniscono un possibile veicolo per la disseminazione di acqua e di materiali organici nel sistema solare interno, con rilevanti implicazioni per l’astrobiologia.

 

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Fig. 5 – Esempio di meteoroide cavo (1); il meteoroide entra in atmosfera (2); l’ablazione rimuove parte della superficie (3); vengono alla superficie alcune cavità e l’area esposta aumenta creando un “effetto paracadute” (4); il frenamento improvviso determina la trasformazione di energia cinetica in calore (5), con conseguente esplosione del meteoroide (6) (disegno di Roberto Baldini, tratto da: Carbognani, Foschini “Meteore”, CUEN, 1999).

 

La probabilità per un meteoroide di giungere al suolo, oltre che dalle dimensioni, dipende dal materiale di cui è fatto il meteoroide stesso. Un meteoroide di ferro-nichel giungerà più facilmente al suolo di uno di pura roccia. Nell’impatto il meteoroide si conficca nel terreno creando una buca che può essere anche più larga delle dimensioni del corpo che la provoca. Per grandi meteoroidi o piccoli asteroidi la velocità può mantenersi elevata fino al suolo, l’ablazione non cessa, non esiste la fase di volo buio e nella caduta si forma un cratere da impatto. Generalmente il rapporto fra il diametro del cratere e il diametro dell’asteroide che lo genera è circa 20.

È chiaro che l’avvistamento di un bolide molto luminoso, implica l’entrata in atmosfera di un meteoroide di dimensioni tali da poter sperare che sopravviva all’ablazione e giunga fino al suolo. Da qui l’importanza del loro monitoraggio, tanto è vero che anche in Italia è nata la rete PRISMA, promossa dall’INAF-Osservatorio Astrofisico di Torino che ha come scopo primario il monitoraggio dei bolidi per il recupero delle eventuali meteoriti al suolo (http://prisma.oato.inaf.it/). Il progetto si colloca nell’ambito di una Collaborazione Internazionale con l’ Institut de Mécanique Céleste de Calcul des Ephémérides di Parigi e prevede la progressiva collocazione di camere automatiche all-sky in tutta Italia.

 

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Fig. 6 – Una ripresa del bolide diurno di Chelyabinsk del 15 febbraio 2013.

 

L’hardware e il software per la stazione

Dopo questa introduzione teorica ai bolidi veniamo ora alla parte più pratica e divertente, specie per gli studenti e gli astrofili. L’obiettivo è quello di costruire, con una spesa minima, una stazione casalinga in grado di monitorare una buona parte del cielo e di salvare su un HDD filmati e immagini di tutto quello che passa davanti all’obiettivo. L’elenco dell’hardware necessario è abbastanza breve:

  • Scatola a tenuta stagna, come quelle usate per gli elettricisti, di dimensioni minime 240×190×90 mm (10 €)

  • Cupola trasparente da 150 mm di diametro a tenuta stagna usata per le riprese subacquee (12 €)

  • Camera ASI 120 MM (B/N) + obiettivo grandangolare da 2,1 mm di focale (200 €)

  • Mini-PC Minix Z64 con Windows 10, SSD da 32 GB e 2 GB di RAM (150 €)

  • HDD esterno USB da 500 BG (50 €)

Acquistando tutto nuovo con circa 400 € potremo disporre di una stazione per il monitoraggio dei bolidi. Ovviamente si risparmia andando sul mercato dell’usato oppure riciclando hardware già disponibile in casa. La cosa importante è che la scatola di contenimento e la cupola trasparente siano a perfetta tenuta stagna, perché la stazione dovrà stare all’aperto. Sarebbe buona cosa aggiungere anche una serie di piccole resistenze interne alla base della cupola per evitare fenomeni di condensazione dell’umidità notturna.

 

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Fig. 7 – L’hardware necessario per la nostra stazione casalinga. Il alto il contenitore a tenuta stagna con dimensioni 240×190×90 mm, usato normalmente per cavi elettrici all’aperto, con montata la cupola di plastica trasparente da 150 mm di diametro usata, di solito, per le riprese nelle immersioni subacquee. In basso, da sinistra verso destra, l’HDD per lo storage dei filmati, la camera CMOS ASI 120 MM USB 2.0 + obiettivo grandangolare da 2,1 mm di focale e il mini-PC Minix Z64 per la gestione via Wi-Fi della stazione.

 

L’assemblaggio della stazione è abbastanza semplice. Prima di tutto bisogna installare i driver della ASI 120 MM in modo che venga riconosciuta dal mini-PC. Un software di gestione molto semplice da usare per la detectione dei bolidi è HandyAVI (http://www.azcendant.com/), che supporta senza problemi la ASI 120 mm. I file con i filmati e le immagini possono essere salvate direttamente sull’HDD esterno collegato al mini-PC in modo da non intasare la scheda di memoria dove si trova il sistema operativo e il software di gestione. Il coperchio della scatola a tenuta stagna va bucato in modo da inserire perfettamente la parte superiore della ASI 120 MM, con il suo piccolo obiettivo grandangolare in dotazione. Quest’ultimo ha una focale di soli 2,1 mm e abbinato al sensore CMOS della camera (1280×960 pixel da 3,75 µm di lato) è in grado di abbracciare una porzione di cielo di 131°×98°, con una risoluzione di 6 primi d’arco per pixel. A questa scala la Luna piena sottenderà circa 5 pixel. Al bordo del campo di vista le immagini fornite da questo obiettivo sono un po’ deformate, ma stiamo lavorando in economia, quindi può essere tollerato. Naturalmente, niente impedisce di sostituire l’obiettivo standard con un vero fish-eye di qualità migliore.

 

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Fig. 8 – Il prototipo della stazione per il monitoraggio dei bolidi assemblato e pronto all’uso. L’unico filo che esce è il cavo elettrico di alimentazione del mini-PC. L’antenna Wi-Fi può essere riposta all’interno senza che questo interferisca con le comunicazioni.

 

Sopra al foro da cui spunta l’obiettivo della ASI va avvitata la cupola trasparente di qualità ottica. La cupola usata nel nostro prototipo di stazione è solitamente usata per le immersioni subacquee e quindi dotata di una guarnizione per impedire l’ingresso dell’acqua, una caratteristica che si è rivelata molto utile per impedire l’ingresso dell’umidità notturna. Il mini-PC, l’HDD e la ASI vanno inseriti all’interno del contenitore. Fatti i collegamenti USB ASI-(mini-PC)-HDD, alla fine l’unico filo che deve uscire dal contenitore stagno è quello per l’alimentazione del mini-PC. Ovviamente il foro di uscita deve essere anch’esso a tenuta stagna e il tasto di accensione del mini-PC deve essere raggiungibile dall’esterno (almeno per la prima volta, poi può essere lasciato sempre acceso).

Nel prototipo costruito, all’avvio del mini-PC si apre direttamente il desktop dell’utente e parte uno script con estensione .bat collocato nella cartella “Programmi/Esecuzione Automatica” che crea una rete Wi-Fi ad hoc eseguendo i comandi:

netsh wlan set hostednetwork mode=allow ssid=nome key=xxxxxxxxxxxxxxx

netsh wlan start hostednetwork

Affinché questi comandi abbiano effetto bisogna concedere i privilegi di “amministratore” al prompt dei comandi di Windows. La creazione di questa rete Wi-Fi ad hoc è l’equivalente della connessione fra due PC mediante cavo di rete incrociato.

A questo punto, una volta che la stazione è accesa e il mini-PC ha creato la rete ad hoc, usando un normale PC ci si può collegare in remoto al mini-PC tramite “Desktop Remoto” e accedere alle sue funzioni. Se la versione di Windows del mini-PC non prevede la funzione di desktop remoto (come la edizione “Home”), ne andrà installata una di terze parti come la “RDP Wrapper Library”. Usando desktop remoto in Wi-Fi non è più necessario che il PC con cui interagiamo con la stazione sia collegato fisicamente a quest’ultima: noi con lui ce ne possiamo stare tranquillamente in casa al caldo, mentre la stazione sarà all’aperto, a monitorare il cielo. Peraltro lo stesso mini-PC può essere utilizzato anche per il controllo da remoto di un setup tipo telescopio GoTo + camera CCD.

Per lo spegnimento della stazione basterà premere il tasto “win+R”, digitare “shutdown -s -t 10” e dare invio. Il mini-PC si spegnerà automaticamente dopo 10 s. In questo modo si ha tutto il tempo per chiudere la sessione di desktop remoto. Se si agisce semplicemente sul pulsante “spegni” di Windows sul mini-PC si chiude la sessione di desktop remoto, ma il mini-PC resta acceso e il monitoraggio della stazione può continuare.

 

Meteor Trail Detect e Capture con HandyAVI

Come si sarà capito, mentre il “cuore” hardware della stazione di monitoraggio è la ASI 120 MM, una camera CMOS B/N molto sensibile e a basso rumore, quello software è AndyAVI. Vediamo più in dettaglio le caratteristiche principali di questo software che ha una apposita funzione proprio per la detection delle meteore.

Il modo operativo più semplice per il monitoraggio di meteore e bolidi sarebbe riprendere continuamente dal tramonto all’alba. Tuttavia con questa modalità 8 ore di video in B/N a 5 frame al secondo da 1280×960 pixel a 12 bit per pixel occuperebbero ben 265 GB! HandyAVI ha un algoritmo di motion detection che gli permette di registrare solo i frame in cui cambia qualcosa rispetto a quelli precedenti, in modo tale da risparmiare spazio su disco e facilitare le operazioni di recupero dei dati. Questo software può salvare anche fino a 250 frame prima e dopo l’evento luminoso che ha fatto scattare la motion detection, in modo tale che può registrare anche le parti più deboli della scia meteorica. L’algoritmo di motion detection è in grado di eliminare falsi allarmi dovuti a pixel caldi, raggi cosmici scintillazione stellare ecc. Ovviamente non è in grado di distinguere fra un aereo, la stazione spaziale, un Iridium flare o una autentica meteora. HandyAVI ogni volta che fa la detection di qualcosa che si muove in cielo salva i dati in un avi diverso e crea un file jpg con sovrapposti tutti i frame della detection in modo tale che, nel caso ideale, per ogni meteora c’è la corrispondente immagine della scia.

 

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Fig. 9 – La schermata per la “Meteor Trail Detect e Capture” di AndyAVI. In basso a destra si vede la scheda per la selezione del gamma, del guadagno e del tempo di esposizione della ASI. Per il manuale d’uso di HandyAVI 4.3 vedi: http://www.handyavi.com/HelpDoc/HandyAvi.pdf.

 

Cosa si può ottenere?

Con questa stazione gli eventi che si possono documentare variano a seconda del tempo di esposizione. Chiaramente si potranno osservare non solo meteore e bolidi ma anche eventi terrestri, come i passaggi degli aerei, della ISS (la Stazione Spaziale Internazionale), e dei satelliti artificiali.

Con soli 10 s di posa sono osservabili tutte le stelle visibili ad occhio nudo, ma meteore e bolidi appariranno come delle scie luminose in cielo perché hanno una durata inferiore. Diminuendo il tempo di posa, fino a 1/5-1/10 s, il numero di stelle visibili diminuisce in proporzione ma è possibile documentare la dinamica dei fenomeni luminosi. Naturalmente la stazione è autonoma, quindi si può andare a dormire ed esaminare con calma il giorno dopo quello che è stato “catturato”.

Nel caso dei bolidi una prima serie di informazioni quantitative che si possono ottenere sono la data, l’ora e la durata del fenomeno (ogni frame catturato da HandyAVI può riportare data e ora). Usando opportune immagini di calibrazione fatte sullo stesso campo stellare e nelle stesse condizioni di visibilità del fireball, ma con tempi di posa un po’ più lunghi in modo da avere un buon numero di stelle di confronto, si può ottenere la curva di luce della “testa” del fireball. Infine, per avere informazioni sulla traiettoria seguita sulla sfera celeste bisogna calibrare astrometricamente le immagini, cosa non semplice se le stelle di campo sono poche. Tutto questo però ricade nell’analisi quantitativa dei dati. Tutto sommato, una stazione casalinga come quella proposta fornisce informazioni qualitative in modo semplice ed immediato, non fosse solo per il monitoraggio della copertura nuvolosa. Nelle immagini che seguono sono mostrati alcuni esempi delle capacità di monitoraggio della stazione. Buon divertimento!

 

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Fig. 10 – Immagine di una meteora (in basso al centro sotto Polaris), ripresa il 4 ottobre 2016 alle 19:18:42 UT con HandyAVI ed esposizione di 10 s. Per una maggiore facilità di orientamento sono riportati i nomi delle stelle principali, si nota anche la fascia della Via Lattea estiva.

 

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Fig. 11 – Il passaggio della ISS del 15 ottobre 2016 alle 18:17 UT dalla Valle d’Aosta ripreso con HandyAVI. La sorgente luminosa in basso a sinistra è la Luna piena la cui luce è stata diffusa da un leggero velo di umidità notturna depositatosi sulla cupola. Questa immagine è stata ottenuta sommando alcune decine di immagini con tempo di esposizione di 1 s.

 

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Fig. 12 – Un simil-Iridium flare ripreso il 27 ottobre 2016 alle 18 UT con HandyAVI. Somma di immagini con pose singole da 5 s. La durata totale dell’evento è stata di 70 s. La debole striscia che attraversa da sinistra a destra è un aereo.

 

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Fig. 13 – Tracce di aerei riprese il 27 ottobre 2016 con HandyAVI. Somma di pose singole da 5 s ciascuna.

La calibrazione delle immagini digitali

Per fare ottime fotografie a lunga esposizione degli oggetti del cielo profondo servono pochi ingredienti ma ben amalgamati: 1) Un cielo ottimo lontano dalle luci della città, 2) Una montatura equatoriale precisa che possa fare anche autoguida, 3) Una camera digitale, 4) Una buona tecnica di ripresa. In questa ricetta non trova posto l’elaborazione e non è un caso, perché una buona tecnica di elaborazione si impara con il tempo e può solo far uscire al meglio tutto il segnale raccolto durante la fase di acquisizione. Se non abbiamo fatto tutto per bene potremmo essere anche i maghi di Photoshop ma dai nostri scatti non uscirà niente di buono.

Una delle fasi più importanti della fotografia astronomica a lunga esposizione (quindi no imaging planetario) è la cosiddetta calibrazione, una tecnica che prevede di acquisire due – tre set di particolari immagini che hanno il compito di correggere gli inevitabili difetti del sensore e del campo. Sono passaggi che si potrebbero fare anche in fase di elaborazione, si potrebbe pensare, ma non daranno mai e poi mai gli stessi risultati di frame di calibrazione genuini ottenuti sul campo. Volenti o nolenti dobbiamo imparare come ottenere questi scatti perché fanno parte integrante della tecnica di ripresa. Ecco allora quali sono i frame di calibrazione e le loro caratteristiche. In seguito vedremo come applicarli.

 

Dark frame: sono immagini ottenute con il CCD al buio, con la stessa sensibilità, temperatura e durata delle immagini del cielo (che chiameremo anche immagini di luce) e servono per eliminare parte del rumore, cosiddetto termico, che si ripete uguale da una foto all’altra, spesso come pixel più luminosi della media. Il rumore termico si riduce con l’abbassarsi della temperatura del sensore, ma non sparirà mai a meno di usare l’azoto liquido e arrivare ad almeno -100°C. I dark frame, quindi, vanno ripresi (quasi) sempre, anche se sembra che non ve ne sia bisogno. Ce ne potremo pentire quando vedremo comparire, sulle immagini di luce sommate, il temutissimo rumore a pioggia anche con CCD molto evolute. Se il sensore ha il controllo della temperatura possiamo riprendere i dark frame anche con calma a casa e creare una vera e propria libreria da rinnovare una volta l’anno, risparmiando quindi molto tempo. Con le reflex digitali, che non hanno il controllo di temperatura del sensore, fare i dark frame è difficile e creare una libreria impossibile, per questo motivo si potrebbero preferire altri frame di calibrazione.

Un master dark frame ottenuto con una camera CCD ST-2000XCM, temperatura di -10°C e 720 secondi di esposizione.

Un master dark frame ottenuto con una camera CCD ST-2000XCM, temperatura di -10°C e 720 secondi di esposizione.

 

Bias frame: sono immagini ottenute con la stessa sensibilità dei frame da calibrare e con tempo di esposizione pari a zero o comunque il più basso possibile, con il sensore al buio. Questi frame hanno lo scopo di catturare solo il rumore introdotto dall’elettronica del sensore. Possono sostituire i dark frame in quelle circostanze in cui a dominare non è il rumore termico ma quello elettronico (pose brevi, sensore raffreddato a oltre -30°C, riprese fatte con reflex senza controllo di temperatura).

Un master bias ottenuto mediando 50 frame. Da notare il confronto con il master dark precedente. ebbene nascoste dai pixel caldi, anche in quello sono presenti le colonne di pixel caldi tipici del rumore dell'elettronica. Questa è la prova che un dark frame contiene anche l'informazione catturata dai bias e che i due set di calibrazione sono complementari.

Un master bias ottenuto mediando 50 frame. Da notare il confronto con il master dark precedente. ebbene nascoste dai pixel caldi, anche in quello sono presenti le colonne di pixel caldi tipici del rumore dell’elettronica. Questa è la prova che un dark frame contiene anche l’informazione catturata dai bias e che i due set di calibrazione sono complementari.

 

Flat field: sono essenziali per ogni fotografia, a volte persino quando si fanno riprese in alta risoluzione di oggetti estesi come il Sole, o riprese a grande campo con obiettivi grandangolari. Pochi astrofotografi sono consapevoli della trasformazione che subisce la propria foto quando viene corretta con degli ottimi flat field. Di questi, comunque, ne abbiamo già parlato, quindi non mi dilungherò. Sono delle speciali immagini ottenute con la stessa configurazione di quelle che vogliamo calibrare, in cui si punta una sorgente di luminosità fissa e uniforme su tutto il campo. I flat field mappano la sensibilità del campo inquadrato, includendo la differente risposta dei pixel, vignettatura e polvere lungo il treno ottico. Non possono quindi essere ripresi con calma a casa perché necessitano dell’identica configurazione ottica delle immagini di luce, compresa messa a fuoco ed eventuali filtri. Un buon flat field si ottiene con la sensibilità al minimo e impostando un tempo di esposizione tale per cui il picco di luminosità nell’immagine cada a circa 1/3 della scala per le reflex, a ½ per le CCD senza antiblooming (25-30 mila ADU) e circa 1/7 (8000 ADU) per le camere CCD (e CMOS) dedicate all’imaging estetico, quindi con porta antiblooming. L’unico legame con le immagini di luce è la stessa configurazione ottica: esposizione, sensibilità e temperatura possono variare, anche se per le camere CCD dotate di otturatore meccanico è meglio esporre per almeno 4-5 secondi ed evitare di riprendere quindi parte dell’otturatore che si apre.

Master flat field ottenuto facendo la media di 37 scatti da 5 secondi calibrati con master bias. I flat field devono essere sempre calibrati con i relativi dark o con i bias.

Master flat field ottenuto facendo la media di 37 scatti da 5 secondi calibrati con master bias. I flat field devono essere sempre calibrati con i relativi dark o con i bias.

 

Come nel caso delle immagini di luce, non si acquisisce una sola esposizione per ogni set di calibrazione, piuttosto almeno 10, meglio 20 immagini per ogni categoria. Il numero dipende da noi e non ha alcun legame con la quantità di immagini da correggere. Questo è molto importante per non introdurre nuovo rumore nei frame che vogliamo calibrare. La media (o mediana, nel caso di dark e bias) dei frame di calibrazione va a comporre quello che si chiama master. Ogni singolo scatto di luce deve venir calibrato, prima che sia combinato, con i relativi master (dark e/o bias, flat). Anche i flat field, che sono speciali immagini di luce, devono venir calibrati, prima di essere mediati e creare il relativo master, con un master dark frame o master bias frame. Di solito a questo intricato intreccio ci pensa il software usato ma meglio essere consapevoli di quello che andrà a fare.

Come si usano i frame di calibrazione? Quali servono per le nostre esigenze? Ci sono diverse combinazioni possibili. Ecco quelle consigliate, anche se ognuno di noi può fare le prove che vuole.

 

  • Camera CCD raffreddata con controllo della temperatura, con pose di luce più lunghe di 5 minuti e flat field esposti per non più di 20 secondi.

In questa situazione la combinazione migliore è quella di acquisire tutti i frame di calibrazione. I dark frame correggeranno le immagini di luce e i bias frame correggeranno i flat field. Poi i flat field calibrati verranno mediati e il master flat verrà applicato alle immagini di luce a cui sarà stato sottratto il master dark. I dark frame contengono anche l’informazione dei bias frame, cioè il rumore dell’elettronica, quindi quando li sottraiamo stiamo togliendo anche il bias. Il bias frame può sostituire i dark frame su pose di breve durata come quelle tipiche dei flat field. In questo modo evitiamo di dover riprendere dei dark frame anche per correggere i flat e possiamo usare i bias che sono sempre uguali poiché non dipendono dalla durata dell’esposizione, né dalla temperatura;

  • Camera CCD raffreddata con controllo temperatura, pose di luce più lunghe di 5 minuti e flat field più lunghi di 3 minuti.

Un’eventualità del genere si verifica quando si fanno riprese in banda stretta. In questi casi è meglio lasciar perdere i bias e riprendere dark frame sia per le pose del cielo che per i flat field. I due set sono indipendenti perché legati alla temperatura e al tempo di posa delle rispettive immagini da correggere. Si correggeranno quindi i flat field con i relativi dark frame e le immagini di luce con gli altri, poi si applicherà il master flat field a ogni singola immagine di luce;

  • Camera CCD raffreddata con esposizioni più brevi di 3-5 minuti. In questi casi i dark frame possono essere superflui, se la camera lavora a temperature molto basse. Flat field e immagini di luce possono quindi venir calibrati solo con i bias frame.
  • Reflex digitale.
    In queste circostanze i dark frame potrebbero non essere la scelta migliore perché se la temperatura del sensore cambia, anche di un paio di gradi, i benefici saranno sostituiti dai danni. L’unico rimedio è riprendere sempre flat field e bias frame, in buone quantità, e affidarsi anche alla tecnica del dithering in fase di acquisizione delle immagini di luce, per evitare il rumore a pioggia tipico di queste situazioni.

Sembra tutto molto complicato ma in realtà non lo è, grazie anche ai software che ci evitano di dover creare noi stessi i file master. L’importante, comunque, è prendere mano con la tecnica di acquisizione perché una mancanza sul campo ci potrebbe far buttare l’intera sessione. Per capire come fare poi la calibrazione attraverso i programmi astronomici avremo tante, troppe, notti nuvolose per studiare, tanto i file acquisiti non scapperanno dal pc.

 

 

ASI 178MMC – test

Da quando sono arrivate sul mercato mi hanno incuriosito moltissimo, specie per i sensori CMOS retroilluminati Starvis di nuova generazione, che puntano molto su pixel piccoli (fantastici per i rifrattori a corta focale e per i sistemi hyperstar) offrendo anche una dimensione in mpx più che adeguata, senza dimenticare una Q.E. che mediamente si attesta tra il 70 e 80%. Le Asi si sono guadagnate con merito la fama di ottime camere planetarie, ma come andranno questi sensori e l’elettronica abbinata, nelle riprese deep? Il mio dubbio principale è riguardo il fatto se si riesce ad ottenere un light frame, dopo la calibrazione, che sia elaborabile in modo similare a quelli ottenuti dalle CCD classiche.

Le Asi raffreddate sono raffreddate con ventola e cella di Peltier che offre un delta di raffreddamento di circa -35° rispetto alla T ambiente. Quindi la capacità di raffreddamento c’è, ma…il sensore come va, se raffreddato?

In questo test mi sono divertito (ho iniziato per la verità..) con una ASI 178 MMC, che secondo me è una camera molto appetibile, perchè per meno di 1000€ offre una elevata Q.E. (non è dichiarata, ma stimanta intorno al 75% a 550nm), ben 6.4 mpx e sopratutto sono sufficienti i filtri da 31,8mm, molto più economici di quelli da 2″. Sulla carta, sembrerebbe un’ottima camera per chi non ha il budget per arrivare a CCD più blasonate.

http://www.teleskop-express.it/ccd-deep-sky/2006-asi-178-mmc-zwoptical.html

Per iniziare a saggiare il sensore, ho ripreso bias, dark da 5-10-15 minuti, per poi approciarmi su M27, non tanto alta in Ottobre, dal centro del mio paese, Montebelluna, noto per riuscire ad offrire un IL simile a Milano nonostante ci siano circa 2 milioni di abitanti in meno..non male!

bias

bias

 

 

 

 

 

 

 

dark, 5 minuti , sensore a -25°

dark-5min

 

 

 

 

 

 

 

dark, 10 minuti, sensore a -25°

dark-10min

 

 

 

 

 

 

 

dark, 15 minuti, sensore a -25°

dark-15min

 

 

 

 

 

 

 

 

Come potete vedere, il rumore è presente e sopratutto l’amplificatore di segnale..ci mostra la sua presenza con chiarezza, generando un amp-glow bello tosto.

Qui un paio di esposizioni, non calibrate, da 15 minuti in ha e OIII su M27, eseguite con un TEC110

ha

ha-15min

 

 

 

 

 

 

 

OIII

oiii-15min

 

 

 

 

 

 

 

 

Si nota come di segnale ce ne sia (d’altronde la Q.E. non mente), ma l’amp-glow ed il rumore sono ben presenti. Cosa succede se calibriamo i frame?

 

ha, stack dei frame calibrati

ha-calibrato-stack

 

 

 

 

 

 

 

OIII, stack dei frame calibrati

oiii-calibrato-stack

 

 

 

 

 

 

 

 

Potete notare come lo stack dei frame calibrati, con dark e bias, restituisca un light frame proprio ben lavorabile, pulito e ricco di segnale.

Ho affidato il file grezzi agli amici Marco Favro, Edoardo Luca Radice, Riccardo Crescimbeni, Massimiliano Zulian, etc, e….ecco il risultato, ottenuto con pixinsight

img_9004 img_9006 img_9007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il terzo canale del colore è stato ottenuto sinteticamente dall’ ha e dall’OIII, le rese cromatiche differenti sono proprio per via della differente interpretazione nell’elaborazione.

Qui  potete scaricare un file zip con dentro i fit delle immagini postate nell’articolo.

Come potete vedere è possibile ottenere delle ottime immagini, trattando i frame esattamente come si fa per le classiche CCD, inoltre la ASI 178 MMC offre una Q.E. molto elevata, simile a quella dei sensori CCD Sony di ultima generazione, ma dal costo molto più elevato.

La mia conclusione è che..se il budget è basso, questa camera vi darà ugualmente grandi soddisfazioni!

L’inizio di una nuova avventura!

Quando Riccardo Cappellaro, di Teleskop Service Italia, mi invitò a usare questo spazio per dare consigli sull’osservazione e la fotografia del cielo, non me lo feci ripetere due volte perché l’idea era potente, utile e anche innovativa. Con l’avvento dei social network la frammentazione dell’informazione ha raggiunto punte mai conosciute fino a questo momento. Il risultato? Ci sono migliaia di posti in cui trovare informazioni, ma sono paradossalmente troppi e non necessariamente accurati, anzi, a volte ci si imbatte in contraddizioni che non fanno altro che rendere ancora più confuso il nostro cammino.

Nel mio blog personale mi occupo di divulgazione astronomica ma non affronto quasi mai il mondo dell’astronomia pratica, che invece offre un’opportunità più unica che rara in un ambito scientifico: trasformarsi da spettatori passivi a esploratori attivi, fare scienza, meravigliarsi dell’Universo studiandolo in prima persona, non necessariamente con l’approccio freddo e distaccato che invece compete ai professionisti. L’astronomia offre una meravigliosa opportunità di trasformarci in esploratori dell’Universo, con i nostri tempi, i nostri desideri, la nostra innata curiosità e voglia di stupirci, magari allontanandoci con un pizzico di soddisfazione dalla vita frenetica e avara di gioie di tutti i giorni. L’astronomia è conoscenza, consapevolezza, terreno fertile per tutti i nostri sogni. E’ un divertimento profondo e puro che spesso ci regala importanti lezioni di vita e di certo ci garantisce un approccio migliore ai problemi e alle situazioni di tutti i giorni.

Iniziare un cammino attraverso l’astronomia amatoriale, o proseguire inseguendo la costante voglia di migliorare, di confrontarsi, di esplorare sempre più nel profondo, non è mai facile, eppure la strada che abbiamo scelto, o che magari vorremmo solo provare a seguire, è ricchissima di soddisfazioni, di gioie, di momenti indescrivibili che solo l’Universo può regalare. Per ora, magari, è avvolta nella nebbia già alla prima curva o, per chi è un po’ più esperto, dopo un breve rettilineo che ci ha già fatto assaporare le sue meraviglie. Esperti o meno, fotografi o visualisti, alla ricerca del primo telescopio o di accessori che possano permettere di diradare la nebbia di fronte a noi, all’inseguimento di un consiglio, di uno strumento, di un luogo in cui le informazioni non siano frammentate e confuse, o solo per assaporare la passione che traspare e trasparirà dalla mia passione innata per l’osservazione del cielo, nonché la professionalità e disponibilità di tutto lo staff di Teleskop Service Italia, vi do il benvenuto in questo spazio, in questa nuova avventura che affronteremo passo passo insieme, condividendo pareri, idee, suggerimenti e consigli, proprio come si fa nella scienza vera. Perché fare astronomia amatoriale vuol dire anche e soprattutto condividere, al di là di tutte le questioni che di giorno ci dividono, il luogo più meraviglioso, sorprendente e spettacolare che potremo mai sperimentare: l’Universo intero.

Alla fine di tutta questa presentazione, forse avrete ancora una domanda: cosa troverò in pratica in questo spazio? Semplice: tutto ciò che riguarda il mondo dell’astronomia amatoriale. Ci saranno consigli sia per i neofiti che per i più esperti; ci saranno test strumentali, tecniche di osservazione, di fotografia astronomica e tutti gli eventi più importanti che avremo di fronte a noi nei mesi a venire.

 

Daniele Gasparri