La regina delle notti invernali: la costellazione di Orione

Le notti invernali sono molto fredde, ma allo stesso tempo hanno due grandi vantaggi: 1) Il cielo tende a essere più trasparente che nelle altre stagioni (se è sereno!) e 2) La notte scende presto, così non dobbiamo fare le ore piccole per gustarci un po’ di stelle. C’è anche un terzo vantaggio, ed è quello di poter osservare la costellazione a mio avviso più bella di tutto il cielo: Orione.
Si tratta di un gruppo di stelle riconosciuto come una costellazione sin dalle prime civiltà della Terra. Per i Greci Orione era un grande cacciatore che fece innamorare di lui persino Artemide, dea della Luna e della caccia. La dea era così persa per il gigante cacciatore che trascurò il suo compito di illuminare le notti. Una notte, Apollo, fratello gemello di Artemide, vide Orione nuotare in mare e sfidò la sorella a colpire con una freccia quello che da lontano sembrava un cane. Artemide raccolse la sfida, scoccò la freccia e uccise il cacciatore. Solo dopo, quando il suo corpo venne portato a riva dalla corrente, Artemide riconobbe il suo amato Orione e distrutta dal dolore decise di porlo nel cielo insieme ai suoi cani. Il dolore della dea è ancora visibile nella fredda e triste luce della Luna, che ogni notte viene fatta sorgere e tramontare dalla dea.

Orione è la costellazione più appariscente di tutto il cielo, impossibile da non individuare nelle notti invernali, proprio a cavallo dell’equatore celeste. Anche la forma somiglia a un gigante, il cui corpo è individuato dal grande quadrilatero dominato da Betelgeuse e Rigel, stelle molto brillanti e suggestive. Al centro vi sono 3 stelle quasi allineate e di luminosità simile, che vanno a formare la famosa cintura di Orione. In basso altre tre stelle, più deboli, poste in senso verticale, formano la spada del gigante. In alto, da Betelgeuse si diparte un braccio che sorregge una clava e dall’altra parte, a destra, l’altro che sostiene la pelle di un Leone. Orione contiene al suo interno alcune delle nebulose più belle e suggestive dell’emisfero boreale. Il mitologico cacciatore domina il cielo invernale sin dal pomeriggio, quando si può osservare verso l’orizzonte est. Con il passare delle ore la sua inconfondibile sagoma guadagna sempre più spazio, fino a svettare verso sud poco prima della mezzanotte.

Betelgeuse, la stella di color arancio nell’angolo superiore a sinistra del quadrilatero, è un astro che sta giungendo a grandi passi verso la fine della propria vita. Al suo centro l’idrogeno, il combustibile più appetibile e duraturo con cui le stelle si mantengono in vita, è terminato da tempo. Betelgeuse, allora, da astro azzurro si è espansa all’inverosimile fino a superare il diametro di un miliardi di chilometri e si è trasformata in una supergigante rossa, l’ultimo stadio prima di terminare la propria vita con un’immensa esplosione chiamata supernova. Quando accadrà diventerà per qualche mese più luminosa della Luna piena e sarà visibile persino di giorno. L’appuntamento è fissato in un giorno qualsiasi da qui ai prossimi 50 mila anni. La probabilità di assistere all’esplosione di Betelgeuse, quindi, non è superiore a una su 500 per una persona che vive 100 anni. Non è tanto ma è di certo molto, molto più elevata che vincere a una qualsiasi lotteria.
Le stelle che formano la cintura sono tutte giganti blu. Da sinistra a destra troviamo Alnitak, Alnilam e Mintaka. Citate in tantissime mitologie, antiche e moderne, queste stelle, come tutti gli astri, se ne fregano delle nostre insignificanti vicende e brillano perché così hanno deciso le leggi dell’Universo, non per inviare chissà quale strano messaggio a esseri posti su un pianeta che diventa inivisibile già dalla periferia del Sistema Solare.
Più in basso, nella spada di Orione, si nasconde il tesoro più bello della costellazione e, forse, di tutto il cielo. La stella centrale in realtà non è una stella ma la splendida grande nebulosa di Orione, parte più brillante di un enorme sistema nebulare che avvolge tutta la costellazione. Vale la pena andare sotto un cielo scuro, senza la Luna, e puntare questo piccolo gioiello anche con un modesto binocolo. Ci stupiremo nell’osservare quelle tenui trame di gas dalle quali stanno nascendo ancora oggi centinaia di stelle e chissà quanti pianeti. Non vedremo la distesa di gas in apparenza impenetrabile e colorata che mostrano tutte le fotografie, perché il nostro occhio non è abbastanza sensibile. Noteremo una tenue e delicatissima distesa di quello che il nostro cervello proverà a collegare a un banco di nebbia o a una debole nuvola, ma mai interpretazione è più lontana dalla realtà. Quella nube cosmica ha un diametro di almeno 250 mila miliardi di chilometri (25 anni luce), una densità milioni di miliardi di volte inferiore all’aria che stiamo respirando e brilla perché il gas di cui è composta ha una temperatura di circa 10 mila gradi, a causa della potente energia sprigionata dalle calde stelle nate all’interno. Quattro di queste sono facili da osservare perché sono di buona luminosità: si tratta del famoso trapezio, il cuore caldissimo della nebulosa di Orione. È proprio da ambienti come questo che ha inizio l’avventura di tutte le stelle dell’Universo, dei pianeti e persino della vita.

Un bellissimo disegno della nebulosa di Orione osservata da Giorgio Bonacorsi attraverso un telescopio Newton da 130 mm di diametro e 100 ingrandimenti, da un cielo molto scuro.

Un bellissimo disegno della nebulosa di Orione osservata da Giorgio Bonacorsi attraverso un telescopio Newton da 130 mm di diametro e 100 ingrandimenti, da un cielo molto scuro. Al centro si notano le quattro calde stelle che formano il Trapezio.

Conil nostro piccolo telescopio, magari ricevuto in regalo per Natale, non potremo farci quindi regalo migliore che puntare la grande nebulosa di Orione da un posto scuro e senza la Luna nel cielo, mettersi seduti, osservare per almeno una decina di minuti e godersi il viaggio più veloce ed entusiasmante che abbiamo mai fatto fino a questo momento. In pochi secondi ci siamo spinti a più di 1000 anni luce di distanza, alla scoperta di uno dei tanti tesori nascosti di un fantastico Universo.

Osservazioni facili ed emozionanti: stelle con pianeti

Uno degli aspetti che ho sempre trovato affascinanti dell’astronomia osservativa è che attraverso la nostra immaginazione, e la consapevolezza di ciò che stiamo osservando, possiamo trovare la più sublime bellezza anche in un’immagine che ritrae un puntino luminoso o un evanescente batuffolo lattiginoso. Non è un’esplosione di chiaroscuri e colori che impressiona in superficie la nostra retina, facendoci gridare dallo stupore per i primi 10 secondi per poi svanire una volta che l’effimero effetto si è concluso. L’astronomia visuale, al contrario, cerca la bellezza nella rappresentazione dell’oggetto che abbiamo di fronte. La sua fioca, indistinta o puntiforme luce non inonda quasi mai la nostra retina ma ha il potere di far meravigliare la nostra anima, superando con facilità le superficiali barriere della vista e utilizzando i nostri sensi come il mezzo per raggiungere una felicità e una pace interiore che raramente hanno eguali nel nostro mondo. È un’attività che nella società frenetica attuale sembra anacronistica e che non ci possiamo più permettere, tanto è diventato prezioso il nostro tempo. Eppure, è l’unico modo che abbiamo per capire qual è il nostro posto nell’Universo, la nostra importanza, quali sono i nostri limiti e le nostre potenzialità; quali sono i problemi veri e quali invece solo degli inutili capricci. E’ l’unico modo per usare al meglio delle nostre possibilità il dono più grande che abbiamo ricevuto: la consapevolezza di quello che ci circonda.

Quando nel 1995 è stato scoperto il primo pianeta extrasolare attorno a una stella simile al Sole, spesso ho passato intere serate della mia adolescenza puntando stelle a caso nel cielo e immaginando viaggi meravigliosi attorno a ipotetici sistemi planetari. Mi sforzavo con la mente di visualizzare quella luce amplificata milioni di volte e quel puntino ingrandito fino a vederne un disco grande quanto il Sole dei nostri cieli. Viaggiavo più veloce di qualsiasi astronave, persino di quella luce che nella realtà rappresenta un limite invalicabile del nostro Universo. E, arrivato fin lì, provavo a girarmi attorno per vedere se potevano esserci pianeti, magari simili alla Terra, ma diversi quel tanto che bastava per lasciare in sospeso il mio giudizio, per dare spazio a quell’alone di mistero, consapevole ma irrisolvibile, che rendeva tutto ancora più magico.
Cercavo e immaginavo… Ogni tanto, spinto da una curiosa nostalgia, volgevo lo sguardo verso quella porzione di cielo dalla quale ero venuto, cercando di capire come si vedesse il Sole e il nostro minuscolo pianeta da quel lontano angolo di Universo. Attraverso il telescopio erano solo dei puntini di luce, come se ne vedono di continuo in ognuna delle nostre stanze buie a causa di televisori, cellulari, elettrodomestici… Se avessi puntato un lontano lampione avrei visto la stessa immagine, eppure non avrei mai potuto fare quel viaggio meraviglioso nell’Universo dentro e fuori di me che solo la volta celeste può regalare.

Sono ormai migliaia i pianeti scoperti al di fuori del Sistema Solare, che quindi orbitano attorno ad altre stelle. Impossibile, persino per molti telescopi professionali, vederli direttamente. Ancora più irrealistico pensare di poterli visitare un giorno non troppo lontano. Eppure noi, cacciatori di meraviglie, di tutto questo non abbiamo bisogno perché il nostro piccolo telescopio e la nostra immaginazione possono attraversare all’instante anche gli spazi più ampi del Cosmo. Ecco allora che l’idea di poter osservare una stella nella cui immagine è racchiusa anche la debolissima e indistinta luce di qualche pianeta, pur non potendolo vedere direttamente, fa venire i brividi.

Il primo pianeta extrasolare scoperto è stato 51Pegasi b, un gigante gassoso che orbita attorno alla stella 51 della costellazione del Pegaso. Questo astro ha una magnitudine di 5,49 ed è persino visibile a occhio nudo se abbiamo una buona vista e un cielo scuro. Qualsiasi binocolo e ogni telescopio ci mostreranno questa stellina sempre più luminosa, di colore leggermente giallo, simile alle altre del cielo ma tanto importante per noi. Da lì è iniziato tutto; da questa stella è partita la grande rivoluzione dell’astronomia e del nostro pensiero, che ci ha visto scoprire in venti anni migliaia di altri mondi, alcuni potenzialmente molto simili al nostro. Non è una semplice stella per noi: è un monumento a un popolo che tra mille contraddizioni e ingiustizie ha continuato a trovare tempo e voglia per guardare l’Universo, con la speranza di conoscerlo sempre meglio e la consapevolezza che in questo lungo percorso diventerà una specie migliore.

51 Pegasi b è un gigante gassoso molto caldo ed è il primo pianeta a essere stato scoperto attorno a una stella simile al Sole. Da lì è iniziato tutto: il nostro tour delle stelle con pianeti non può che iniziare da qui.

51 Pegasi b è un gigante gassoso molto caldo ed è il primo pianeta a essere stato scoperto attorno a una stella simile al Sole. Da lì è iniziato tutto: il nostro tour osservativo delle stelle con pianeti non può che iniziare da qui.

Se vogliamo aumentare la portata emotiva, possiamo scegliere un’altra stella attorno alla quale gli astronomi professionisti hanno scoperto un pianeta simile alla Terra, probabilmente ricco di acqua e, perché no, anche di forme di vita. Il sistema Gliese 667 è composto da tre stelle strettamente avvolte, indistinguibili al telescopio. Attorno a uno di questi astri gli astronomi hanno scoperto ben 6 pianeti (forse 7), uno dei quali sorprendentemente simile alla Terra. Il sistema si trova nella costellazione dello Scorpione e ha una magnitudine pari a 5,89, al limite della visione a occhio nudo, ma qualsiasi strumento, anche il cercatore del telescopio, ce lo mostrerà evidente. Sotto la calda luce di quel puntino rossiccio, chi lo sa, altre forme di vita stanno prosperando e stanno osservando nello stesso nostro istante quel cielo così diverso, in cui una stellina gialla molto debole nasconde la straordinaria storia di questo pianeta e dei suoi abitanti, pienamente consapevoli delle meraviglie dell’Universo.

Gliese 667 è una stella che fa parte di un sistema triplo e ospita uno dei pianeti più simili alla Terra che conosciamo.

Gliese 667 è una stella che fa parte di un sistema triplo e ospita uno dei pianeti più simili alla Terra che conosciamo.

A soli 14 anni luce di distanza, nella costellazione di Ofiuco, si trova una debole stellina molto rossa, denominata Wolf 1061. Brilla di magnitudine 10 ed è visibile solo con binocoli da almeno 50 mm o con ogni piccolo telescopio, non molto distante (in apparenza) dall’ammasso globulare M107. Attorno a questo astro, sovrastato dalla luce di migliaia di stelle ben più brillanti, orbita un pianeta probabilmente roccioso, Wolf 1061 C, alla giusta distanza dalla propria stella, tale da consentire, in teoria, l’esistenza di acqua liquida. La luce rossa della stella trasforma il paesaggio che potremo ammirare dalla sua superficie in una scena per noi quasi apocalittica: tutto il cielo sarà rossastro e tutti gli oggetti avranno tonalità tendenti al rosso, privi dell’azzurro che invece qui sulla Terra è ben evidente. Stare sulla sua superficie potrebbe essere simile a quelle giornate nuvolose in cui c’è in sospensione una grande quantità di polvere proveniente dal deserto del Sahara, che rende tutto uniformemente arancio e rosso.
Non dobbiamo però soffermarci solo su Wolf 1061 C, perché questa stella ospita almeno altri due pianeti rocciosi: uno più lontano e uno più vicino dal corpo celeste sul quale abbiamo deciso di fermarci per un attimo ad ammirare il cielo. Ci sarà qualcuno da quelle parti? E come è possibile che nella luce debole e puntiforme di una stella appena visibile con i nostri strumenti si nascondano almeno tre pianeti grandi come la Terra, che hanno il potenziale di ospitare tutta la complessità biologica che si trova su questa piccola biglia blu scaldata dal calore nucleare di una stella chiamata Sole? È questa una delle grandi sfide dell’astronomia (amatoriale): comprendere ciò che la mente fatica a concepire e che fa parte di una realtà ben più ampia di quella nella quale ci siamo evoluti, fino ad ora.

Wolf 1061: una stellina rossa di magnitudine 10 vicino all'ammasso globulare M107 che merita una visita per scoprire, e immaginare, un sistema planetario formato da tre pianeti, di cui uno potrebbe essere abitabile.

Wolf 1061: una stellina rossa di magnitudine 10 vicino all’ammasso globulare M107 che merita una visita per scoprire, e immaginare, un sistema planetario formato da tre pianeti, di cui uno potrebbe essere abitabile.

Questi sono solo tre esempi di stelle facili da osservare che nascondono pianeti, ma in realtà di osservazioni di questo tipo ne possiamo fare centinaia, se non migliaia, perché la grande maggioranza dei pianeti è stata scoperta attorno a stelle più brillanti della magnitudine 12, quindi accessibili a strumenti anche da 8-10 cm di diametro. Sta a voi fare qualche ricerca su Google e organizzare il miglior tour possibile tra stelle e pianeti. E ricordate sempre una cosa: non si vedono ma ci sono. E a noi, romantici esploratori celesti, tutto questo basta e avanza.

Come osservare e fotografare pianeti e stelle di giorno

L’astronomia amatoriale è una disciplina affascinante, che ci permette di organizzare viaggi indimenticabili pur rimanendo ben saldi a terra. Possiamo scegliere di scorrazzare tra i pianeti, disegnare i crateri della Luna, oppure possiamo cercare di fare foto o addirittura attività di ricerca che di solito conducono gli astronomi professionisti. Insomma, tra tutte le scienze, e probabilmente tra molte altre attività che potremo mai fare, l’astronomia rappresenta l’emblema della libertà più assoluta, anche perché abbiamo a disposizione miliardi di anni luce di Universo da percorrere a una velocità ben superiore a quella della luce, muovendo semplicemente il nostro telescopio.

L’astronomia pratica, tuttavia, ha un grosso problema, banale quanto fastidioso, soprattutto nelle fredde serate invernali: può essere fatta solo di notte. Di giorno, con l’ingombrante presenza del Sole, possiamo sperare di osservare e fotografare solo lui, il nostro enorme faro cosmico, con strumenti e accorgimenti particolari: un po’ poco, soprattutto conoscendo la bellezza e la vastità che presenti oltre la sua accecante luce. La domanda, allora, può venir spontanea, sebbene in apparenza ingenua: possiamo fare osservazioni e fotografie anche di giorno? Certo: possiamo osservare con un radiotelescopio potente, che non teme neanche le nuvole, oppure inviare nello spazio il nostro setup a far concorrenza al telescopio spaziale Hubble e il problema sarebbe risolto. Facile, no?

In realtà, senza scomodare accorgimenti che oggi suonano come pura fantascienza, si può fare un po’ di astronomia anche di giorno, al di là del Sole. Se la nostra passione sono i pianeti, le foto in alta risoluzione o semplicemente avere nuove sfide da vincere, l’astronomia di giorno diventa un’importante risorsa che potrà farci divertire e ottenere ottimi risultati.

Per convincervi che la mia precedente frase non è il classico delirio che si presenta prima o poi a ogni astrofilo che deve sopportare un interminabile periodo di meteo indecente, cominciamo a chiederci: cos’è che impedisce di vedere le stelle di giorno?La risposta è istintiva: il Sole! Ma siamo sicuri? Perché tutti i telescopi spaziali possono osservare il cielo anche con il Sole sopra l’orizzonte? La luce solare è una condizione necessaria ma non sufficiente a nascondere le stelle di giorno, tanto che nello spazio il cielo appare nero come la pece e si possono vedere le stelle anche con il Sole. La responsabile ultima è la nostra atmosfera: l’aria che respiriamo non è perfettamente trasparente ma intercetta una piccola parte della luce solare e la riflette poi in ogni direzione. Questo fenomeno, conosciuto come diffusione, è il responsabile del nostro cielo chiaro di giorno: le stelle non si vedono a causa dell’enorme inquinamento luminoso prodotto dal Sole, che viene diffuso dalla nostra atmosfera e rende il cielo molto brillante.

Ora possiamo fare un altro passo allora, chiedendoci: c’è modo, restando qui sulla Terra, e senza usare un radiotelescopio, di osservare il cielo di giorno? La risposta è sì, ma in realtà la domanda non è ancora necessaria, perché ci sono già alcuni corpi celesti che possiamo osservare di giorno, anche se a occhio nudo crediamo di non vederli. Prima però, proprio come in un film, mi piace creare un po’ di suspance andando a indagare meglio le ragioni per cui dovremo tirare fuori il telescopio anche di giorno (per la felicità di mogli, compagne, figli e datori di lavoro).

 

Perché fare foto di giorno

In realtà fare osservazioni di giorno, al di là del Sole, ha molti risvolti interessanti, che voglio riassumere in pochi e sintetici punti, per andare poi al nocciolo della questione:

  • Per sfida personale;
  • Per il gusto di trovare oggetti che erroneamente reputavamo invisibili con la luce del giorno;
  • Perché non abbiamo tempo di notte, o fuori fa freddo quando non c’è il Sole;
  • Perché alcuni soggetti danno il meglio di sé, sia in fotografia che in osservazione, di giorno. Mercurio e Venere si osservano e fotografano molto meglio quando sono alti sull’orizzonte rispetto al crepuscolo. La Luna in fase ridotta, che mostra regioni spettacolari come il Mare Crisium, si può osservare e fotografare con soddisfazione solo quando è a poche decine di gradi dal Sole, quindi di giorno, se non vogliamo essere distrutti dalla turbolenza atmosferica alle basse altezze sull’orizzonte, come accade anche per Mercurio e Venere;
  • Alcuni fenomeni, come occultazioni, congiunzioni, eclissi dei satelliti di Giove, non sempre capitano di notte: vogliamo farci fermare allora da un po’ di luce solare?
  • Chi monitora i pianeti ha necessità di riprenderli e/o osservarli per più tempo possibile, quindi anche di giorno, soprattutto quando la loro separazione è inferiore ai 40° dalla nostra Stella. In queste condizioni, inoltre, i professionisti non possono osservare e molti amatori si dirigono verso altri soggetti. E’ proprio qui che la probabilità di scoprire qualche fenomeno particolare aumenta di molto: una nuova tempesta di sabbia su Marte, una mega tempesta su Saturno, una gigantesca nube di ammoniaca che fa sparire un’intera banda equatoriale di Giove… Sappiamo infatti che la legge di Murphy è impietosa: se qualcosa di spettacolare deve succedere nel cielo, lo farà di certo di giorno. E noi, allora, la aggiriamo osservando anche quando nessuno pensa che si possa fare!
  • Sempre per la legge di Murphy, se una grande cometa, con una magnitudine di -7. si rendesse visibile a 15-20 gradi dall’orizzonte e in una posizione dell’eclittica che rendesse impossibile osservarla dal nostro emisfero (in pratica tutte le grandi comete degli ultimi 19 anni!) l’alternativa sarebbe volare in Australia o fare fotografie di giorno. E noi le faremo (anche se un viaggio in Australia è senza dubbio più interessante)!

Insomma, oltre al lato ludico/personale c’è un’oggettiva prospettiva scientifica, che interessa di sicuro gli osservatori e gli astroimager più esperti: osservare di giorno, visto che la nostra tecnologia lo consente, è di certo qualcosa da provare prima o poi, anche se con le dovute precauzioni.

Perché osservare e fotografare di giorno? Ecco un motivo: occultazione Luna-Venere del 16 giugno 2007 alle ore 15 locali. Se avessimo aspettato il calar del Sole ce la saremmo persa!

Perché osservare e fotografare di giorno? Ecco un motivo: occultazione Luna-Venere del 16 giugno 2007 alle ore 15 locali. Se avessimo aspettato il calar del Sole ce la saremmo persa!

 

Luna e Venere, sempre presenti a occhio nudo

A molti sarà di sicuro già capitato di osservare la Luna a occhio nudo, anche di giorno, senza particolari difficoltà. In effetti il nostro satellite si può vedere fino a poche decine di gradi di distanza dal Sole. Osservato al telescopio, soprattutto nelle giornate molto limpide, si mostra già interessante e ricco di particolari.

C’è però un altro corpo celeste che è visibile senza ausilio ottico, in pieno giorno: Venere. Il fatto che non l’abbiamo mai visto non è un indicatore affidabile sulla sua reale osservabilità. Con una magnitudine media di circa -4.5, in effetti, Venere è l’unico oggetto di apparenza stellare che può essere visto a occhio nudo di giorno, a patto che sia ad almeno 20° di distanza dal Sole. Un cielo limpido, che si mostra con una marcata tonalità azzurra, aiuta molto nell’impresa di scovare il pianeta a occhio nudo, ma in realtà la parte più difficile dell’impresa coinvolge il nostro sistema di interpretazione delle immagini, ovvero il cervello. Trovare un punto luminoso su uno sfondo brillante e circa uniforme è un’operazione che il nostro occhio, a livello ottico, è perfettamente in grado di fare, ma il nostro computer biologico fatica a elaborare nella maniera corretta i dati. Il risultato è spesso sorprendente: se non sappiamo bene dove guardare potremmo cercare il pianeta di giorno per ore senza vederlo. Se invece sappiamo dove dirigere il nostro sguardo, con un errore di circa 1-2° al massimo, allora il pianeta diventa evidente perché è sempre piuttosto contrastato rispetto al fondo cielo. All’improvviso, dopo tanto cercare, ci apparirà in quella spessa coperta azzurra un piccolo buco da cui filtra la luce puntiforme del pianeta a noi più vicino:“Come ho fatto a non vederlo prima?” E’ sempre questa la domanda che ci si pone con estrema sorpresa e molta soddisfazione per aver visto una “stella” nel cielo illuminato dal Sole. Per identificarlo con meno difficoltà è sempre opportuno nascondere il Sole dietro un ostacolo naturale o artificiale (una collina, degli alberi, una casa…) e scandagliare bene la zona di cielo in cui dovrebbe trovarsi (aiutiamoci con un software planetario).

Venere di giorno si può rintracciare con facilità anche a occhio nudo, se sappiamo bene dove guardare. Riuscite a trovarlo in questa foto scattata con un cellulare?

Venere di giorno si può rintracciare con facilità anche a occhio nudo, se sappiamo bene dove guardare. Riuscite a trovarlo in questa foto scattata con un cellulare?

Al telescopio, Venere, osservato di giorno, dà il meglio di sé, per due motivi:

  • Possiamo ammirarlo quando è molto alto sull’orizzonte, senza aspettare il tramonto o l’alba, quindi, se abbiamo l’accortezza di nascondere il Sole dietro un ostacolo naturale ed evitare che scaldi il tubo ottico, la turbolenza sarà sempre minore e la visione più dettagliata;
  • Il pianeta è molto luminoso. Se lo puntiamo con il cielo già scuro del crepuscolo, la sua luminosità inganna l’esposimetro del nostro sistema visivo, che ce lo mostrerà sempre troppo brillante, come se fosse una fotografia “bruciata”. Il risultato? Perdita di ogni tipo di dettaglio e un certo fastidio nella visione. Di giorno, invece, grazie al contrasto molto più basso tra il fondo cielo e Venere, il cervello applica la giusta esposizione e il pianeta non è mai sovraesposto. L’osservazione è molto più rilassante e spettacolare, perché potremo scorgere con relativa facilità alcune sfumature nella spessa atmosfera venusiana, anche senza l’uso di filtri colorati o grossi strumenti. Personalmente tutte le migliori osservazioni e fotografie di Venere le ho fatte di giorno, tra le 12 e le 16 locali.
Venere mostra molti dettagli, sia in visuale che, soprattutto, in fotografia. Il segreto? Osservare di giorno, quando il pianeta è alto nel cielo.

Venere mostra molti dettagli, sia in visuale che, soprattutto, in fotografia. Il segreto? Osservare di giorno, quando il pianeta è alto nel cielo.

 

Mercurio e oltre: a volte meglio di giorno, ma solo per i più esperti

Quanto scriverò da questo punto in poi prevede delle operazioni delicate, soprattutto per il puntamento, che devono essere fatte solo da persone ormai esperte di osservazioni e fotografia. La tecnica, infatti, spesso implica di fare un salto prima sul Sole, con tutti i rischi che ne conseguono se non si usa un filtro solare e molta attenzione. Leggere quindi bene quanto segue, se vogliamo proseguire con il nostro tour del cielo diurno.

 

Purtroppo a occhio nudo il gioco è già finito: il giro turistico del Cosmo termina con l’emozione e la sfida di trovare Venere, ma con un telescopio possiamo esplorare l’invisibile e fare altre spettacolari osservazioni.

Le particolari condizioni in cui si presenta Venere, ovvero un pianeta che non si allontana mai dal Sole per più di poche decine di gradi, sono ancora più esasperate per Mercurio. Per il più piccolo pianeta del Sistema Solare non abbiamo molta scelta: le osservazioni di giorno sono le UNICHE che danno qualche soddisfazione. E’ inutile cercare di fare i testardi e aspettare anni per trovare un buon seeing e trasparenza all’alba o al tramonto, con il Sole sotto l’orizzonte e il pianeta ben visibile a occhio nudo: non avremo mai una visione nitida come di giorno. Questo vale ancora di più se l’obiettivo è fare foto.

Mercurio di giorno mostra tenui chiaroscuri che non vedremo mai al crepuscolo

Mercurio di giorno mostra tenui chiaroscuri che non vedremo mai al crepuscolo

Più facile e spettacolare di Mercurio, Marte è un altro soggetto ghiotto per fare osservazioni. Quando la sua separazione è maggiore di 60° dal Sole, il pianeta rosso ha ancora una discreta luminosità e diametro angolare per mostrare dettagli. Grazie alla sua colorazione rossastra, che contrasta in modo netto con l’azzurro del cielo, marte_giornol’osservazione di Marte di giorno può essere spettacolare, soprattutto quando il Sole si sta avviando verso il tramonto (o poco dopo l’alba). In un certo senso, per chi non è abituato a osservare i pianeti, l’esperienza diurna migliora la visione perché diminuisce i contrasti e impedisce, proprio come accade per Venere, di avere un’immagine troppo luminosa, quindi sovraesposta e povera di particolari. Il rapido tempo di esposizione del nostro occhio, inoltre, ha anche il potere di congelare il seeing molto meglio rispetto a quanto accade di notte, con la visione notturna e un tempo di esposizione che viene incrementato automaticamente dal nostro cervello. In un certo senso ed entro determinati limiti, di giorno la visione migliora anche a seguito di questo fenomeno, lo stesso per cui gli astroimager planetari tendono a fare esposizioni più brevi possibili per congelare il seeing.

Con Giove iniziamo invece ad avere qualche difficoltà. Visibile solo oltre i 45° di elongazione, si presenta spesso come un disco quasi trasparente, ma ricco comunque di contrasti, anche se non riusciremo a vedere i più minuti dettagli della sua atmosfera. Meglio non esagerare con gli ingrandimenti, almeno all’inizio, per non perderlo tra la luce del cielo.

Per Saturno, invece, le cose cambiano e trovarlo rappresenta quasi una sfida, che è facile da vincere con il pianeta oltre i 60° di separazione dal Sole, un cielo molto trasparente e la nostra stella prossima all’orizzonte. Anche in questo caso meglio iniziare con ingrandimenti modesti per trovarlo: circa 50-100X al massimo e poi, se serve, aumentarli (di poco).

Urano e, ancora peggio, Nettuno, dovrebbero essere off limits, ma non si sa mai: con un cielo limpido di montagna, una separazione di almeno 90°, un filtro polarizzatore e un buon occhio, potremo riuscire a scorgere Urano: nessuna speranza, invece, per Nettuno.

Se vogliamo andare oltre i pianeti, possiamo fare un bel tour delle stelle brillanti: snobbate di notte perché poco interessanti (a ragione), di giorno diventano delle gemme da scovare in un mare d’azzurro, come un prezioso tesoro. Ecco allora che non avremo alcun problema nel puntare Sirio, Capella, Altair, Deneb, Vega, Betelgeuse, Antares e Aldebaran. Unica richiesta: cielo terso e almeno 45° di separazione dal Sole!

Le stelle si possono vedere anche di giorno! Ma è in fotografia che le cose migliorano e anche di molto

Le stelle si possono vedere anche di giorno! Ma è in fotografia che le cose migliorano e anche di molto

 

Come puntare di giorno

Prima di uscire con il Sole alto e cominciare a osservare stelle e pianeti, è meglio dare qualche consiglio utile per fare una cosa che di notte è semplice, ma di giorno un po’ meno: a parte la Luna e Venere, nessun altro oggetto si vede a occhio nudo, spesso nemmeno con un piccolo cercatore, quindi: come facciamo a puntare qualcosa che non possiamo vedere finché non è nel campo dell’oculare? Si potrebbe dire: con il puntamento automatico! La risposta è sì, ma con qualche differenza rispetto alla notte. Di giorno, infatti, non possiamo fare l’allineamento della montatura, perché le stelle non si vedono: come fare?

Semplice: dobbiamo connettere la nostra montatura al computer, bypassando la pulsantiera e interfacciandola con un software planetario, come Cartes du ciel. Grazie ai driver Ascom, questa soluzione è abbastanza semplice e molti fotografi già la usano per curare le sessioni di ripresa notturna. Controllando la montatura con il planetario possiamo fare una cosa che molte pulsantiere non permettono: puntare un oggetto celeste ben visibile, sincronizzarla sulle sue coordinate e poi spostarci nella direzione in cui vogliamo osservare l’invisibile.

L’unico oggetto celeste sempre presente, a parte qualche volta la Luna, è il Sole ma è anche il più pericoloso. Per puntare tutti gli altri corpi celesti di giorno occorre quindi quasi sempre sincronizzare la nostra montatura sul Sole, puntandolo a mano. Come ben sappiamo, è assolutamente fondamentale evitare che la luce del Sole entri senza essere filtrata nel telescopio e nel cercatore. Quindi, il primo passo da fare è preparare il setup come se dovessimo osservare il Sole: coprire il cercatore e inserire di fronte l’obiettivo del telescopio un filtro solare sicuro, come l’Astrosolar. Puntiamo la nostra stella con il metodo dell’ombra, poi centriamola osservando dall’oculare (con il telescopio che ha il filtro solare ben saldo e sicuro!). Sincronizziamo la montatura e poi diciamo al planetario (o alla pulsantiera, se lo permette) di andare dove vogliamo: Mercurio, Venere, Marte, qualche stella… È importante scegliere soggetti distanti almeno 15 gradi dal chiarore solare per evitare che parte della sua luce entri nello strumento (e per vedere qualcosa!). Una volta che il telescopio si è spostato verso la destinazione, possiamo togliere il filtro solare e scoprire il cercatore. Con una buona vista e un cercatore da almeno 50 mm di diametro, quasi tutti i soggetti (tranne Saturno) dovrebbero essere visibili attraverso le sue lenti, una cosa molto comoda per poter effettuare un preciso centraggio.

Il successo del puntamento dipende in modo critico dal perfetto stazionamento della montatura equatoriale (non confondete lo stazionamento con l’allineamento del GOTO!), che può essere fatto solo di notte. Ecco quindi che sarebbe meglio lasciare il telescopio montato dalla sera prima e pronto anche al nostro tour diurno.

Se vogliamo spostarci verso oggetti molto distanti è meglio andare per piccoli passi: puntiamo prima un corpo celeste luminoso, come Venere, per sincronizzare di nuovo la montatura e poi spostiamoci verso la destinazione: meglio non fare spostamenti superiori a 40 gradi perché il puntamento non sarà mai precisissimo.

Una cosa fondamentale riguarda poi la messa a fuoco: di giorno, anche per oggetti luminosi come Venere, se il telescopio non è già vicino al punto di fuoco potremo non vedere la sagoma sfocata del pianeta, anche se questo è al centro del campo: assicuriamoci quindi di aver fatto una buona messa a fuoco prima sul Sole e di non cambiare oculare, altrimenti dovremo armarci di pazienza e muovere il fuoco fino a trovare l’oggetto, che sarà visibile solo quando saremo quasi al punto di fuoco. Una cosa simile si deve fare se vogliamo fare foto: facciamo il fuoco prima sul Sole e a una focale non troppo elevata (meglio al fuoco diretto), così saremo sicuri che se il corpo celeste verrà puntato lo vedremo.

 

Qualche consiglio per le riprese fotografiche

Se vogliamo usare il nostro occhio per osservare, dobbiamo accontentarci di scegliere solo le giornate con il cielo più terso, in modo che i contrasti aumentino al punto da garantire osservazioni molto piacevoli, se non migliori rispetto alla notte. Se invece siamo interessati a fare riprese in alta risoluzione, e in generale a capire quanto in profondità si può vedere anche con il Sole sopra l’orizzonte, allora le cose cambiano molto e potremo restare sorpresi di quanto sia possibile fare. Per capire il trucco che c’è alla base di proficue riprese (non più osservazioni ma fotografie!) diurne, dobbiamo riproporre una domanda alla quale non ho ancora dato risposta: c’è modo, restando qui sulla Terra, e senza usare un radiotelescopio, di osservare il cielo di giorno? Fino a questo momento abbiamo visto che non serve nulla per osservare i principali pianeti, né le stelle, perché anche se non li vediamo in modo spettacolare come di notte, questi in realtà ci sono e si possono osservare al telescopio, se non addirittura a occhio nudo. Tuttavia, grazie alla grande sensibilità dei sensori digitali, possiamo davvero fare qualcosa per migliorare di molto la situazione in fotografia.

La risposta alla domanda ne prevede allora un’altra: di che colore è il cielo di giorno? Se non abitiamo in pianura Padana, la risposta non ammette eccezioni: azzurro! Cosa vuol dire, a livello più fisico, questo? Che l’aria che respiriamo preferisce diffondere in ogni direzione più la luce azzurra rispetto a quella rossa, visto che quella solare è in realtà bianca e così sarebbe dovuto apparire il cielo se tutti i colori fossero stati diffusi allo stesso modo.

Senza entrare in profonde spiegazioni fisiche, il principio alla base della diffusione della luce da parte di molecole di gas è descritto da un processo chiamato diffusione di Rayleigh. Per i nostri scopi ci basta solo un dato, che è la conferma quantitativa della nostra semplice osservazione sul colore del cielo: la percentuale di luce diffusa è inversamente proporzionale alla quarta potenza della lunghezza d’onda. In parole semplici, all’aumentare della lunghezza d’onda della luce diminuisce drasticamente la percentuale che viene diffusa dall’aria. Ecco quindi che la luce blu viene diffusa circa 16 volte più di quella del vicino infrarosso, che ha una lunghezza d’onda circa doppia e perché per le onde radio giorno o notte non fa alcuna differenza.

La diffusione di Rayleigh in funzione della lunghezza d'onda spiega perché il cielo è azzurro e rappresenta un'interessante scappatoia per fare ottime fotografie diurne.

La diffusione di Rayleigh in funzione della lunghezza d’onda spiega perché il cielo è azzurro e rappresenta un’interessante scappatoia per fare ottime fotografie diurne.

Eureka! Abbiamo trovato il modo per fare fotografie di giorno di soggetti brillanti, come se il Sole quasi non ci fosse: basta usare un filtro passa infrarosso. Più grande è la lunghezza d’onda utilizzata, maggiore sarà il contrasto tra il fondo cielo e il corpo celeste. Volete una prova? Guardate la seguente immagine che ritrae Giove ripreso allo stesso orario con diversi filtri:

All'aumentare della lunghezza d'onda diminuisce la luminosità del fondo cielo e i corpi celesti, come in questo caso Giove, emergono in modo sempre più netto.

All’aumentare della lunghezza d’onda diminuisce la luminosità del fondo cielo e i corpi celesti, come in questo caso Giove, emergono in modo sempre più netto.

Per poter sfruttare questo trucco ci serve un sensore monocromatico, o al limite una reflex full spectrum, ovvero modificata per renderla sensibile anche all’infrarosso. Questi dispositivi sono sensibili, sia pur in forma ridotta, fino a circa 1100 nm, una regione molto interessante per i nostri scopi. Ottime sono le camere planetarie monocromatiche, spesso usate anche per l’autoguida, come la sempre verde ASI 120MM. Con questi sensori possiamo usare filtri passa infrarosso da 800 e persino 1000 nm (1 micron). In questa zona poco esplorata del vicino infrarosso, il cielo diventa talmente scuro che non solo possiamo fare fotografie alla Luna, Venere, Mercurio, Marte, Giove e Saturno come se fosse notte, ma è addirittura possibile riprendere corpi celesti che nessuno si sarebbe aspettato: i quattro principali satelliti di Giove, ad esempio, tutte le stelle brillanti fino a magnitudine 5-6 e persino oggetti spettacolari come brillanti comete.

Ecco allora che in questo modo, anche con strumenti modesti, a partire da 8-10 centimetri, il cielo diurno mostra tutto ciò che ai nostri occhi apparirebbe ben visibile di notte: fantastico, vero?

satelliti_giove_giorno

In conclusione di un post piuttosto lungo, non mi resta che lanciare un paio di sfide: qual è il corpo celeste più debole che è possibile osservare o fotografare con il Sole sopra l’orizzonte? È possibile ottenere un’immagine di un soggetto deep sky brillante, ad esempio le Pleiadi, o la nebulosa di Orione, di giorno? Per queste imprese i miei consigli sono semplici: 1) Cielo terso come mai si vede dalla pianura; 2) oggetto alto sull’orizzonte almeno 30° e più lontano possibile dal Sole, 3) Sole in prossimità del tramonto o dell’alba.

Riprese diurne estreme: la cometa McNaught del gennaio 2007 a 15 ° dal Sole e con una magnitudine di circa -7, ripresa con un telescopio da 25 cm diaframmato a 3 cm e filtro IR da 1000 nm. D'ora in poi non ci perderemo più un raro evento astronomico solo perché si verifica di giorno, alla faccia della legge di Murphy!

Riprese diurne estreme: la cometa McNaught del gennaio 2007 a 15 ° dal Sole e con una magnitudine di circa -7, ripresa con un telescopio da 25 cm diaframmato a 5 cm e filtro IR da 1000 nm. D’ora in poi non ci perderemo più un raro evento astronomico solo perché si verifica di giorno, alla faccia della legge di Murphy!

 

Per il momento i corpi celesti più deboli che ho ripreso sono i satelliti di Giove, che hanno luminosità inferiori a quella delle stelle principali delle Pleiadi o del cuore della nebulosa di Orione: questi due, quindi, sono soggetti ben alla portata della nostra voglia di astronomia anche di giorno. La caccia è aperta!

 

P.S. Non vale scattare foto deep sky durante un’eclisse totale di Sole!

Come, dove e quando ammirare le magnifiche aurore boreali

Da Settembre a inizio Aprile di ogni anno, per una nicchia di osservatori dell’emisfero boreale che vivono nei pressi del circolo polare artico, si apre la stagione più bella dell’anno, quella delle aurore boreali. Mentre alle medie latitudini dobbiamo fare i conti con la stagione delle piogge per antonomasia, l’autunno e l’inizio della primavera, o con le nebbie dell’inverno, c’è una parte del mondo e una crescente schiera di appassionati di cielo e Natura che attendono con ansia il periodo migliore per fare l’esperienza naturalistica più bella della propria vita. Questo post rappresenta una piccola guida per tutti coloro che almeno una volta nella vita vorranno ammirare lo spettacolo più bello e impressionante che potremo mai vedere su questo piccolo pianeta azzurro.

 

Cosa sono le aurore secondo la scienza

A livello prettamente fisico, le aurore polari sono delle chiazze di luce, tipicamente verde, che si mostrano nei cieli notturni a latitudini molto settentrionali (aurore boreali) o meridionali (aurore australi), estremamente variabili in forme, colori e intensità e che a volte possono diventare più luminose della Luna piena e muoversi con una rapidità pari a quella di un fulmine.

Alla base di questo particolare fenomeno ci sono due ingredienti: il Sole e il campo magnetico terrestre. Senza entrare in nozioni troppo tecniche, le aurore si producono quando le particelle cariche espulse dal Sole e chiamate vento solare vengono incanalate verso le regioni polari dalle linee del campo magnetico terrestre e arrivano a impattare con gli strati più alti della nostra atmosfera. Ogni volta che una particella di vento solare, che viaggia a diverse centinaia di chilometri al secondo(!), collide con un atomo o una molecola che compone la nostra aria (tipicamente ossigeno e azoto) strappa degli elettroni e ionizza l’atomo colpito. Circa un miliardesimo di secondo più tardi l’atomo riacquista l’elettrone perso e questa transizione fa emettere luce. Le aurore polari sono quindi il modo in cui gli atomi cercano di tornare al loro stato iniziale dopo essere stati letteralmente sconvolti da collisioni violentissime. Ma mai una ferita causata da una collisione a centinaia di migliaia di chilometri l’ora si manifesta con uno spettacolo tanto sublime. Sì, perché al di là della sterile spiegazione fisica, le aurore sono uno spettacolo che deve essere visto, anche se non si conosce la teoria di fondo; deve essere contemplato in rigoroso silenzio e mostrando un doveroso rispetto per la magnificenza della Natura, che si rivela a noi con un’eleganza senza eguali spesso proprio in risposta a eventi dall’enorme violenza.

Dinamica per la formazione delle aurore: alcune particelle cariche provenienti dal Sole riescono a penetrare il campo magnetico terrestre nei pressi dei poli e dallo scontro con le molecole d'aria si innescano le aurore.

Dinamica per la formazione delle aurore: alcune particelle cariche provenienti dal Sole riescono a penetrare il campo magnetico terrestre nei pressi dei poli e dallo scontro con le molecole d’aria si innescano le aurore.

 

Cosa sono le aurore, secondo la nostra vista

Ecco allora che esiste un’altra spiegazione alla domanda “Cosa sono le aurore?” che trascende qualsiasi razionalità, qualsiasi oggettività e lascia libero sfogo alle emozioni e alle descrizioni di chi quel fiume di luce irrequieto nel cielo l’ha visto con i propri occhi e l’ha subito con tutto sé stesso.

In una normale serata nel circolo polare artico si potrà sempre osservare un debole arco verdastro, simile a una striscia di foschia o a una nuvola illuminata dai lampioni, come è comune osservare dalle nostre inquinate città. “E’ quella lì l’aurora? Una striscia lattiginosa che somiglia alla Via lattea estiva o al cielo di Milano quando sta per arrivare la nebbia? E i colori delle foto non ci sono?” Sono queste le domande che ho sentito da chi si è spinto fin lassù, in Islanda o in Lapponia, e non è stato particolarmente fortunato. Togliendo il punto interrogativo, invece, si trasformano in affermazioni spesso dette da chi le aurore, quelle vere, non le ha mai viste e, forse, non si è mai spostato oltre i 60° di latitudine nord.

Le aurore, infatti, possono essere lievi e potenti, appena accennate o illuminare il paesaggio circostante, sembrare statiche o muoversi con la violenza di un fiume in piena. Tutto dipende dal Sole e, in parte, anche dalla Terra. Le aurore possono spingersi fino a latitudini medie, a Londra o Parigi, persino in Italia (l’ultima aurora italiana risale al 2003) ma sono solo una blanda copia di quello che si vedrebbe nella giusta località, lì nel grande nord.

Ecco allora che durante i momenti di maggiore attività, quando si verificano delle tempeste geomagnetiche, l’aurora diventa più spettacolare di qualsiasi fotografia, perché uno scatto statico non può catturare il movimento rapidissimo di strutture di luce che si espandono su tutto il cielo e che mostrano dettagli fini impossibili da immortalare in una fotografia esposta per qualche secondo. Nei momenti in cui l’attività è almeno moderata le aurore diventano uno spettacolo che non si può dimenticare, che sovrasta qualsiasi altra cosa vista fino a quel momento, in grado di proiettare senza problemi ombre in terra o di rendersi visibili quando ancora c’è la luce del tramonto. Immaginate una tavola bianca sulla quale far scorrere in modo casuale e caotico tre grossi pennelli imbevuti di colore fino a gocciolare: verde, giallo, rosso, e tutte le sfumature che si formano quando quelle strisciate si incontrano, si sovrappongono, si fondono insieme creando mulinelli di colore che all’improvviso sembrano aprirsi come un ombrello e cadere come pioggia su di noi. Non c’è ombrello che possa ripararci da tanta bellezza, né, per fortuna, alcun timore che giustifichi una fuga al riparo. Non c’è pericolo, se non quello di esporre i nostri occhi a una bellezza che in pochi riescono ad assimilare senza emozionarsi, senza far scendere una lacrima, senza gridare di gioia al cielo e abbracciare a caso tutte quelle sconosciute persone che impavide si sono ritrovate a osservare insieme lo stesso fenomeno. In un momento, quando lo decide il cielo a suo insindacabile giudizio, tutto cambia, tutto si accende. Il freddo scompare, il tempo si ferma, il cuore inizia a far rumore e niente sarà più lo stesso. Un secondo o dieci, un’ora o 5 minuti: nessuno sa quanto durerà ma basterà comunque a impressionare quell’immagine sin nella parte più profonda della nostra anima, per sempre. Altro che fotografia: le aurore, quelle vere, sono molto più belle, evidenti e spettacolari se ammirate a occhio nudo!

C'è davvero bisogno di descrivere a parole la bellezza dell'aurora?

C’è davvero bisogno di descrivere a parole la bellezza dell’aurora? Per capire quanto è brillante, questa foto  stata fatta al tramonto. In primo piano Venere, in alto a sinistra le Pleiadi.

 

Dove, quando e quanto tempo?

Il dove è semplice: la massima frequenza (e spettacolarità) di attività aurorale si verifica proprio a cavallo del circolo polare artico. Per noi europei ci sono solo due possibilità: la parte settentrionale della Scandinavia o l’Islanda, entrambi dei luoghi incantevoli anche a livello paesaggistico. Se cerchiamo la vacanza della vita allora bisogna andare in Islanda, girarsi l’isola a bordo di un’auto e allontanarsi dalla capitale se si vuole vedere per bene l’aurora. Durata consigliata: da 10 giorni in su.

Per un’esperienza meno impegnativa dal punto di vista temporale ed economico, la regione della Lapponia attorno al parco nazionale di Abisko è perfetta e gode a detta di molti delle condizioni meteo più favorevoli dell’intero nord. In questa, che è la zona meno abitata dell’Europa, ci sono pochi hotel, ma tutti sono attrezzati per l’osservazione delle aurore (e molti hanno anche splendide piste da sci, per gli amanti), con ampi piazzali bui, baite con vetrate e riscaldate, e visite guidate (molto costose però!). In effetti posso confermare che il microclima attorno ad Abisko è unico e assicura molte più nottate serene dell’Islanda o dell’alternativa più economica di tutte: Tromsø. Questa cittadina è situata sulla costa norvegese ed è immersa nei tipici fiordi che caratterizzano questa terra. Sebbene in linea d’aria disti poche centinaia di chilometri dall’entroterra lappone, gode di un clima molto diverso: il freddo non è mai eccessivo perché risente della corrente del golfo, ma in compenso il meteo è in media molto più brutto e instabile dell’entroterra. Può capitare anche una settimana di cielo totalmente coperto: e che ce ne facciamo di temperature più clementi se poi l’aurora non la possiamo vedere? In ogni caso questa è la meta più economica: a titolo di esempio, un viaggio di 3 notti e 4 giorni compreso di volo, hotel, abbigliamento termico e automobile a noleggio può costare circa 500 euro a persona a Tromsø e fino al doppio ad Abisko. Per l’Islanda i prezzi sono ancora più alti.

Percentuale di notti in cui si vede l'aurora: né troppo a nord, né troppo a sud. In Islanda e nella parte settentrionale della Scandinavia l'aurora, anche minima, c'è sempre.

Percentuale di notti in cui si vede l’aurora: né troppo a nord, né troppo a sud. In Islanda e nella parte settentrionale della Scandinavia l’aurora, anche minima, c’è sempre.

 

Per il quando, invece, le cose si complicano un po’.

Le tempeste magnetiche e i momenti in cui le aurore sono più intense si possono provare a prevedere con al massimo 2-3 giorni di preavviso, quindi a meno di non essere degli avventurieri disposti a prenotazioni last minute, dobbiamo arrenderci all’idea che in questo tipo di viaggio serva anche un po’ di fortuna. Può succedere che in una settimana non si riesca a vedere quasi mai un’aurora decente e poi questa esploda il giorno che siamo tornati a casa (o il giorno prima di arrivare.. Una triste storia vera). Oltre a programmare un soggiorno più lungo di un paio di notti, ci sono degli accorgimenti che potrebbero migliorare le nostre possibilità.

L’attore principale di questa opera teatrale ricca di meravigliosi e improvvisi colpi di scena è il Sole, con la sua attività. Ci sono due principali meccanismi con cui si possono innescare spettacolari aurore e il più importante è causato dai CME, espulsioni di massa coronale, e dai brillamenti; entrambi sono fenomeni generati dalle grandi macchie solari. Non si possono prevedere ma è indubbio che più macchie ci sono sul Sole e maggiore è la possibilità che qualche particella in più venga scagliata nello spazio e arrivi fino alla Terra. Ragionando quindi sul lungo periodo, i momenti in cui le aurore sono più intense sono a cavallo dei massimi di attività del Sole. La notizia brutta è che il massimo solare è passato nel 2012-2013 e ora siamo diretti verso un minimo dell’attività. Le grandi aurore sono quindi più rare perché a reggere la baracca c’è in pratica solo il secondo, e più debole, meccanismo: i buchi coronali. Si tratta di veri e propri buchi nell’atmosfera del Sole (corona solare) dovuti alla debolezza locale del campo magnetico solare. In questo modo le particelle di vento solare che partono dalla superficie non vengono intrappolate o deviate dalla corona in modo efficiente e possono raggiungere la Terra in maggiori quantità, scatenando tempeste magnetiche anche con un Sole privo di macchie, quindi senza il motore principale che alimenta il fenomeno. Per ritrovare aurore molto brillanti per gran parte del tempo, quindi andare quasi a colpo sicuro, bisogna aspettare il prossimo massimo solare, previsto per il 2023-2024. Se non siamo così pazienti e accettiamo il rischio di non riuscire a vedere una tempesta ma ci accontentiamo di una modesta attività aurorale (sempre presente), allora tutti gli anni sono buoni, anche se ci sono periodi più favorevoli di altri.

Sembra una banalità ma meglio chiarire anche questo aspetto per chi magari non è proprio esperto del grande nord: di sicuro dobbiamo andare quando esiste la notte astronomica, escludendo i mesi da aprile ad agosto, in cui la luce solare non abbandona mai la scena e vedere l’aurora è impossibile. I momenti migliori, sia dal punto di vista climatico che dell’attività, si verificano a cavallo degli equinozi, quindi seconda metà di settembre o seconda metà di marzo. Si potrebbe anche pensare di fare una follia: andare a dicembre quando è sempre notte e si possono vedere le aurore 24 ore al giorno (o quasi) ma io lo sconsiglio. Le temperature sono basse, anche -40°C in Lapponia (più clementi lungo la costa norvegese e islandese ma siamo sempre molto sotto lo zero); la Natura, che è favolosa, non si può ammirare in pieno, girare in auto è certamente più pericoloso, il clima è peggiore e le aurore tendono a essere un po’ più pigre rispetto ai periodi a cavallo degli equinozi, quando si può godere di 12 ore di luce e altrettante di buio. Alcuni fotografi preferiscono le notti con la Luna perché illumina il paesaggio ma io consiglio di scegliere dei periodi a cavallo della Luna nuova. Mai andare con la Luna piena perché le aurore, anche quelle intense, saranno sovrastate dalla luminosità del nostro satellite naturale e rese meno spettacolari.

La durata del soggiorno dipende dai nostri impegni: si può fare un week end lungo di 3 notti, come ho fatto io per due anni di seguito, e avere una fortuna sfacciata di trovare sia il sereno che una tempesta magnetica che ha illuminato a giorno il paesaggio (ma era a cavallo del massimo solare, in pratica era più difficile non trovare un’aurora intensa che trovarla!), oppure optare per un soggiorno più lungo e con ritmi più blandi. Una settimana, quindi, sembra essere il compromesso ideale tra spesa, impegno e possibilità di trovare un’aurora in forma e tempo bello.

Per godersi lo spettacolo in sicurezza e con le maggiori possibilità di trovare tempo bello, è meglio seguire qualche semplice consiglio.

Tempesta magnetica, con indice Kp pari a 7: il cielo si accende di colori in movimento.

Tempesta magnetica, con indice Kp pari a 7: il cielo si accende di colori in movimento.

Come organizzare il viaggio

Il viaggio inizia almeno 2-3 mesi prima, se vogliamo trovare condizioni economiche vantaggiose. Se sappiamo muoverci su internet, si può organizzare tutto da soli. Quello che ci serve sono:

  • Voli di andata e ritorno per la località scelta. expedia.it o www.skyscanner.it per trovare le migliori tariffe;
  • Dove soggiornare. Anche qui possiamo controllare expedia.it o www.booking.com ad esempio. Il consiglio è scegliere un hotel attrezzato non nel centro di una città, così se il tempo sarà bello potremo ammirare l’aurora addirittura dalla finestra della camera, come è capitato a me una notte di quasi tre anni fa. In alternativa, se preferiamo spendere meno, potremo scegliere una sistemazione in città, ad esempio Tromso, ma dobbiamo essere coscienti che dovremo comunque spostarci, anche di diversi chilometri, per vedere bene l’aurora;
  • Noleggio auto. Stiamo andando in luoghi selvaggi e con spazi enormi: è impensabile cercare di spostarsi con mezzi pubblici (che spesso neanche ci sono). Un’automobile è obbligatoria, quindi, sia per raggiungere l’hotel dall’aeroporto che per visitare le zone alla ricerca della natura diurna e dell’aurora notturna. Le condizioni meteo infatti non sono stabili e può capitare, soprattutto se ci troviamo lungo la costa norvegese, di dover affrontare centinaia di chilometri di guida per trovare un cielo sereno. Dobbiamo quindi essere mentalmente pronti al nostro obiettivo: se vogliamo vedere l’aurora potremo doverla cercare con le unghie e con i denti. Le strade sono generalmente tenute bene ma nei mesi invernali, fino ad aprile, sono spesso coperte di ghiaccio. Le auto noleggiate hanno equipaggiamento invernale e sono dotate di ruote chiodate per affrontare quasi ogni terreno (persino laghi e fiumi ghiacciati, ho già provato), quindi la guida, se condotta con molta prudenza, è di certo più sicura di quanto accade nelle nostre città quando cade il primo nevischio misto ad acqua. Nei principali aeroporti: Kiruna se si sceglie Abisko, Tromso se si sceglie la costa, Reykjavik per l’Islanda, sono presenti le principali agenzie di noleggio, quindi possiamo dare un’occhiata a expedia.it o www.rentalcars.com per noleggiare la nostra auto, orientativamente quando scegliamo di prenotare il volto. Se abbiamo un hotel nel centro di una città, l’auto serve a prescindere dal meteo perché dobbiamo allontanarci dalle luci il più possibile per ammirare al meglio lo spettacolo (l’ho già detto, ma se l’ho ripetuto anche qui un motivo c’è!);
  • Noleggio abbigliamento termico. Per quanti vestiti pesanti decideremo di portare in valigia, non saranno mai abbastanza per proteggerci dalla notte artica. Il consiglio è quindi semplice: lasciare a casa l’armadio della roba pesante e noleggiare direttamente sul posto l’abbigliamento adatto. Per circa 30-40 euro al giorno si può prendere tutto l’occorrente: scarponi da neve, tuta imbottita simile a quelle degli astronauti, guanti, cappello ed eventualmente maschera per gli occhi. Su internet si trovano molti negozi di noleggio nelle principali città. Alcuni hotel, soprattutto nella zona di Abisko, forniscono direttamente il servizio di noleggio dell’abbigliamento: basta contattarli (tutti parlano inglese).
    Un consiglio è d’obbligo se avete intenzione di fare molti spostamenti, soprattutto in Scandinavia. L’abbigliamento che noleggiate in città più miti come Tromso non è adatto alle rigide notti della Lapponia, pur essendo vicine in linea d’aria e quindi raggiungibili in auto in un paio d’ore: tenetelo presente per non dover soffrire il freddo per tutta la notte e nel caso fate presente al negozio di noleggio che volete abbigliamento adatto anche per climi più freddi.
  • Tour guidati. In Islanda, ma soprattutto in Scandinavia, ci sono molte agenzie che organizzano tour guidati per osservare le aurore. La realtà, secondo me, è che non servono: basta un’auto e un posto scuro per ammirare l’aurora senza l’aiuto di una guida che vi chiederà prezzi stratosferici. Questa è una costante di quelle regioni: tour, escursioni e visite guidate potrebbero costare anche ben oltre 100 euro a persona; valutate quindi bene se ne vale la pena o meno.
  • Cellulare e un piano dati adatto all’estero. Probabilmente vi sconvolgerà la cosa, ma anche nel posto più remoto della Lapponia, in mezzo a un lago ghiacciato che si perde a vista d’occhio, senza la minima presenza di civiltà per decine e decine di chilometri, il vostro cellulare segnerà piena ricezione della rete 4G. Se avevate in mente di staccare dalla vita di tutti i giorni, allora meglio spegnere il telefono perché non siete in un paese sufficientemente arretrato da permettervi l’isolamento completo. In realtà, scherzi a parte, la ricezione cellulare in posti deserti e difficili come la Lapponia è estremamente comoda e importante, perché di fatto non saremo mai isolati dal mondo e in caso di aiuto basterà fare una telefonata. Il consiglio, quindi, anche per avere a disposizione mappe della zona e un collegamento a internet per controllare meteo e previsioni dell’aurora, è quello di attivare un’offerta internet valida per l’estero con il proprio operatore e affrontare quindi il viaggio avventuroso in maniera molto più tranquilla.
Il magnifico deserto di ghiaccio della Lapponia.

Il magnifico deserto di ghiaccio della Lapponia.

 

Altri spiccioli consigli per un viaggio indimenticabile

  • In caso di problemi, tenete presente che siete in un posto estremamente civile: se le sporadiche auto vi vedranno a bordo strada con le 4 frecce accese o con gli abbaglianti di notte, si fermeranno tutte per assicurarsi che state bene e che non vi serve aiuto. Se non volete essere disturbati o creare falsi allarmi, quindi, spegnete frecce e fari: è il modo per dire che non vi serve aiuto.
  • La popolazione è generalmente molto disponibile e cordiale. Se vi serve qualcosa non abbiate paura a chiedere. Se siete in macchina lungo la Northern Lights road, nel mezzo della tundra lappone, e non sapete dove fermare la vostra auto e scendere per ammirare l’aurora perché la neve ai lati della strada è alta un metro, potrete parcheggiare nel cortile di una delle poche casette che incontrerete sul percorso. E sebbene per noi appaia impossibile che un proprietario di casa accolga tre auto piene di gente incappucciata, che parlano una lingua straniera e che hanno occupato il suo suolo, con un saluto, una lunga chiacchierata e un invito a parcheggiare di fronte alla sua porta e restare a osservare l’aurora lì tutta la notte, in Lapponia questo succede davvero e non si rischia un colpo di fucile, come può invece capitare nelle nostre ben più pericolose campagne;
  • L’attività dell’aurora si può tenere sotto controllo in tempo reale e si possono avere anche previsioni abbastanza accurate fino a 48 ore. Ci sono tanti siti da controllare quindi per capire cosa ci aspetta nel futuro prossimo. Eccone un paio: spaceweather.com e http://www.aurora-service.eu/aurora-forecast/ . Le intensità delle aurore si misurano spesso con un indice denominato Kp: valori inferiori a 3 indicano un’aurora molto debole. Da 3 a 5 indicano un’attività moderata che comincia a essere spettacolare e oltre 5 assicurano uno spettacolo tanto luminoso da abbronzare, di quelli che non si scorderanno mai più. Più è intensa la tempesta magnetica e più a sud scendono le aurore. Ecco allora che se l’indice Kp arriva a 9 queste si possono vedere, seppur tenui e in lontananza, persino nel nord Italia! I valori possono cambiare nel giro di un’ora, quindi teniamoli sott’occhio sempre: le previsioni a breve termine, come in meteorologia, sono decisamente più affidabili, quindi se entro qualche ora è prevista una tempesta è molto probabile che ci sarà!
Una spettacolare aurora al tramonto, dal cortile di casa di un ospitale abitante di quelle fredde e spettacolari regioni.

Una spettacolare aurora al tramonto, dal cortile di casa di un ospitale abitante di quelle fredde e spettacolari regioni.

 

Come osservarle e fotografarle

Le aurore sono uno spettacolo che non richiede strumenti per essere ammirato: serve solo un cielo libero da nuvole e lontano dalle luci delle città. Per questo motivo, se siamo muniti di auto e di una mappa sul cellulare, possiamo scegliere i posti più belli e suggestivi per godersi lo spettacolo. Possiamo scegliere un suggestivo lago ghiacciato, come mi è capitato due anni fa, o un fiordo non ancora congelato in cui si rifletteranno le luci dell’aurora: le opportunità per rendere ancora più indimenticabile la nostra avventura sono tantissime e le possiamo trovare con le nostre forze, perché questo è un viaggio in cui possiamo decidere noi cosa fare, dove e in che modo, in piena libertà. Se abbiamo l’abbigliamento giusto la notte non sembrerà molto fredda, grazie anche all’umidità in genere sempre bassa e potremo starcene fuori per ore. Le aurore in generale si vedono meglio nella prima parte della notte, ma sono sempre molto imprevedibili, un po’ come le stelle cadenti. Anche nella serata in apparenza più tranquilla può verificarsi un momento

Quando l'aurora fa sul serio diventa più luminosa delle stelle più brillanti, cancellandole letteralmente dal cielo.

Quando l’aurora fa sul serio diventa più luminosa delle stelle più brillanti, cancellandole letteralmente dal cielo.

in cui di punto in bianco tutto si accende come se ci fosse un incendio in cielo. E in effetti questo è quanto è accaduto a me ormai quasi due anni fa. Di ritorno da una bella serata in Lapponia, l’aurora sembrava ormai essersi spenta, con il cielo che era diventato nero come la pece a causa dell’assenza totale di luci. Dopo un rifornimento di carburante in una remota stazione, a un certo punto, guardando dal parabrezza, notai che il cielo si era improvvisamente tinto di verde. Gettata l’auto su una provvidenziale piazzola di sosta e scesi senza nemmeno indossare i pesanti abiti termici, abbiamo assistito a uno spettacolo di indescrivibile potenza, che riesco ancora ad ammirare nitidamente mentre sto scrivendo queste parole, con il cuore che ricomincia a battere all’impazzata e le mani che sudano, proprio come in quel momento, in cui a -18°C in felpa e scarpe da ginnastica sentivo tutto tranne che freddo.

Se vogliamo tentare di immortalare uno spettacolo del genere, ci basta una camera digitale, meglio una reflex con obiettivo grandangolare da 8-14-18 mm, su un modesto treppiede da pochi euro. A seconda della potenza dell’aurora possiamo impostare 800 ISO, diaframma tutto aperto e scatti da qualche secondo fino a 30 secondi. Andare oltre non conviene anche con aurore deboli perché le foto verrebbero mosse a causa del moto della Terra e dell’aurora stessa. Nei momenti più intensi ho visto un mio amico scattare a mano a 3200 ISO e 1/15 di secondo a f3.5 e bruciare alcune parti della foto a causa della potenza dell’aurora!

Se volete vedere altre mie foto delle aurore, cliccate qui.

Se volete leggere il resoconto del mio ultimo viaggio, scritto in tempo reale, cliccate qui.

 

 

La (vera) potenza di un telescopio

“Che bello questo telescopio, quanto ingrandisce?”

È questa la domanda che spesso mi fanno durante le serate pubbliche, ed è la stessa domanda che feci io al mio ottico di fiducia quando dovetti scegliere il mio primo strumento, nel lontano 1993.

Se la domanda è sensata, la risposta è spesso spiazzante, soprattutto nelle sfumature più ironiche, che possono suonare più o meno così: “In teoria anche un milione di volte”, oppure: “Niente, se non ci metti l’oculare”, o ancora: “Infinito!”. Benché ironiche, queste tre risposte raccontano a modo loro i pezzi di una realtà che spesso spiazza chi non conosce ancora il mondo dell’astronomia amatoriale: l’ingrandimento di uno strumento può essere piccolo o grande a piacere, perché dipende dagli oculari che si usano, ma l’immagine che otterremo non sarà sempre nitida e luminosa.

A livello prettamente matematico, l’ingrandimento di uno strumento è dato dal rapporto tra la focale del telescopio, che è fissa, e la focale di un accessorio, che si chiama oculare e che serve per rendere visibile l’immagine all’occhio. Di oculari ce ne sono moltissimi, dalla focale di 2 millimetri a 40 e più millimetri. Inoltre, altri accessori, chiamati lenti di Barlow, possono raddoppiare, triplicare o addirittura quintuplicare gli ingrandimenti, a parità di oculare. Di conseguenza, un telescopio da 1000 mm di focale può lavorare da 10 a 2000 ingrandimenti o più, se inseriamo 2 lenti di Barlow da 5X. “Caspita, a 10 mila ingrandimenti riuscirò a vedere persino la bandiera lasciata dagli astronauti sulla Luna!” No, purtroppo le cose non stanno così. Io, a 10 anni, quando iniziai a fare astronomia non lo sapevo, ma presto mi resi conto di tutto ciò quando comprai un oculare da 4 mm di focale e una lente di Barlow 2X, superando i 400 ingrandimenti con il mio piccolo rifrattore da 90 mm di diametro e vedendo praticamente nulla persino sulla brillante Luna.

L’ingrandimento di ogni telescopio non rappresenta una misura della sua “potenza”, piuttosto è solo il mezzo con cui cerchiamo di sfruttare al massimo le sue prestazioni, che sono fissate dal diametro dell’obiettivo e dalla qualità con cui sono stati lavorati lenti e specchi.

Le quantità fondamentali di uno strumento astronomico sono la capacità di raccolta della luce, che permette di osservare oggetti più deboli di quelli visibili a occhio nudo, e il potere risolutivo, ovvero la capacità di mostrare piccoli dettagli degli oggetti astronomici. Entrambe queste due quantità dipendono prima di tutto da quanto è largo il telescopio, cioè dal diametro delle lenti o dello specchio primario. Questi elementi ottici devono naturalmente essere lavorati in modo preciso, affinché non ne vengano intaccate le prestazioni determinate dalle leggi della fisica. Ecco, allora, perché non è possibile costruire un telescopio con una semplice lente di ingrandimento o con uno specchio da barba che ingrandisce le immagini: la loro lavorazione è di gran lunga insufficiente per fare osservazioni anche solo decenti.

Se la qualità con cui sono lavorati gli elementi è buona, il diametro rappresenta l’unico (o quasi) elemento per valutare la potenza di un telescopio, perché è questo che determina il potere risolutivo e quanta luce posso raccogliere dagli oggetti deboli. Attraverso l’ingrandimento si cercherà di arrivare al limite delle possibilità del telescopio, ma non potremo mai aumentarne le prestazioni oltre quelle determinate dal suo diametro (e qualità ottica).

Se ora inseriamo nel contesto anche gli oggetti astronomici che ci piacerebbe osservare, si capisce anche un’altra cosa che a me, tanto tempo fa, stupì non poco: tranne i pianeti, tutti i più brillanti oggetti del cielo profondo, ovvero ammassi stellari, nebulose e galassie, hanno un’estensione angolare simile, o addirittura superiore, a quella della Luna piena vista a occhio nudo! Il problema, quindi, nella grande maggioranza dei casi non è ingrandire l’oggetto per osservarlo meglio, ma riuscire a trovare un ingrandimento, di solito modesto, tale per cui entra nel campo e allo stesso tempo la sua luce non viene diluita così tanto da risultare quasi invisibile.

Quasi tutti gli oggetti del cielo profondo vengono osservati al meglio tra i 30 e i 150 ingrandimenti, a prescindere dal diametro del telescopio. La loro debolezza intrinseca rende quasi sempre vano ogni tentativo di osservazione in alta risoluzione, cercando dettagli piccolissimi che non potremmo mai vedere.

Solo con l’osservazione di pianeti, Luna e stelle doppie si possono aumentare gli ingrandimenti fino a cercare di sfruttare tutto il potere risolutivo dello strumento. Una regola empirica vuole che, per osservare tutti i minuti dettagli di oggetti brillanti, l’ingrandimento massimo debba essere compreso tra le 2 e le 2,5 volte il diametro del telescopio espresso in millimetri. Ecco allora che un telescopio da 100 mm di diametro può sfruttare con profitto ingrandimenti fino a 200-250 volte e solo su soggetti brillanti che mostrano dettagli ad alto contrasto e luminosità (e nelle serate “buone”!). Questo ingrandimento è sufficiente per sfruttare il potere risolutivo dello strumento. Continuare a ingrandire è possibile ma l’effetto è simile a quello che si ottiene ingrandendo a dismisura una fotografia sul computer.

L’esempio con una fotografia calza molto bene e fa capire alla perfezione la situazione (rima fatta!). Immaginiamo di avere un’immagine con una risoluzione superiore a quella dello schermo; se vogliamo vedere tutto il campo ripreso dobbiamo ridurne le dimensioni: quest’osservazione a basso ingrandimento ci fa percepire meno dettagli piccoli, perché anche se ci sono il nostro occhio non li riesce a vedere. Ingrandendo l’immagine perdiamo la visione d’insieme ma possiamo arrivare a vedere sempre maggiori dettagli. Alle dimensioni originali otteniamo di fatto quello che per un telescopio è il massimo ingrandimento utile: stiamo osservando una piccola porzione dell’immagine ma riusciamo ad ammirare tutti i piccoli dettagli che prima non potevamo percepire (sebbene fossero presenti). Se continuiamo a ingrandire ben oltre le dimensioni originali non otteniamo alcun miglioramento della visione, perché abbiamo già visto tutta la risoluzione catturata dalla foto, che è stata fissata al momento dello scatto e che nessun ingrandimento può alterare.

 

Ingrandire un oggetto è come fare zoom su una fotografia: quando superiamo un certo ingrandimento l'immagine si sfoca e non ci restituisce più dettagli.

Ingrandire un oggetto è come fare zoom su una fotografia: quando superiamo un certo ingrandimento l’immagine si sfoca e non ci restituisce più dettagli.

 

Ingrandire molto serve solo per Luna, pianeti e stelle doppie, ma occhio a non esagerare altrimenti si avrà l'effetto simile a quello della precedente fotografia.

Ingrandire molto serve solo per Luna, pianeti e stelle doppie, ma occhio a non esagerare altrimenti si avrà l’effetto simile a quello della precedente fotografia.

Ecco allora che abbiamo imparato una cosa molto importante, che è fondamentale per fare il primo passo verso l’astronomia amatoriale e capire anche di chi ci si può fidare quando vogliamo dei consigli sull’acquisto di un telescopio. Il mio ottico, tanto tempo fa, quando gli feci quella domanda sugli ingrandimenti mi consigliò un telescopio che poteva arrivare a quasi 600 volte, invece di un altro che non avrebbe superato i 300 ingrandimenti. Entrambi erano rifrattori da 90 mm di diametro, solo che uno aveva una focale di 500 mm e l’altro di un metro. Secondo voi, ora che sapete come stanno le cose, avrei dovuto fidarmi della sua competenza astronomica?

Cosa si vede con un telescopio amatoriale?

Il cielo è ricco di meraviglie, le cui forme e colori sono ben più vasti di tutte le opere d’arte mai concepite dall’uomo. Basta fare una rapida ricerca su internet con parole chiave come “galassie” o “nebulose” per innamorarsi dell’Universo. Proprio come un’irrazionale e irrefrenabile cotta adolescenziale, è questo il momento in cui rischiamo di perdere la lucidità e la calma, perché molto spesso si salta subito a una conclusione inevitabile: “Voglio vedere anche io quelle meraviglie, in diretta sul cielo, voglio comprare un telescopio e abbronzarmi con tutta quella luce e quei colori che mostra l’Universo!”

Purtroppo con questo post ho il poco gradevole compito di riportare tutti con i piedi per terra e di far capire quali sono i limiti e le possibilità che offre un telescopio amatoriale accoppiato al nostro strumento di osservazione, in gergo chiamato occhio.

Tutte le fotografie che possiamo osservare su internet sono, appunto, fotografie, ovvero rappresentazioni della realtà catturate attraverso strumenti molto più potenti dei nostri limitati occhi.

Il limite più grosso che ci impedirà sempre e comunque di avere le bellissime visioni, contrastate e colorate, che ci mostra invece google con estrema facilità è la modesta sensibilità del nostro occhio. Strumento formidabile per farci adattare e sopravvivere nell’aspro ambiente naturale, la nostra vista non ha dovuto di certo svilupparsi per osservare oggetti che fino all’invenzione del telescopio nessuno sapeva neanche che esistessero.

Arriviamo quindi alla prima e fondamentale regola che discrimina tra l’osservazione visuale e la fotografia: il nostro occhio non è abbastanza sensibile per vedere i contrasti e quasi sempre persino i colori di qualsiasi tipo di oggetto celeste, a esclusione delle stelle brillanti e dei pianeti. Non c’è telescopio che tenga: potremmo persino mettere l’occhio all’oculare di un telescopio da 10 metri di diametro ma tanto non riusciremmo a vedere una galassia colorata, come invece permette di fare la fotografia con strumenti persino più modesti di un telescopio giocattolo da 50 euro. Il motivo per cui molti appassionati passano spesso alla fotografia è per scoprire contrasti e sfumature di colore che solo i sensibili apparati fotografici possono rivelarci.

A prescindere dal colore, anche i contrasti percepiti degli oggetti variano molto tra l’osservazione e la fotografia. Come regola molto empirica e un po’ approssimata, ma che rende bene l’idea di quanta differenza ci sia tra quello che vediamo su uno schermo e quello che percepiamo all’oculare di un telescopio, non si fa un grande errore nell’affermare che tra una fotografia e l’osservazione visuale c’è di mezzo un fattore 10 in termini di diametro. Poiché il diametro del telescopio è ciò che per gran parte determina la visibilità e il contrasto degli oggetti osservati, quello che una buona fotografia mostra attraverso un telescopio di 10 centimetri di diametro è visibile, senza troppi sforzi, attraverso uno strumento 10 volte più grande, ovvero di un metro di diametro.

 

Impietoso confronto tra la fotografia, a sinistra, e quello che invece vede l'occhio attraverso lo stesso strumento e il medesimo cielo. Le immagini sono alla stessa scala!

Impietoso confronto tra la fotografia, a sinistra, e quello che invece vede l’occhio attraverso lo stesso strumento e il medesimo cielo. Le immagini sono alla stessa scala!

 

Confronto tra la resa di una fotografia a lunga esposizione ottenuta con un telescopio da 70 m di diametro, a sinistra, e la visione all'oculare di un telescopio binoculare da 60 cm di diametro. Al netto dei colori, tra osservazione e fotografia c'è una differenza di circa un fattore 10 a livello di diametro del telescopio.

Confronto tra la resa di una fotografia a lunga esposizione ottenuta con un telescopio da 70 m di diametro, a sinistra, e la visione all’oculare di un telescopio binoculare da 60 cm di diametro. Al netto dei colori, tra osservazione e fotografia c’è una differenza di circa un fattore 10 a livello di diametro del telescopio.

Poiché un telescopio da un metro di diametro non si trova in commercio per pochi euro, detta così sembra che sto dicendo che l’osservazione visuale sia una perdita di tempo: non è assolutamente vero. Quanto detto fino ad ora serve come terapia d’urto per farvi comprendere che non bisogna guardare le fotografie e sperare di osservare la stessa cosa attraverso il medesimo telescopio, perché non succederà mai.

Dopo aver distrutto tutte le false aspettative, è arrivato il momento di costruirne di nuove e sicuramente veritiere, perché una bella notizia in tutto questo pessimismo cosmico c’è: l’osservazione visuale può essere spettacolare e appagante, solo in modo diverso rispetto alle sensazioni e alle visioni che trasmette una fotografia astronomica. Quello che una fotografia astronomica, per quanto bella, non trasmetterà mai, è l’emozione di stare di fronte a un oggetto distante migliaia, se non milioni di anni luce, senza il freddo filtro del monitor di un computer. Quando si è all’oculare non importa se i contrasti sono deboli e i colori assenti, perché si è in contatto diretto con l’Universo, perché i nostri occhi stanno ricevendo luce che ha attraversato a 300 mila km/s i posti più remoti e affascinanti dell’Universo e in quel momento ha deciso di mostrarsi a noi e solo a noi, per regalarci uno sfuggente, quanto meraviglioso, sguardo verso il passato del Cosmo, un passato per noi presente, eppure distante migliaia, milioni di anni. Osservare il cielo al telescopio è il modo migliore e più emozionante per viaggiare a velocità incredibile a bordo di una immensa macchina del tempo ed esplorare luoghi e spazi dove nessun uomo è mai arrivato e che in pochi hanno persino osservato. E’ come stare in prima fila a uno, dieci, mille spettacoli teatrali; è come visitare milioni di musei, è come vivere mille vite tutte insieme.. E quando la nostra mente, impegnata nel comprendere la vastità e la grandiosità di quello che stiamo vedendo, ci fa percepire quel brivido di sfuggente consapevolezza che dura un millesimo di secondo o forse meno, ci si sente con un pizzico di orgoglio e tanta soddisfazione inquilini protagonisti e non più timidi ospiti di questo meraviglioso Universo.

Per osservare al meglio gli oggetti celesti serve prima di tutto un cielo scuro, lontano dalle luci delle città. Questo vale per le stelle, le nebulose, le galassie, gli ammassi stellari, ovvero per tutti gli oggetti a esclusione di Luna e pianeti, che invece possono essere osservati anche dalle inquinate città. Un cielo scuro di campagna o, meglio, di montagna, in notti in cui non è presente la Luna, è un requisito fondamentale per poter fare ottime osservazioni (e fotografie). Parleremo in un altro post della qualità del cielo e di come stimarla in dettaglio. Per ora accontentiamoci di qualche riferimento grossolano. Un cielo sufficientemente buio è infatti quello che nelle notti estive mostra con facilità la Via Lattea, spessa striscia di luce tagliata in due da un solco più scuro, che parte da sopra la testa e finisce verso l’orizzonte sud. Nelle notti invernali si deve percepire, seppur in modo molto attenuato, la stessa striscia. In tutti gli altri mesi dell’anno, invece, un buon indicatore della qualità del cielo è il piccolo carro: se riusciamo a vedere senza difficoltà tutte le stelle (non del grande carro, ma del piccolo!) allora il cielo è buono per fare proficue osservazioni telescopiche. La differenza tra un cielo illuminato e uno lontano dalle luci (e senza Luna) è enorme e può fare da discriminante, in molte occasioni, tra non vedere un oggetto e osservarlo quasi (QUASI!) come in fotografia.

Con un buon cielo a disposizione, occorre uno strumento che consenta di farcelo sfruttare, ovvero un telescopio. Anche su questo torneremo più volte, ma per ora capiamo bene i punti fondamentali, che sono due:

  • La potenza di un telescopio è determinata in larga parte dal diametro del suo obiettivo. Più è grande e più dettagli posso vedere;
  • Non c’è congegno elettronico che possa migliorare le prestazioni ottiche di un telescopio. Posso equipaggiare uno strumento con GPS, computer potenti, persino con generatori nucleari che garantiscono una vita (del telescopio, meno la nostra!) di centinaia di anni senza dover ricaricare le batterie, ma nessuno di questi congegni ci farà vedere meglio un oggetto, perché tutto dipende da quanto è larga la superficie che deve raccogliere la luce dell’Universo.

Detto questo, per osservare e non semplicemente intravedere gli oggetti del cielo profondo e i dettagli dei pianeti, serve uno strumento di un certo diametro. Fino a qualche lustro fa, il costo elevato degli strumenti costringeva a iniziare con telescopi da 60-80 mm di diametro, a volte 114: troppo poco per osservare con soddisfazione qualcosa oltre i crateri lunari, gli anelli di Saturno e qualche banda su Giove. Con la produzione cinese i prezzi si sono molto abbassati e oggi un telescopio già sufficientemente potente per poter osservare con relativa facilità centinaia di oggetti celesti (o migliaia) può costare meno di uno smartphone alla moda e durare sicuramente di più. Il diametro minimo, quindi, che permette di vedere buoni dettagli è intorno ai 15, meglio 20 centimetri. La configurazione migliore è quella Newton, perché più economica anche se ingombrante. In alternativa uno Schmidt-Cassegrain unisce anche leggerezza e compattezza. Cosa ci mettiamo sotto al telescopio, ovvero la montatura e gli eventuali sistemi computerizzati per puntare e seguire gli oggetti sono degli optional che facilitano la nostra vita ma non migliorano di certo le visioni che avremo. Per questo motivo, dal punto di vista delle visioni offerte all’oculare, un dobson da 20 centimetri, ovvero un telescopio newtoniano su un supporto molto spartano, che costa meno di 500 euro, offre le stesse prestazioni di uno Schmidt-Cassegrain su una pesante montatura equatoriali motorizzata, dal prezzo superiore ai 2000 euro. Quest’ultimo è uno strumento dedicato anche alla fotografia, utilissimo per puntare velocemente gli oggetti celesti e che ci evita di imparare a conoscere il cielo perché fa quasi tutto da solo.

Scendere sotto il diametro di 15 centimetri è consigliabile solo se siamo interessati all’osservazione di pianeti e stelle doppie, o se abitando in città, senza possibilità di spostarci, siamo obbligati a restringere il campo a queste categorie di oggetti brillanti. In questa situazione un rifrattore da 90-100 mm di focale, un Newton da 114-130 mm o un Maksutov o Schmidt-Cassegrain da 10-13 centimetri sono la scelta migliore, perché tanto non potremo mai sperare di sfruttare la grande capacità di raccolta della luce di diametri maggiori visto il luogo dal quale osserveremo e i pianeti presentano già interessanti dettagli con diametro di 10 centimetri.
Capito come funziona a grandi linee l’osservazione visuale e da cosa dipende, la domanda che sorge, direi spontanea, è la seguente: ma cosa posso sperare di vedere in concreto al variare del diametro del telescopio e della qualità del cielo?

Posto che i contrasti e i dettagli dipendono in modo forte dall’esperienza dell’osservatore (all’inizio sarà difficile vedere qualcosa, poi già dopo una settimana si vedrà molto di più) e dall’acutezza visiva, ho cercato di preparare una tabella in cui ci si può fare un’idea. La notizia buona è che quanto state per vedere rappresenta una situazione piuttosto pessimistica: con l’avanzare dell’esperienza la visione migliorerà nettamente.

Qualche oggetto del profondo cielo osservato con un telescopio da 50 mm di diametro (o un binocolo) sotto un cielo scuro.

Qualche oggetto del profondo cielo osservato con un telescopio da 50 mm di diametro (o un binocolo) sotto un cielo scuro.

 

Qualche oggetto del profondo cielo osservato con un telescopio da 150 mm di diametro sotto un cielo scuro.

Qualche oggetto del profondo cielo osservato con un telescopio da 150 mm di diametro sotto un cielo scuro.

 

Qualche oggetto del profondo cielo osservato con un telescopio da 250 mm di diametro sotto un cielo scuro.

Qualche oggetto del profondo cielo osservato con un telescopio da 250 mm di diametro sotto un cielo scuro.

 

Cosa dire invece di Luna e pianeti? Qui l’occhio si riprende la sua (parziale) rivincita, soprattutto sulla Luna, che mostra dettagli molto simili a quelli di una buona fotografia, con contrasti emozionanti e spettacolari giochi di luce.
Un po’ più difficoltosa l’osservazione dei pianeti luminosi, ma per un mero gioco di illusioni: durante le prime esperienze tutti i pianeti appariranno sempre troppo piccoli nel campo dell’oculare, eppure Giove, a 40 ingrandimenti è già grande quanto la Luna piena vista a occhio nudo. In questo contesto non bisogna cercare l’ingrandimento smodato (termine tecnicissimo!) ma convincere il cervello che stiamo vedendo un’immagine già sufficientemente grande a 150-200 ingrandimenti. Andare oltre questi valori necessita di telescopi da almeno 150 mm di diametro e una notevole stabilità dell’atmosfera.

Marte, a sinistra, e Giove, a destra, visti attraverso uno strumento da 100 mm di diametro a circa 200 ingrandimenti. Con il progredire dell'esperienza si vedranno molti più dettagli di queste due, pessimistiche, simulazioni.

Marte, a sinistra, e Giove, a destra, visti attraverso uno strumento da 100 mm di diametro a circa 200 ingrandimenti. Con il progredire dell’esperienza si vedranno molti più dettagli di queste due, pessimistiche, simulazioni.

 

A sinistra: tipico panorama lunare visibile già con strumenti da 80 mm di diametro a 100-150 ingrandimenti. A destra, lo stato dell'arte dell'osservazione lunare, grazie alla maestria di Giorgio Bonacorsi e un piccolo rifrattore da 80 mm di diametro. Riuscite a comprendere quanto conta l'esperienza?

A sinistra: tipico panorama lunare visibile già con strumenti da 80 mm di diametro a 100-150 ingrandimenti. A destra, lo stato dell’arte dell’osservazione lunare, grazie alla maestria di Giorgio Bonacorsi e un piccolo rifrattore da 80 mm di diametro. Riuscite a comprendere quanto conta l’esperienza?

 

Stesso strumento, stessa serata, stesso ingrandimento ma diversi osservatori, uno esperto e l'altro alla prima esperienza. Il modo migliore per migliorare non è comprare sempre nuovi e più potenti telescopi ma allenarsi sotto cieli scuri.

Stesso strumento, stessa serata, stesso ingrandimento ma diversi osservatori, uno esperto e l’altro alla prima esperienza. Il modo migliore per migliorare non è comprare sempre nuovi e più potenti telescopi ma allenarsi sotto cieli scuri.