Guida per il collegamento e il controllo remoto di montature SkyWatcher

Ringraziamo il nostro grande amico Pierluigi De Ioris che ci spiega tutti i passaggi per poter effettuare comodamente il controllo da remoto delle montature Skywatcher.

1. Introduzione

Questo documento vuole essere una piccola guida per le persone che hanno la necessità di comandare il proprio telescopio con un computer.

Al di là della comodità di poter osservare una carta del cielo sullo schermo e puntare direttamente l’oggetto, un altro innegabile vantaggio sta nella possibilità di remotizzare completamente l’utilizzo del proprio telescopio.

Ci sono naturalmente anche altri risvolti che vederemo più avanti e che rendono il collegamento al computer assolutamente vantaggioso.

Naturalmente esistono decine e decine di video tutorial su YouTube che spiegano questo argomento ma ho voluto fare questa piccola guida perché ho pensato ad un approccio leggermente diverso.

Inoltre credo che avere un documento sempre a portata di mano con i relativi screenshot sia una comodità certamente maggiore.

Per esempio non si è costretti a tornare in quel determinato punto del video per capire quel passaggio che non era chiaro.

Questo penso sia davvero un bel vantaggio.

2. Hardware e software necessario

Il collegamento del computer alla montatura (ricordiamo sempre che il software che utilizzeremo è specifico per montature SkyWatcher) prevede l’utilizzo di un cavo EQMOD come da immagine seguente.

Quello che ho preso io nello specifico è un cavo Pegasus Astro per montature Skywatcher HEQ5 Syntrek / PRO, NEQ6 Syntrek / PRO, AZ EQ6-GT ed EQ8.

Alla fine del documento troverete tutti link sia per il software necessario e sia per il cavo.

Cavo EQMOD Pegasus Astro

Il cavo deve essere collegato alla porta USB del computer (Piattaforma Windows) e, dall’altra estremità, sulla porta dove comunemente collegate la pulsantiera o l’adattatore WI-FI.

Non è necessaria l’installazione di alcun driver perche Windows 10 (e successivi) riconoscono il cavo come periferica “seriale” ed assegnano automaticamente il relativo numero di porta.

Dovremo ricordarci di questo numero in fase di configurazione del software.

E’ possibile che il controllo remoto funzioni anche con il collegamento più classico e cioè cavo USB dal computer verso la porta USB della pulsantiera e poi cavo della pulsantiera verso la porta della montatura.

In questo caso la pulsantiera dovrebbe essere messa in “PC Direct Mode” e quindi il suo utilizzo sarebbe comunque precluso.

3. Configurazione

Per prima cosa avviamo GS Server.

Per questa guida utilizzeremo per praticità il simulatore di telescopio ma non cambia assolutamente nulla rispetto al collegamento con la montatura reale.

Questa è la schermata principale del software appena effettuata la connessione (in questo caso con il simulatore).

Da questo momento è possibile configurare i moduli che ci interessano.

Il modulo “Main” è attivo di default.

Ho aggiunto solo il modulo “Gamepad” che ci permetterà di controllare il movimento del nostro telescopio con un gamepad del tipo utilizzato per le consolle da gioco.

Una delle cose interessanti è la rappresentazione in 3D della posizione reale del nostro telescopio rispetto agli assi Nord-Sud-Est-Ovest.

Visibile sulla destra e particolarmente utile se siamo lontani dal telescopio.

Attraverso il tab “Options” è possibile configurare i moduli che ci interessano.

Nella sottosezione “Options” all’interno della finestra è possibile impostare alcune preferenze.

Per la precisione “No Sleep Mode” attivato impedirà al computer di andare in risparmio energetico durante il funzionamento.

“Start window on top” attivato farà si che, al lancio di Stellarium, avremo la finestra di GS Server in primo piano rispetto a Stellarium.

Questo ci consentirà di avere subito i tasti in primo piano pronti per il controllo del telescopio.

“Home warning on” invece è una funzione che ci ricorda , ad ogni lancio del server, che la nostra posizione “home” è quella canonica con la barra dei contrappesi in basso e l’ottica puntato verso nord.

In “Language” si può anche impostare la lingua in italiano ma io ho preferito lasciarla in inglese per evitare piccole “distorsioni” sull’interfaccia dovute alle parole italiane mediamente più lunghe di quelle inglesi.

In “Theme Colors” naturalmente è possibile configurare i colori dell’interfaccia impostandoli a proprio piacimento.

Cliccando sulle tre linee in alto a sinistra del tab “Main” si accede alle impostazioni di collegamento e di configurazione.

La più importante è “Com Port” ed è quella che ci permette di scegliere la porta di collegamento con la montatura.

Un valore errato in questo campo impedirà la connessione con la montatura.

“Baud Rate” dovrà essere impostato a 9600.

In “Observatory Location” potremo invece impostare le coordinate del nostro punto di osservazione inserendole manualmente oppure prelevandole automaticamente da una eventuale chiavetta GPS inserita nel computer.

Si potranno modificare anche le velocità di inseguimento Siderale, Solare e Lunare ma sconsiglio vivamente di farlo per ovvie ragioni.

Infine potremo creare dei “preset” di posizionamento del nostro telescopio attraverso la funzione “Park Position” per poterli richiamare rapidamente in caso di necessità.

Nel tab “Gamepad” potremo configurare tutti i tasti di un gamepad normalmente utilizzato per le consolle da gioco.
Questo ci consentirà di pilotare il nostro telescopio con il gamepad e sarà una cosa certamente molto utile perché , una volta effettuato il collegamento con il cavo EQMOD, perderemo la possibilità di utilizzare il tastierino.
Specialmente nelle fasi di allineamento del telescopio sarà molto utile avere una telecomando tra le mani per effettuare le correzioni necessarie.

4. Funzionamento

Dopo aver lanciato Stellarium potremo aggiungere il nostro telescopio in Impostazioni di configurazione → Plugin → Controllo Telescopio. Qui aggiungeremo il nostro telescopio selezionando il tipo ASCOM.

Più in basso vi verrà chiesto di dare un nome al vostro telescopio e di sceglierlo all’interno della piattaforma ASCOM. Qui dobbiamo selezionare ASCOM GS Sky Telescope.

Abbiamo completato la nostra configurazione. Ogni volta che lanceremo Stellarium si aprirà automaticamente anche l’interfaccia di GS Server e non ci resterà che cliccare sulla piccola icona a forma di telescopio nella toolbar di Stellarium.

Si aprirà l’interfaccia di puntamento e dovrete avere una schermata che comprende tutte le finestre che vedete in alto. A questo punto dovremo effettuare l’allineamento a 3 stelle per avere la massima precisione di inseguimento. Questo allineamento in condizioni normali veniva effettuato dal tastierino (che ora non abbiamo più) o dall’app SynScan Pro. Naturalmente non abbiamo neanche più quella perché la porta dell’adattatore SynScan è occupata dal cavo EQMOD.

Procederemo quindi ad allineare a 1,2,3 stelle direttamente dentro Stellarium in modo forse anche più semplice.

Selezioniamo una stella (chiaramente quella più luminosa possibile) e clicchiamo su “Oggetto corrente” e poi su “Punta”. Il telescopio si muoverà verso la la stella e , con un pò di fortuna , la troveremo nel cercatore. A questo punto con il vostro gamepad o con i tasti sullo schermo potrete centrare esattamente la stella nell’oculare. Fatto questo non vi resta che premere il tasto “Sync” per allineare l’oggetto di Stellarium con la reale posizione nel cielo. Ripetete l’operazione per il numero di stelle voluto e il nostro telescopio sarà allineato.

Da questo momento in avanti siete pronti per la vostra osservazione o sessione fotografica e potrete puntare un oggetto allo stesso modo in cui avete fatto l’allineamento.

In realtà ogni volta che punterete un oggetto e ricalibrerete con il tasto Sync aumenterete il livello di precisione di allineamento. Avremo quindi un allineamento a N stelle e col crescere di N la precisione sarà sempre maggiore.

5. Conclusioni e link utili

Abbiamo visto come configurare il controllo del telescopio con una applicazione alternativa al classico EQASCOM. Non sono entrato nel dettaglio delle funzioni disponibili nei due sistemi perché questo sarà compito di chi vorrà provare i due software in modo approfondito. Personalmente trovo EQASCOM sicuramente ben fatta dal punto di vista tecnico ma abbastanza fastidiosa nella sua interfaccia utente. Sempre secondo il mio parere naturalmente.

Spero di non avere tralasciato nulla e di aver illustrato almeno i punti necessari al raggiungimento dell’obbiettivo.

Cieli sereni!

Pierluigi De Ioris

Di seguito i link necessari per seguire la guida.

Cavo EQMOD Pegasus per Az-Eq6 – Eq8 – Heq5

GS Server

Stellarium

collegare reflex e smarthone a celestron

Come collegare fotocamere reflex e smartphone ai telescopi CELESTRON

Oltre a SKYWATCHER non poteva mancare una lista dettagliata di raccordi e adattatori indispensabili per collegare la tua strumentazione ai telescopi CELESTRON.

collegare reflex e smarthone a celestron

Presso TS Italia Astronomy, siamo a tua disposizione per offrire consulenza specialistica e rispondere a tutte le tue domande in merito ai collegamenti tra fotocamera, smartphone e telescopio. Il nostro team di esperti è pronto ad aiutarti a ottenere risultati eccezionali nella tua avventura nella fotografia astronomica.

collegare reflex e smarthone a skywatcher

Come collegare fotocamere reflex e smartphone ai telescopi SKYWATCHER

Se sei un appassionato di fotografia astronomica e desideri collegare la tua fotocamera reflex o il tuo smartphone a un telescopio SKYWATCHER, sei nel posto giusto! Ecco una lista dettagliata di raccordi e adattatori indispensabili per collegare la tua strumentazione.

collegare reflex e smarthone a skywatcher

Presso TS Italia Astronomy, siamo a tua disposizione per offrire consulenza specialistica e rispondere a tutte le tue domande in merito ai collegamenti tra fotocamera, smartphone e telescopio. Il nostro team di esperti è pronto ad aiutarti a ottenere risultati eccezionali nella tua avventura nella fotografia astronomica.

La regina delle notti invernali: la costellazione di Orione

Le notti invernali sono molto fredde, ma allo stesso tempo hanno due grandi vantaggi: 1) Il cielo tende a essere più trasparente che nelle altre stagioni (se è sereno!) e 2) La notte scende presto, così non dobbiamo fare le ore piccole per gustarci un po’ di stelle. C’è anche un terzo vantaggio, ed è quello di poter osservare la costellazione a mio avviso più bella di tutto il cielo: Orione.
Si tratta di un gruppo di stelle riconosciuto come una costellazione sin dalle prime civiltà della Terra. Per i Greci Orione era un grande cacciatore che fece innamorare di lui persino Artemide, dea della Luna e della caccia. La dea era così persa per il gigante cacciatore che trascurò il suo compito di illuminare le notti. Una notte, Apollo, fratello gemello di Artemide, vide Orione nuotare in mare e sfidò la sorella a colpire con una freccia quello che da lontano sembrava un cane. Artemide raccolse la sfida, scoccò la freccia e uccise il cacciatore. Solo dopo, quando il suo corpo venne portato a riva dalla corrente, Artemide riconobbe il suo amato Orione e distrutta dal dolore decise di porlo nel cielo insieme ai suoi cani. Il dolore della dea è ancora visibile nella fredda e triste luce della Luna, che ogni notte viene fatta sorgere e tramontare dalla dea.

Orione è la costellazione più appariscente di tutto il cielo, impossibile da non individuare nelle notti invernali, proprio a cavallo dell’equatore celeste. Anche la forma somiglia a un gigante, il cui corpo è individuato dal grande quadrilatero dominato da Betelgeuse e Rigel, stelle molto brillanti e suggestive. Al centro vi sono 3 stelle quasi allineate e di luminosità simile, che vanno a formare la famosa cintura di Orione. In basso altre tre stelle, più deboli, poste in senso verticale, formano la spada del gigante. In alto, da Betelgeuse si diparte un braccio che sorregge una clava e dall’altra parte, a destra, l’altro che sostiene la pelle di un Leone. Orione contiene al suo interno alcune delle nebulose più belle e suggestive dell’emisfero boreale. Il mitologico cacciatore domina il cielo invernale sin dal pomeriggio, quando si può osservare verso l’orizzonte est. Con il passare delle ore la sua inconfondibile sagoma guadagna sempre più spazio, fino a svettare verso sud poco prima della mezzanotte.

Betelgeuse, la stella di color arancio nell’angolo superiore a sinistra del quadrilatero, è un astro che sta giungendo a grandi passi verso la fine della propria vita. Al suo centro l’idrogeno, il combustibile più appetibile e duraturo con cui le stelle si mantengono in vita, è terminato da tempo. Betelgeuse, allora, da astro azzurro si è espansa all’inverosimile fino a superare il diametro di un miliardi di chilometri e si è trasformata in una supergigante rossa, l’ultimo stadio prima di terminare la propria vita con un’immensa esplosione chiamata supernova. Quando accadrà diventerà per qualche mese più luminosa della Luna piena e sarà visibile persino di giorno. L’appuntamento è fissato in un giorno qualsiasi da qui ai prossimi 50 mila anni. La probabilità di assistere all’esplosione di Betelgeuse, quindi, non è superiore a una su 500 per una persona che vive 100 anni. Non è tanto ma è di certo molto, molto più elevata che vincere a una qualsiasi lotteria.
Le stelle che formano la cintura sono tutte giganti blu. Da sinistra a destra troviamo Alnitak, Alnilam e Mintaka. Citate in tantissime mitologie, antiche e moderne, queste stelle, come tutti gli astri, se ne fregano delle nostre insignificanti vicende e brillano perché così hanno deciso le leggi dell’Universo, non per inviare chissà quale strano messaggio a esseri posti su un pianeta che diventa inivisibile già dalla periferia del Sistema Solare.
Più in basso, nella spada di Orione, si nasconde il tesoro più bello della costellazione e, forse, di tutto il cielo. La stella centrale in realtà non è una stella ma la splendida grande nebulosa di Orione, parte più brillante di un enorme sistema nebulare che avvolge tutta la costellazione. Vale la pena andare sotto un cielo scuro, senza la Luna, e puntare questo piccolo gioiello anche con un modesto binocolo. Ci stupiremo nell’osservare quelle tenui trame di gas dalle quali stanno nascendo ancora oggi centinaia di stelle e chissà quanti pianeti. Non vedremo la distesa di gas in apparenza impenetrabile e colorata che mostrano tutte le fotografie, perché il nostro occhio non è abbastanza sensibile. Noteremo una tenue e delicatissima distesa di quello che il nostro cervello proverà a collegare a un banco di nebbia o a una debole nuvola, ma mai interpretazione è più lontana dalla realtà. Quella nube cosmica ha un diametro di almeno 250 mila miliardi di chilometri (25 anni luce), una densità milioni di miliardi di volte inferiore all’aria che stiamo respirando e brilla perché il gas di cui è composta ha una temperatura di circa 10 mila gradi, a causa della potente energia sprigionata dalle calde stelle nate all’interno. Quattro di queste sono facili da osservare perché sono di buona luminosità: si tratta del famoso trapezio, il cuore caldissimo della nebulosa di Orione. È proprio da ambienti come questo che ha inizio l’avventura di tutte le stelle dell’Universo, dei pianeti e persino della vita.

Un bellissimo disegno della nebulosa di Orione osservata da Giorgio Bonacorsi attraverso un telescopio Newton da 130 mm di diametro e 100 ingrandimenti, da un cielo molto scuro.

Un bellissimo disegno della nebulosa di Orione osservata da Giorgio Bonacorsi attraverso un telescopio Newton da 130 mm di diametro e 100 ingrandimenti, da un cielo molto scuro. Al centro si notano le quattro calde stelle che formano il Trapezio.

Conil nostro piccolo telescopio, magari ricevuto in regalo per Natale, non potremo farci quindi regalo migliore che puntare la grande nebulosa di Orione da un posto scuro e senza la Luna nel cielo, mettersi seduti, osservare per almeno una decina di minuti e godersi il viaggio più veloce ed entusiasmante che abbiamo mai fatto fino a questo momento. In pochi secondi ci siamo spinti a più di 1000 anni luce di distanza, alla scoperta di uno dei tanti tesori nascosti di un fantastico Universo.

Una libreria di miei fit grezzi per fare pratica

L’astronomia è condivisione, sia se la facciamo per hobby che per professione. La condivisione diventa necessaria quando parliamo di dati, di fotografie e di tutto ciò che può essere utile alla scienza o nell’apprendere nozioni in un campo nuovo. Se nessuno condividesse le proprie esperienze sarebbero molto pochi gli appassionati del cielo e ancora meno i progressi fatti dalla scienza negli ultimi secoli.

Spesso mi hanno chiesto quale fosse il segreto delle mie immagini, quale magica pozione utilizzassi per elaborarle. Molti sono infatti convinti che la magia di una foto la si crei nella fase di elaborazione, dove con qualche software potente come Photoshop potremo estrarre dettagli sorprendenti di una nebulosa, magari partendo da una sfocata fotografia a un segnale stradale. Certo, tutto è possibile, anche questo, ma credo che sarebbe bello partire da un’immagine reale e fare tutte quelle operazioni che non alterano il segnale catturato. L’obiettivo di un’elaborazione, sia pur estetica, di una fotografia astronomia dovrebbe essere quello di mostrare al meglio tutto il segnale catturato, senza cambiarlo, senza interpretare la realtà che resta quella che il nostro sensore digitale ha catturato. La tentazione di passare dalla fase di elaborazione a quella di fotoritocco può essere grande, soprattutto quando la nostra voglia di ottenere buoni risultati si trasforma in frustrazione vedendo in giro capolavori in apparenza irraggiungibili.

La fase fondamentale della realizzazione di un’ottima immagine astronomica si affronta sempre durante lo scatto, sul campo, spesso al freddo e all’umido. E’ una fase che spesso inizia prima dello scendere del buio, quando dobbiamo trovare il luogo adatto, privo di luci e di umidità, allineare il cercatore, collimare lo strumento (se serve), stazionare in modo perfetto la montatura verso il polo, scegliere il soggetto migliore per la serata e la strumentazione, che deve avere certe caratteristiche, impostare la guida, curare l’inquadratura, la messa a fuoco e poi sperare che per almeno 3-4 ore vada tutto bene, perché quando tutto funziona ed è stato ottimizzato l’unico segreto è questo: esporre, esporre ed esporre per 3-4-5 e più ore. Solo in rarissimi casi si possono ottenere splendide fotografie con un tempo di integrazione totale inferiore a un’ora e sempre la potenziale bellezza di uno scatto aumenta all’incrementare del tempo che gli dedichiamo, non di fronte al computer a elaborarlo ma sotto il cielo, a raccogliere fotoni che hanno viaggiato per migliaia o milioni di anni luce.

Proprio per dare un punto di riferimento a chi cerca di addentrarsi nel mondo della fotografia a lunga esposizione del profondo cielo o per tutti coloro che vogliono capire come migliorare i propri risultati, ho messo a disposizione una serie di fit scattati al cielo coon differenti strumenti e sensori. Per questioni di spazio non ho potuto mettere a disposizione i file singoli con i frame di calibrazione ma solo i file grezzi calibrati e sommati. Potete utilizzarli per fare pratica, divertirvi con gli amici, provare a scovare (e ce ne sono molti) i difetti. Potete pubblicarli per uso non commerciale citando sempre l’autore. Non dovete mai, in nessun caso, eliminare i riferimenti per l’autore o, peggio, spacciarli per vostri perché se vi becco sono cavoli amari 🙂 .

Alcune immagini non le ho elaborate neanche io ancora, per mancanza di tempo, quindi non ho la minima idea di come potranno venire. Molte altre, invece, le trovate elaborate nella mia gallaery su astrobin: http://www.astrobin.com/users/Daniele.Gasparri/collections/253/

Ecco l’elenco completo da cui poter scaricare le immagini. I file sono compressi in formato zip. All’interno troverete il file fit. Ho scelto questo formato, che Photoshop non legge a meno di scaricare il programma gratuito Fits Liberator, perché è lo standard internazionale per tutti i dati astronomici. Tutti i software appositi lo leggono, compreso Deep Sky Stacker, Nebulosity, Iris, Registax, MaxIm DL, PixInsight, AstroArt…

Mettete questo post tra i preferiti perché con il tempo verrà aggiornato con nuovi scatti, compresi quelli in alta risoluzione:

Come fotografare in modo spettacolare i colori delle stelle

Fare foto al telescopio, inseguendo nebulose, galassie e ammassi stellari è il sogno proibito di molti appassionati di astronomia, che spesso si infrange di fronte alle difficoltà tecniche, strumentali ed economiche richieste. Non si deve avere fretta, è un percorso che va fatto con pazienza e determinazione: questo è quanto viene detto sempre. Sì, d’accordo, ma da qualche parte dovremo pur cominciare, no? Magari abbiamo a disposizione una reflex digitale e un piccolo telescopio e ci piacerebbe iniziare a fare qualche semplice scatto, giusto per provare.

Di solito si comincia a fare foto alla Luna, poi a qualche pianeta brillante. Per andare oltre e fare le lunghe esposizioni richieste per immortalare gli oggetti del cielo profondo serve un salto di qualità non indifferente: una montatura equatoriale molto robusta, uno strumento buono dal punto di vista ottico e meccanico, un sistema di controllo dell’inseguimento, detto autoguida. Il fiume da guadare è piuttosto largo e profondo, soprattutto se non disponiamo di una montatura equatoriale all’altezza.

Prima di decidere se accontentarsi di quello che si ha, o svuotare il portafogli e ipotecare il futuro con il proprio partner, che potrebbe non apprezzare la vostra decisione, possiamo dedicarci a un tipo di fotografia astronomica attraverso il telescopio che non richiede costosi strumenti, né complesse montature. Anzi, a dire la verità non richiede neanche di inseguire le stelle!

La tecnica che sto per descrivere è stata portata alla ribalta negli anni ’80 e ’90 da un astronomo dell’Anglo Australian Observatory, che i più esperti forse già avranno sentito nominare: David Malin. Munito di una semplice attrezzatura e un po’ di inventiva si era chiesto, grazie al suo background scientifico: è possibile riprendere il colore delle stelle in modo più efficace rispetto a quanto accade in una normale fotografia? Non è infatti difficile notare come molte delle foto del profondo cielo mostrino stelle tendenzialmente bianche. Solo con una grossa dose di manipolazione software i più bravi astrofotografi riescono a tirare fuori qualche tonalità, ma non è una strada molto agevole, né spettacolare.

Partiamo allora dal principio alla base di questa nostra nuova esperienza di fotografia astronomica: le stelle si mostrano di diversi colori. A parte gli astri di classe A, come Vega, che appaiono completamente bianchi, tutti gli altri puntini sono colorati, anche se i nostri occhi faticano a notare la tonalità a causa della scarsa saturazione e della minore efficienza del nostro sistema visivo in condizioni di bassa illuminazione. Le fotocamere, però, non hanno questi problemi e per di più potremo aumentare la saturazione quanto vogliamo in fase di elaborazione per esasperare le differenze di colore delle stelle. Non si tratta di un mero esercizio di astrofotografia e di elaborazione: i colori delle stelle, reali, dipendono dalla loro temperatura superficiale. Possiamo quindi fare anche della scienza dall’esperienza che stiamo per fare, cosa che non guasta mai.

Quando fotografiamo una stella ben messa a fuoco dal telescopio la sua luce si concentra in pochissimi pixel che spesso diventano rapidamente saturi, se non in fase di acquisizione quando andiamo a regolare curve e livelli con qualche software. Da questa considerazione è nata l’idea geniale di Malin: per mostrare il colore delle stelle dobbiamo far espandere la loro luce su un’area maggiore, in modo che non si rischi di saturare i pixel. Il metodo migliore per fare questo prevede di sfocare leggermente l’immagine: semplice quanto efficace. Per dare un tocco estetico alla nostra futura foto, la tecnica di Malin considera un dettaglio geniale: la sfocatura progressiva, senza il moto di inseguimento delle stelle.

Ecco quindi quello che dobbiamo fare:

  • Colleghiamo la nostra reflex al telescopio. Se non sappiamo come fare, siamo nel posto migliore: contattate i tecnici di Teleskop Service Italia che vi consiglieranno gli accessori necessari (sono tutti economici). Il telescopio più adatto, al contrario di quelli usati per fare ottime foto al cielo, è un rifrattore, anche di piccolo diametro e non necessariamente apocromatico. In linea di principio, comunque, tutti gli strumenti vanno bene, compresi obiettivi e teleobiettivi fotografici;
  • Scegliamo un campo ricco di stelle brillanti. In queste serate autunnali le Pleiadi o il doppio ammasso del Perseo sono perfetti, se lavoriamo almeno a 400 mm di focale. Se abbiamo un campo molto largo perché usiamo un teleobiettivo, meglio andare verso la cintura di Orione;
  • Mettiamo a fuoco come se dovessimo scattare una perfetta foto astronomica, aiutandoci con la modalità live view;
  • Impostiamo sensibilità almeno a 400 ISO, modalità di scatto in formato RAW e posa Bulb. Meglio avere un telecomando per controllare l’esposizione della reflex senza doverla toccare. In mancanza di telecomando ci dobbiamo accontentare della posa massima consentita: 30 secondi, e dell’autoscatto;
  • Appena iniziamo lo scatto disattiviamo il moto di inseguimento siderale. Possiamo in ogni caso selezionare la modalità autoscatto, anche con il telecomando della reflex, e avere qualche secondo di tempo per disattivare il moto orario prima che inizi lo scatto. Si può anche provare a fare una variante interessante: 10 secondi di foto con messa a fuoco perfetta e moto orario acceso e poi il resto (sempre in uno scatto singolo) senza inseguimento e con la sfocatura progressiva che stiamo per vedere;
  • Toccando molto leggermente il focheggiatore, mentre la posa va avanti e le stelle si sposteranno, variamo in modo continuo e molto delicato la messa a fuoco, fino al termine dello scatto, compreso tra i 60 e i 120 secondi. Il fuoco non dovrebbe variare moltissimo, ma di quanto ruotare la manopola del focheggiatore lo capiremo dopo il primo tentativo. Ora osserviamo il risultato ed emozioniamoci, perché abbiamo fatto una foto sia artistica che scientifica, molto più didattica di tanti scatti fatti da astrofotografi esperti e purtroppo così pieni di elaborazione da aver perso quasi del tutto il contatto con la realtà.

Gli spettacolari colori delle Pleiadi, catturati con la tecnica descritta nel post attraverso un rifrattore da 106 mm e Canon 450D. Posa singola di circa 90 secondi.

Gli spettacolari colori delle Pleiadi, catturati con la tecnica descritta nel post attraverso un rifrattore da 106 mm e Canon 450D. Posa singola di circa 90 secondi.

 

Cosa accade in pratica quando applichiamo questa tecnica? La non compensazione del moto terrestre produce sul sensore le classiche tracce stellari. La sfocatura progressiva durante l’esposizione trasforma le tracce in tanti piccoli coni, la cui larghezza e lunghezza dipendono dal tempo di esposizione e dall’intensità della sfocatura. In questo modo la nostra immagine contiene molta più dinamica rispetto a una classica posa: le stelle più brillanti mostreranno il colore nella parte terminale del cono, quando la loro luce si sarà distribuita su un numero sufficientemente grande di pixel per evitare la saturazione. Le stelle più deboli avranno coni più brevi ma sempre colorati, soprattutto nella parte iniziale vicina al punto di fuoco.

La fase di elaborazione, spesso temuta e odiata, è semplicissima, anche se abbastanza importante. La saturazione dei colori delle stelle è per natura piuttosto contenuta. A questo però è facile porre rimedio con qualsiasi programma di elaborazione delle immagini. E’ infatti sufficiente aumentare la saturazione del colore di almeno il 50% per far emergere finalmente un campo pieno di evidenti sfumature e affascinanti contrasti. Non è necessario fare altro.

I colori delle stelle e l’estetica dell’immagine risultante dipendono dalla lunghezza e dalla larghezza dei coni stellari, quindi dalla focale di ripresa, dal tempo di esposizione, dall’intensità della sfocatura. Le variabili in gioco sembrano complicare la nostra ripresa, ma questa è una delle rare e piacevoli situazioni nelle quali la pratica è molto più semplice di qualsiasi spiegazione.

Qualcuno riconosce il campo inquadrato? La scala è la stessa della fotografia delle Pleiadi, solo che in questo caso ci sono molti più colori: è un vero spettacolo!

Qualcuno riconosce il campo inquadrato? La scala è la stessa della fotografia delle Pleiadi, solo che in questo caso ci sono molti più colori: è un vero spettacolo!

Il consiglio principale, quindi, è quello di fare esperienza e dare sfogo alla vostra fantasia. Sono sufficienti pochi minuti ed un paio di tentativi per trovare già il giusto compromesso che soddisfa il vostro gusto estetico. E, chissà, proprio come accade in altri ambiti della società, i nostri scatti creativi potrebbero riportare di moda questa tecnica, che molti nativi digitali, purtroppo, neanche conoscono. Eppure è utile, divertente e piuttosto artistica. A questo punto, allora, osservando i nostri capolavori un paio di domande sono obbligatorie: a quali temperature corrispondono i colori che stiamo osservando? Sono più calde le stelle rosse o blu? E di quanto? Scopriamolo da soli con enorme soddisfazione: è il bello dell’astronomia amatoriale!