Una stazione per il monitoraggio dei bolidi

Che dire…gli articoli di Albino sono sempre qualcosa di stupefacente, e oggi siamo orgogliosi di presentare un suo nuovo, bellissimo lavoro!

Quello che introduciamo qui, propone un approccio molto pragmatico all’osservazione di meteore e bolidi, tale da permettere a chiunque, purché dotato di un po’ di abilità auto-costruttive, tanta passione e un budget di poche centinaia di euro (o anche anche minore, considerando che parte dell’attrezzatura più costosa è già in possesso di una amplissima parte di astrofili…) di realizzare una propria, personale stazione di monitoraggio.

Ancora una volta, un sentito grazie ad Albino!

Buona lettura a tutti!!!

 

LUCA ZANCHETTA – TELESKOP SERVICE ITALIA

 

 


Una stazione per il monitoraggio dei bolidi

Albino Carbognani, Ph.D.

albino.carbognani@libero.it

Versione del 21 marzo 2017

 

 

Uno dei più interessanti fenomeni astronomici cui è possibile assistere è senz’altro il passaggio di un bolide. A scanso di equivoci, quando si parla di “bolide” in campo astronomico si intende una meteora molto luminosa. Purtroppo, essendo eventi sporadici e imprevedibili, non è possibile sapere quando si avrà il prossimo bolide quindi è necessario un monitoraggio costante e continuo di tutto il cielo per avere la possibilità di osservarne qualcuno. Considerata l’era tecnologica in cui viviamo al posto nostro possiamo mettere un “occhio elettronico” controllato da un computer che ci mostri solo gli eventi interessanti. In questo articolo, dopo una introduzione alla fisica dei bolidi vedremo come costruire una economica stazione per la loro detection.

 

Asteroidi, comete e meteoroidi

In orbita attorno al Sole, oltre agli otto pianeti, si trovano centinaia di migliaia d’asteroidi e milioni di comete. Gli asteroidi si trovano prevalentemente fra le orbite di Marte e Giove, fra 2,1 e 3,6 UA dal Sole, in quella che è chiamata la Fascia Principale, e fra 40 e 55 UA nella Fascia di Kuiper. La maggior parte delle comete invece popola le regioni più esterne del Sistema Solare, dando origine alla nube di Oort (fra 40.000 e 100.000 UA). Gli asteroidi sono corpi per lo più a composizione rocciosa/metallica con diametri che vanno da diverse centinaia di km, fino alla decina di metri per quelli più piccoli. Le comete invece sono corpi prevalentemente ghiacciati e a bassa densità media, con dimensioni tipiche dell’ordine di 1-10 km.

 

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Fig. 1 – La collocazione della Fascia Principale (in rosa) e dei Troiani di Giove (in giallo) nel Sistema Solare.

 

Nella Fascia Principale, nell’arco di milioni o miliardi di anni, sono avvenute collisioni fra gli asteroidi che la popolano, com’è testimoniato dalla presenza di numerosi crateri da impatto sulle superficie di quei pochi corpi visitati direttamente dalle sonde spaziali. Normalmente lo scontro fra due asteroidi porta alla creazione di centinaia di frammenti con dimensioni che vanno da frazioni di millimetro ad alcune decine di metri e oltre. La fisica della fratturazione ci dice che i frammenti di dimensioni minori saranno molto più numerosi di quelli più grandi, cioè “piccolo è numeroso”.

I corpi con dimensione intermedia fra asteroidi e polvere interplanetaria, sono chiamati meteoroidi. I limiti fissati dall’IAU (International Astronomical Union) nel 1961 considerano come meteoroidi i corpi con una massa compresa fra 10-9 e 107 kg. Assumendo una densità media di 3,5 g/cm3 il raggio di un meteoroide va dai 40 µm ai 10 m. Al di sopra di circa 20 metri di diametro si parla più correttamente di asteroidi. A causa delle risonanze orbitali con Giove e Saturno e dell’effetto Yarkovsky dovuto “all’effetto razzo” provocato dall’emissione termica della superficie, i meteoroidi e gli asteroidi originatisi nella Fascia Principale possono essere immessi, su tempi scala dell’ordine della decina di milioni di anni, su orbite che intersecano quelle dei pianeti terrestri: Mercurio, Venere, Terra e Marte. Ci sono quindi centinaia di migliaia di meteoroidi e decine di migliaia di asteroidi near-Earth potenzialmente in grado di cadere sulla superficie terrestre. In parole povere, i frammenti che si generano durante le collisioni fra gli asteroidi della Fascia Principale in parte “cadono” verso il Sistema Solare interno e possono finire sul nostro pianeta.

Anche le comete sono una “sorgente” di meteoroidi, pur se di dimensioni e densità minore. Quelle comete che, dalla nube di Oort, riescono a raggiungere il Sistema Solare interno sono soggette ad un processo di sublimazione dei ghiacci superficiali che immette nello spazio interplanetario le particelle solide da cui sono, in parte, formate. Si originano così delle vere e proprie “correnti di meteoroidi” che seguono l’orbita della cometa-madre. In generale sono i meteoroidi di origine cometaria a dare origine agli sciami meteorici visibili durante l’anno, fra i più importanti e famosi dei quali troviamo le Perseidi e le Leonidi. Qui però siamo interessati ai meteoroidi di origine asteroidale, quelli più coesi e massicci in grado di originare bolidi di elevata luminosità e con una elevata probabilità avere meteoriti al suolo.

 

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Fig. 2 – Le orbite degli asteroidi near-Earth potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta. Il pallino giallo al centro Rappresenta il Sole, mentre l’orbita della Terra è il cerchio bianco. Il cerchio più esterno è l’orbita di Giove (NASA).

 

Fisica dei bolidi

Vediamo che cosa succede quando un meteoroide attraversa l’atmosfera terrestre durante la caduta verso il suolo. La velocità geocentrica di un meteoroide appartenente al Sistema Solare è compresa fra 11,2 km/s (dovuta alla sola gravità terrestre), e 72,8 km/s (42,5 km/s per la velocità di fuga al perielio terrestre più 30,3 km/s per la velocità orbitale della Terra al perielio). Quando un meteoroide penetra nell’atmosfera terrestre con velocità dell’ordine delle decine di km/s, la collisione con le molecole dell’alta atmosfera (termosfera), ne riscalda la superficie. Giunto ad una quota di 80-90 km (mesosfera), la temperatura del meteoroide raggiunge i 2500 K ed inizia la sublimazione degli atomi del corpo celeste. Questo processo di perdita di massa è noto come ablazione. A causa degli urti reciproci gli atomi del meteoroide si ionizzano, cioè perdono uno o più elettroni, e ionizzano anche le molecole atmosferiche. Durante la ricombinazione ioni-elettroni è emessa della radiazione elettromagnetica, e un osservatore al suolo vedrà una scia luminosa in cielo: la meteora. Una meteora si compone di due parti: la testa e la scia. La testa della meteora contiene il meteoroide che si sta consumando più i gas ionizzati, mentre la scia è la regione di ricombinazione dei soli gas ionizzati. Da notare che il 90% della radiazione emessa da una meteora proviene dagli atomi del meteoroide.

 

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Fig. 3 – Terminologia di base. Meteoroide è il corpo che si muove nello spazio interplanetario; la meteora è l’emissione luminosa dovuta alla vaporizzazione del meteoroide nell’alta mesosfera; meteorite è il residuo solido che giunge al suolo. Se il meteoroide è sufficientemente grande può dare origine ad un bolide che può esplodere nella stratosfera. Piccoli asteroidi possono dare luogo ad un evento di classe “Tunguska” oppure “Meteor Crater” se arriva al suolo e scava un piccolo cratere da impatto (disegno di Roberto Baldini, tratto da: Carbognani, Foschini “Meteore”, CUEN, 1999).

 

Se il meteoroide è di discrete dimensioni (> 20 cm di diametro), la testa della meteora può essere molto luminosa. Quando la magnitudine apparente zenitale è inferiore a –8 la meteora è detta bolide (un tempo il termine bolide era usato per indicare le meteore di cui era udibile il rumore). La definizione di bolide non è ancora stata fissata dall’UAI, quindi per alcuni la magnitudine limite è la –4 o la –6. Un bolide con magnitudine inferiore alla –17 è detto superbolide. Per piccoli asteroidi di decine di metri di diametro il bolide può essere più luminoso del Sole visto dalla Terra. Un esempio di evento del genere è il piccolo asteroide di circa 50 metri di diametro esploso ad 8 km di quota sopra la regione del fiume Tunguska il 30 giugno 1908. I testimoni locali parlarono di una “palla di fuoco” molto più luminosa del Sole. Altro esempio, molto più vicino a noi, è stato il bolide di Chelyabinsk del 15 febbraio 2013, causato dalla caduta di un asteroide di 20 m di diametro. La velocità media era di 19 km/s, e l’esplosione dell’asteroide si è verificata a 30 km di quota con un rilascio di energia cinetica pari a 500 kt (circa 30 volte l’energia sprigionata dalla bomba atomica di Hiroshima).

 

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Fig. 4 – Rappresentazione del rientro in atmosfera di un meteoroide. Sono indicate le principali caratteristiche fisiche del fenomeno (disegno di Roberto Baldini, tratto da: Carbognani, Foschini “Meteore”, CUEN, 1999).

 

Spesso i meteoroidi meno coesi, a causa della differenza di pressione atmosferica fra parte avanzante e recedente, si frammentano in più parti, ognuna delle quali diventa a sua volta un bolide indipendente. Un fatto del genere si è verificato per il bolide visto da Peekskill (stato di New York) la sera del 9 ottobre 1992. Il corpo principale si spezzò in 70 frammenti di cui uno solo (del peso di 12 kg) è stato poi ritrovato (colpì un’automobile parcheggiata sfondandone il cofano posteriore). Altro meccanismo per la frammentazione può essere la presenza di cavità nel corpo che, venendo alla luce, ne aumentano in modo repentino la resistenza atmosferica.

Se il meteoroide è sufficientemente grande può sopravvivere all’ablazione. Quando la velocità in atmosfera scende al di sotto dei 3 km/s la perdita di massa e l’emissione di radiazione cessa e il meteoroide entra nella fase di volo buio (o dark flight). Da questo momento inizia un processo di raffreddamento della superficie e la traiettoria del corpo si fa sempre più verticale. La velocità di impatto del meteoroide sulla superficie terrestre va da 10 a 100 m/s per corpi di massa compresa fra 10 g e 10 kg (velocità geocentrica di 15 km/s). Quando quello che resta del meteoroide giunge al suolo si parla di meteorite.

Il meteorite è ciò che rimane dopo la fase di ablazione atmosferica di un meteoroide entrato in collisione con la Terra. La maggior parte dei meteoroidi si disintegrano in aria, e l’impatto vero e proprio con la superficie terrestre è raro, però ogni anno si stima che il numero di meteoriti sulla Terra con dimensioni di una palla da baseball o più si aggiri sulle 500. Di queste ne vengono mediamente recuperate solo 5 o 6, gran parte delle rimanenti cadono negli oceani (che ricoprono circa il 70% della superficie terrestre), o comunque in zone in cui il terreno rende difficile un loro recupero se non si conosce con una certa precisione il luogo di caduta. Le meteoriti sono importanti perché forniscono informazioni sulla composizione e la storia termica degli asteroidi, e forniscono un possibile veicolo per la disseminazione di acqua e di materiali organici nel sistema solare interno, con rilevanti implicazioni per l’astrobiologia.

 

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Fig. 5 – Esempio di meteoroide cavo (1); il meteoroide entra in atmosfera (2); l’ablazione rimuove parte della superficie (3); vengono alla superficie alcune cavità e l’area esposta aumenta creando un “effetto paracadute” (4); il frenamento improvviso determina la trasformazione di energia cinetica in calore (5), con conseguente esplosione del meteoroide (6) (disegno di Roberto Baldini, tratto da: Carbognani, Foschini “Meteore”, CUEN, 1999).

 

La probabilità per un meteoroide di giungere al suolo, oltre che dalle dimensioni, dipende dal materiale di cui è fatto il meteoroide stesso. Un meteoroide di ferro-nichel giungerà più facilmente al suolo di uno di pura roccia. Nell’impatto il meteoroide si conficca nel terreno creando una buca che può essere anche più larga delle dimensioni del corpo che la provoca. Per grandi meteoroidi o piccoli asteroidi la velocità può mantenersi elevata fino al suolo, l’ablazione non cessa, non esiste la fase di volo buio e nella caduta si forma un cratere da impatto. Generalmente il rapporto fra il diametro del cratere e il diametro dell’asteroide che lo genera è circa 20.

È chiaro che l’avvistamento di un bolide molto luminoso, implica l’entrata in atmosfera di un meteoroide di dimensioni tali da poter sperare che sopravviva all’ablazione e giunga fino al suolo. Da qui l’importanza del loro monitoraggio, tanto è vero che anche in Italia è nata la rete PRISMA, promossa dall’INAF-Osservatorio Astrofisico di Torino che ha come scopo primario il monitoraggio dei bolidi per il recupero delle eventuali meteoriti al suolo (http://prisma.oato.inaf.it/). Il progetto si colloca nell’ambito di una Collaborazione Internazionale con l’ Institut de Mécanique Céleste de Calcul des Ephémérides di Parigi e prevede la progressiva collocazione di camere automatiche all-sky in tutta Italia.

 

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Fig. 6 – Una ripresa del bolide diurno di Chelyabinsk del 15 febbraio 2013.

 

L’hardware e il software per la stazione

Dopo questa introduzione teorica ai bolidi veniamo ora alla parte più pratica e divertente, specie per gli studenti e gli astrofili. L’obiettivo è quello di costruire, con una spesa minima, una stazione casalinga in grado di monitorare una buona parte del cielo e di salvare su un HDD filmati e immagini di tutto quello che passa davanti all’obiettivo. L’elenco dell’hardware necessario è abbastanza breve:

  • Scatola a tenuta stagna, come quelle usate per gli elettricisti, di dimensioni minime 240×190×90 mm (10 €)

  • Cupola trasparente da 150 mm di diametro a tenuta stagna usata per le riprese subacquee (12 €)

  • Camera ASI 120 MM (B/N) + obiettivo grandangolare da 2,1 mm di focale (200 €)

  • Mini-PC Minix Z64 con Windows 10, SSD da 32 GB e 2 GB di RAM (150 €)

  • HDD esterno USB da 500 BG (50 €)

Acquistando tutto nuovo con circa 400 € potremo disporre di una stazione per il monitoraggio dei bolidi. Ovviamente si risparmia andando sul mercato dell’usato oppure riciclando hardware già disponibile in casa. La cosa importante è che la scatola di contenimento e la cupola trasparente siano a perfetta tenuta stagna, perché la stazione dovrà stare all’aperto. Sarebbe buona cosa aggiungere anche una serie di piccole resistenze interne alla base della cupola per evitare fenomeni di condensazione dell’umidità notturna.

 

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Fig. 7 – L’hardware necessario per la nostra stazione casalinga. Il alto il contenitore a tenuta stagna con dimensioni 240×190×90 mm, usato normalmente per cavi elettrici all’aperto, con montata la cupola di plastica trasparente da 150 mm di diametro usata, di solito, per le riprese nelle immersioni subacquee. In basso, da sinistra verso destra, l’HDD per lo storage dei filmati, la camera CMOS ASI 120 MM USB 2.0 + obiettivo grandangolare da 2,1 mm di focale e il mini-PC Minix Z64 per la gestione via Wi-Fi della stazione.

 

L’assemblaggio della stazione è abbastanza semplice. Prima di tutto bisogna installare i driver della ASI 120 MM in modo che venga riconosciuta dal mini-PC. Un software di gestione molto semplice da usare per la detectione dei bolidi è HandyAVI (http://www.azcendant.com/), che supporta senza problemi la ASI 120 mm. I file con i filmati e le immagini possono essere salvate direttamente sull’HDD esterno collegato al mini-PC in modo da non intasare la scheda di memoria dove si trova il sistema operativo e il software di gestione. Il coperchio della scatola a tenuta stagna va bucato in modo da inserire perfettamente la parte superiore della ASI 120 MM, con il suo piccolo obiettivo grandangolare in dotazione. Quest’ultimo ha una focale di soli 2,1 mm e abbinato al sensore CMOS della camera (1280×960 pixel da 3,75 µm di lato) è in grado di abbracciare una porzione di cielo di 131°×98°, con una risoluzione di 6 primi d’arco per pixel. A questa scala la Luna piena sottenderà circa 5 pixel. Al bordo del campo di vista le immagini fornite da questo obiettivo sono un po’ deformate, ma stiamo lavorando in economia, quindi può essere tollerato. Naturalmente, niente impedisce di sostituire l’obiettivo standard con un vero fish-eye di qualità migliore.

 

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Fig. 8 – Il prototipo della stazione per il monitoraggio dei bolidi assemblato e pronto all’uso. L’unico filo che esce è il cavo elettrico di alimentazione del mini-PC. L’antenna Wi-Fi può essere riposta all’interno senza che questo interferisca con le comunicazioni.

 

Sopra al foro da cui spunta l’obiettivo della ASI va avvitata la cupola trasparente di qualità ottica. La cupola usata nel nostro prototipo di stazione è solitamente usata per le immersioni subacquee e quindi dotata di una guarnizione per impedire l’ingresso dell’acqua, una caratteristica che si è rivelata molto utile per impedire l’ingresso dell’umidità notturna. Il mini-PC, l’HDD e la ASI vanno inseriti all’interno del contenitore. Fatti i collegamenti USB ASI-(mini-PC)-HDD, alla fine l’unico filo che deve uscire dal contenitore stagno è quello per l’alimentazione del mini-PC. Ovviamente il foro di uscita deve essere anch’esso a tenuta stagna e il tasto di accensione del mini-PC deve essere raggiungibile dall’esterno (almeno per la prima volta, poi può essere lasciato sempre acceso).

Nel prototipo costruito, all’avvio del mini-PC si apre direttamente il desktop dell’utente e parte uno script con estensione .bat collocato nella cartella “Programmi/Esecuzione Automatica” che crea una rete Wi-Fi ad hoc eseguendo i comandi:

netsh wlan set hostednetwork mode=allow ssid=nome key=xxxxxxxxxxxxxxx

netsh wlan start hostednetwork

Affinché questi comandi abbiano effetto bisogna concedere i privilegi di “amministratore” al prompt dei comandi di Windows. La creazione di questa rete Wi-Fi ad hoc è l’equivalente della connessione fra due PC mediante cavo di rete incrociato.

A questo punto, una volta che la stazione è accesa e il mini-PC ha creato la rete ad hoc, usando un normale PC ci si può collegare in remoto al mini-PC tramite “Desktop Remoto” e accedere alle sue funzioni. Se la versione di Windows del mini-PC non prevede la funzione di desktop remoto (come la edizione “Home”), ne andrà installata una di terze parti come la “RDP Wrapper Library”. Usando desktop remoto in Wi-Fi non è più necessario che il PC con cui interagiamo con la stazione sia collegato fisicamente a quest’ultima: noi con lui ce ne possiamo stare tranquillamente in casa al caldo, mentre la stazione sarà all’aperto, a monitorare il cielo. Peraltro lo stesso mini-PC può essere utilizzato anche per il controllo da remoto di un setup tipo telescopio GoTo + camera CCD.

Per lo spegnimento della stazione basterà premere il tasto “win+R”, digitare “shutdown -s -t 10” e dare invio. Il mini-PC si spegnerà automaticamente dopo 10 s. In questo modo si ha tutto il tempo per chiudere la sessione di desktop remoto. Se si agisce semplicemente sul pulsante “spegni” di Windows sul mini-PC si chiude la sessione di desktop remoto, ma il mini-PC resta acceso e il monitoraggio della stazione può continuare.

 

Meteor Trail Detect e Capture con HandyAVI

Come si sarà capito, mentre il “cuore” hardware della stazione di monitoraggio è la ASI 120 MM, una camera CMOS B/N molto sensibile e a basso rumore, quello software è AndyAVI. Vediamo più in dettaglio le caratteristiche principali di questo software che ha una apposita funzione proprio per la detection delle meteore.

Il modo operativo più semplice per il monitoraggio di meteore e bolidi sarebbe riprendere continuamente dal tramonto all’alba. Tuttavia con questa modalità 8 ore di video in B/N a 5 frame al secondo da 1280×960 pixel a 12 bit per pixel occuperebbero ben 265 GB! HandyAVI ha un algoritmo di motion detection che gli permette di registrare solo i frame in cui cambia qualcosa rispetto a quelli precedenti, in modo tale da risparmiare spazio su disco e facilitare le operazioni di recupero dei dati. Questo software può salvare anche fino a 250 frame prima e dopo l’evento luminoso che ha fatto scattare la motion detection, in modo tale che può registrare anche le parti più deboli della scia meteorica. L’algoritmo di motion detection è in grado di eliminare falsi allarmi dovuti a pixel caldi, raggi cosmici scintillazione stellare ecc. Ovviamente non è in grado di distinguere fra un aereo, la stazione spaziale, un Iridium flare o una autentica meteora. HandyAVI ogni volta che fa la detection di qualcosa che si muove in cielo salva i dati in un avi diverso e crea un file jpg con sovrapposti tutti i frame della detection in modo tale che, nel caso ideale, per ogni meteora c’è la corrispondente immagine della scia.

 

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Fig. 9 – La schermata per la “Meteor Trail Detect e Capture” di AndyAVI. In basso a destra si vede la scheda per la selezione del gamma, del guadagno e del tempo di esposizione della ASI. Per il manuale d’uso di HandyAVI 4.3 vedi: http://www.handyavi.com/HelpDoc/HandyAvi.pdf.

 

Cosa si può ottenere?

Con questa stazione gli eventi che si possono documentare variano a seconda del tempo di esposizione. Chiaramente si potranno osservare non solo meteore e bolidi ma anche eventi terrestri, come i passaggi degli aerei, della ISS (la Stazione Spaziale Internazionale), e dei satelliti artificiali.

Con soli 10 s di posa sono osservabili tutte le stelle visibili ad occhio nudo, ma meteore e bolidi appariranno come delle scie luminose in cielo perché hanno una durata inferiore. Diminuendo il tempo di posa, fino a 1/5-1/10 s, il numero di stelle visibili diminuisce in proporzione ma è possibile documentare la dinamica dei fenomeni luminosi. Naturalmente la stazione è autonoma, quindi si può andare a dormire ed esaminare con calma il giorno dopo quello che è stato “catturato”.

Nel caso dei bolidi una prima serie di informazioni quantitative che si possono ottenere sono la data, l’ora e la durata del fenomeno (ogni frame catturato da HandyAVI può riportare data e ora). Usando opportune immagini di calibrazione fatte sullo stesso campo stellare e nelle stesse condizioni di visibilità del fireball, ma con tempi di posa un po’ più lunghi in modo da avere un buon numero di stelle di confronto, si può ottenere la curva di luce della “testa” del fireball. Infine, per avere informazioni sulla traiettoria seguita sulla sfera celeste bisogna calibrare astrometricamente le immagini, cosa non semplice se le stelle di campo sono poche. Tutto questo però ricade nell’analisi quantitativa dei dati. Tutto sommato, una stazione casalinga come quella proposta fornisce informazioni qualitative in modo semplice ed immediato, non fosse solo per il monitoraggio della copertura nuvolosa. Nelle immagini che seguono sono mostrati alcuni esempi delle capacità di monitoraggio della stazione. Buon divertimento!

 

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Fig. 10 – Immagine di una meteora (in basso al centro sotto Polaris), ripresa il 4 ottobre 2016 alle 19:18:42 UT con HandyAVI ed esposizione di 10 s. Per una maggiore facilità di orientamento sono riportati i nomi delle stelle principali, si nota anche la fascia della Via Lattea estiva.

 

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Fig. 11 – Il passaggio della ISS del 15 ottobre 2016 alle 18:17 UT dalla Valle d’Aosta ripreso con HandyAVI. La sorgente luminosa in basso a sinistra è la Luna piena la cui luce è stata diffusa da un leggero velo di umidità notturna depositatosi sulla cupola. Questa immagine è stata ottenuta sommando alcune decine di immagini con tempo di esposizione di 1 s.

 

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Fig. 12 – Un simil-Iridium flare ripreso il 27 ottobre 2016 alle 18 UT con HandyAVI. Somma di immagini con pose singole da 5 s. La durata totale dell’evento è stata di 70 s. La debole striscia che attraversa da sinistra a destra è un aereo.

 

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Fig. 13 – Tracce di aerei riprese il 27 ottobre 2016 con HandyAVI. Somma di pose singole da 5 s ciascuna.